A ricordo di un uomo, Vescovo e padre

Mons. Valentino Cocco pone alcuni accenti sulla figura del Vescovo Nonis, di cui fu segretario per 13 anni

«Sa scrivere a macchina?»
«Sì, sono un autodidatta».
«Ha la patente di guida?»
«Sì, da circa 20 anni».
«Ho bisogno di un collaboratore a Vicenza; se è Lei, va bene, altrimenti sappia che gode della mia stima e della mia simpatia».

Così iniziò il mio servizio accanto a Sua Eccellenza, come di consueto chiamavo il Vescovo Pietro Giacomo Nonis un po’ per deferenza, ma anche per soggezione. Lì a Santa Lucia, a Padova nell’aprile del 1988, durato fino al 9 giugno 2001, quando mi invitò a recarmi a Bassano del Grappa nell’Istituto “A. Graziani” come Direttore e Preside.
 
Aveva una personalità spiccata e forte. Era così: asciutto tanto da sembrare, a volte, poco attento all’altro, ma era perché aveva colto il nocciolo del discorso ed era necessario non perdere tempo.

Era un grande uomo, un insigne professore, colto, un pozzo di sapere. Non era privo di difetti.

Era arguto, astuto, ironico, spiritoso, di certo intelligentissimo con una memoria di ferro; curioso, divoratore, mai sazio di comperare – magari alle bancarelle per spendere meno – libri che trattava con cura meticolosa, ordinava, riordinava quando aveva un po’ di tempo libero, e che donava alle persone che incontrava come un dono prezioso.

Era un uomo di dialogo e cercava la collaborazione, talvolta pungente fino a far male, ma sempre generoso e sapeva anche chiedere scusa.

A volte gli piaceva confondere l’interlocutore lasciandolo “basito”, impreparato nella risposta. «L’essenziale è invisibile agli occhi e agli “ochi”».

Aveva un cuore grande, non certo arido. Amava i suoi preti, li aiutava anche quando incappavano in situazioni difficili o erano in difficoltà.

Discreta, ma concerta la sua carità verso tutti: i missionari che passavano per un saluto di ritorno dalla missione, la persona che aveva bisogno, perfino colui che svolgeva nel nascondimento un umile servizio nelle comunità parrocchiali o, volontario, preparava il pranzo per l’incontro dei preti con il Vescovo… ed era solito dirmi: «Valentino, hai fatto il tuo dovere?».

Riceveva volentieri un dono, ma sapeva donare agli altri.

Era appassionato di tutto ciò che manifestava la bellezza, bontà e grandezza di Dio e dell’uomo. Le vestigia e le opere raccolte erano non per sé, ma per far crescere anche gli altri nella conoscenza e nella cultura; infatti  possono essere ammirate nel Museo Diocesano e in quello di Monte Berico.

I suoi viaggi in missione e di vacanza erano occasione prima di tutto per incontrare le persone, manifestare la sua vicinanza e fiducia, ma anche per saziare la sua sete mai doma di scoprire, conoscere, approfondire e arricchirsi interiormente.

Era interessato a tutto: letteratura, filosofia, poesia, musica, antropologia, arte. Dalle opere di autori famosi come Michelangelo, Tintoretto, Raffaello ecc. alle opere più umili, popolari di pittori, scultori e artigiani locali.

Come pastore era quotidianamente fedele alle pratiche di pietà: la celebrazione dell’Eucaristia, della recita del breviario e del rosario, tante volte, in automobile, durante gli spostamenti dall’Episcopio alle comunità parrocchiali.

Ogni giorno era fedele anche a quella che definiva “la preghiera laica”, la lettura dei giornali. Si leggeva diverse testate giornalistiche per cogliere le diversità e la ricchezza di pensiero e di interpretazione degli eventi. Talvolta sottolineava qualche idea o pensiero che lo colpiva e lo conservava.

Con la sua telefonata del sabato a Radio Oreb si faceva vicino alle persone anziane, malate e non, per proporre un seme di riflessione e un alimento per la vita spirituale.

Spesso incontrava i preti a tavola, perché lo riteneva un momento efficace per trattare di problemi personali o della pastorale.

Prediligeva una liturgia vera, ma sobria, priva di tanti interventi personali. Durante il rito della Confermazione soleva intrattenersi personalmente con il singolo cresimato per rivolgergli una parola individuale che penetrava nel cuore.

Era attento e aperto alle necessità della Chiesa, alla missionarietà, alla valorizzazione della donna.

Quando, a volte, arrivavamo con anticipo in un parrocchia, mi chiedeva di recarci al cimitero del paese dove si soffermava per una preghiera per i defunti.

IL PIANTO DI UN VESCOVO 

Due volte ho visto monsignor Nonis commuoversi e piangere. La prima quando Giovanni Paolo II è venuto in visita pastorale a Vicenza e, proprio quella mattina, i giornali lo hanno “vigliaccamente” accusato di essere un massone. Ha pianto quando il Papa santo gli ha dimostrato affetto, fiducia e amicizia.

La seconda volta quando è morto il suo più vicino collaboratore e amico monsignor Giulio De Zen.

Tanti sono i ricordi che si affollano nella mente e tanti insegnamenti ricevuti.

Grazie, Eccellenza, e riposi in pace.

Don Valentino Cocco