Accorciamo le distanze: il video messaggio e la lettera di Natale del Vescovo Beniamino alla Diocesi

Un'accoglienza senza confini a partire da chi ci è vicino e si trova in necessità

 
 
Accoglienza: è il tema centrale della lettera e del messaggio di auguri del Vescovo Beniamino per questo Natale.
Una accoglienza a 360 gradi che parte dai vicini (dalla propria famiglia, dagli amici, dai colleghi di lavoro o dai vicini di casa) per aprirsi a chi viene da lontano e al mondo intero.
 
Di seguito il video messaggio di Auguri del nostro Vescovo, un’intervista rilasciata a TVA Vicenza e il testo della lettera di Natale.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 Il Vescovo mons. Pizziol presiederà in Cattedrale la Santa Messa della Notte di Natale il 24 dicembre a mezzanotte e la Santa Messa del Giorno di Natale il 25 dicembre alle 10.30.
 
 
 Ecco il testo della lettera per il Natale 2016:
 
 

Carissimi, in occasione del Santo Natale, è mio desiderio di pastore sollecitare e promuovere nelle comunità cristiane, ma anche nella comunità civile, una riflessione comune in ordine all’accoglienza. Essere aperti all’accoglienza non è mai semplice perché ci espone al rischio di uscire dalle nostre certezze e comodità. Il clima culturale in cui viviamo ci spinge poi decisamente verso l’individualismo e verso il ripiegamento nella sfera del privato, sia esso familiare, religioso o sociale.  Accogliere significa invece ricevere qualcuno riconoscendogli pari dignità, accorciando le distanze, creando una relazione solidale, ponendosi in un atteggiamento di empatia. L’accoglienza si vive e si pratica nella famiglia, nella comunità civile, nella comunità parrocchiale o nel gruppo associativo, fino ad arrivare alle persone di ogni popolo, nazione, lingua, cultura e religione. Come sottolinea Benedetto XVI: «L’avvenire delle nostre società poggia sull’incontro tra i popoli, sul dialogo tra le culture nel rispetto delle identità e delle legittime differenze»[1]. C’è un episodio nel Vangelo a dir poco sorprendente. Una donna straniera domanda a Gesù di guarirle la figlia. “Ma egli non le rivolse neppure la parola” (Matteo 15,23). Lei insiste, i discepoli chiedono di esaudirla perché li segue gridando. Gesù afferma che è venuto per la casa d’Israele, non per gli stranieri, e alla donna dice: “Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini” (Mt 15,26). Forse ricordiamo la risposta della donna che porta Gesù a cambiare idea: “E’ vero, Signore, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni” (Mt 15,27). La figlia viene guarita, perché la grande fede di quella madre ha rivelato a Gesù un tratto fondamentale del volto del Padre: è Dio di tutti, alla sua tavola il pane è condiviso nella comune fraternità.  Se anche Gesù ha dovuto cambiare il suo atteggiamento nei confronti di questa straniera, tanto più noi abbiamo bisogno di cambiare mentalità! Anche a noi può accadere di provare paura e di tenere a distanza chi è povero, diverso, parla un’altra lingua, pratica una religione che non è la nostra, ha usi e costumi differenti. In un periodo di grave crisi lavorativa ed economica il timore può tradursi addirittura in un atteggiamento di rifiuto.  Ma che cosa ha fatto cambiare idea a Gesù? Non un ragionamento astratto sugli stranieri, bensì l’incontro concreto con la donna e con la sua sofferenza. Ha visto nei suoi occhi, ha colto nella sua voce, ha indovinato dai suoi gesti ciò che attraversava il suo cuore. E’così anche per noi: se vogliamo vincere le paure e le chiusure che ci paralizzano dobbiamo iniziare a guardare negli occhi le persone bisognose, quelle che ci abitano accanto o quelle che arrivano da noi dopo vicissitudini tragiche; dobbiamo farci raccontare da un padre cosa significa perdere il lavoro e la casa o da una madre cosa significa attraversare il mare in un gommone con un figlio in braccio e uno in grembo. Avvicinandoci a chi è povero o straniero e si trova ad affrontare impaurito un mondo che non conosce, possiamo riscoprire i sentimenti che sono in loro come in noi, le attese e le speranze che animano un giovane lontano mille miglia da casa o una famiglia che vuole crescere i propri figli dando loro ciò di cui hanno bisogno. Non lasciamo che la paura, o peggio ancora l’egoismo, ci derubino della nostra umanità!   Mi rivolgo dunque a tutti coloro che hanno responsabilità educative all’interno delle comunità parrocchiali o delle aggregazioni laicali perché, in collaborazione con le altre comunità educanti, si adoperino a formare uomini e donne responsabili, liberi da pregiudizi, paure e diffidenze, aperti all’incontro, al dialogo e all’accoglienza.  Come testimonianza concreta di uno stile di accoglienza, desidero rilanciare le iniziative già condivise nel corso dell’Anno Giubilare della Misericordia appena conclusosi: i Sostegni di Vicinanza per persone o famiglie che stanno attraversando un periodo di difficoltà economica; l’accoglienza di piccole comunità di richiedenti asilo, in parrocchia o di un rifugiato in famiglia, in rapporto con la Caritas diocesana; infine l’adesione alla campagna “I primi mille giorni di vita” promossa dai Medici con l’Africa – CUAMM in favore di mamme e bambini del Mozambico, dove stiamo per aprire una nuova missione come diocesi di Vicenza.  Aderire a queste iniziative di accoglienza ci aiuterà a dare un volto, un nome, una storia a chi, vicino o lontano, chiede al nostro cuore di non restare indifferente, ma di aprirsi all’ascolto e alla condivisione.    Mario*, 45 anni, ha trovato ospitalità a Casa Beato Claudio da alcuni mesi: “Non avendo un lavoro stabile, non riuscivo più a trovare casa. Per i proprietari che affittano non offrivo garanzie adeguate. Rischiavo di finire in strada, quando per me si sono aperte le possibilità dell’housing sociale della Caritas diocesana che mi ha ridato dignità e speranza”.   Giorgia e Antonio, coppia quarantenne di Altavilla Vicentina, grazie al sostegno di vicinanza erogato da un’altra famiglia vicentina per alcuni mesi, ha potuto chiudere una dolorosa procedura di sfratto e trovare una nuova abitazione: “In un momento in cui troppe porte si stavano chiudendo, ci siamo sentiti sostenuti nell’aprire insieme le porte della nostra nuova casa”.    Marco e Federica hanno invece aperto le porte della loro casa per fare famiglia con un immigrato, Arouna che, una volta ottenuto lo status di rifugiato non sapeva più dove andare e aveva bisogno di un posto sicuro in cui iniziare a costruire il proprio futuro. Oggi, insieme, possono dire: “Accoglienza è prendere l’altra persona con curiosità, accettandone pregi e difetti. Accoglienza è avere fiducia dell’altro che non conosco, è scambio e capacità di ricevere dall’altro. Essere accolti stupisce perché sei rispettato nella tua libertà. Chi vive l’accoglienza trova una famiglia più grande.”   * i nomi usati sono di fantasia per tutelare la privacy delle persone  Il dott. Giampietro Pellizzer, specialista in Malattie infettive è appena tornato da Bugisi, nella regione di Shinyanga a nord della Tanzania, dove ha avviato un nuovo intervento di lotta all’Hiv per curare oltre 1200 malati: “Sono partito  per realizzare un sogno: fin dalla mia prima esperienza in Africa avevo in mente di tornare e di lavorare per i Paesi in via di sviluppo, per la salute di queste popolazioni. Il sostegno alle mamme e ai bambini nei primi anni di vita è fondamentale. In Africa sub-Sahariana, un bambino ogni tre, sotto i cinque anni, e una donna incinta su tre sono denutriti. Questo li rende particolarmente esposti al rischio di malattia e morte. L’obiettivo del programma di Medici con l’Africa Cuamm “Prima le mamme e i bambini. Nutriamoli!” è quello di garantire interventi nutrizionali a sostegno della mamma e del piccolo nei primi mille giorni, dall’inizio della gravidanza ai primi due anni di vita del bambino. Mille giorni, prima che la malnutrizione produca danni. Mille giorni oggi, per garantire  la sua vita di domani”.    Potremmo raccontare tante altre storie di accoglienza e vicinanza, rese possibili dalla generosità di singoli, famiglie e comunità del nostro territorio con il supporto di Caritas Diocesana e di tante altre associazioni come i Medici con l’Africa del CUAMM.  Gesù chiama Dio con il tenero nome di Abbà: un papà dal cuore materno, di cui ciascuno di noi può fare esperienza ed è chiamato al contempo ad essere segno nel mondo. Nel mistero dell’incarnazione questo dono entra dentro la storia e abita nei nostri cuori: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito” (Giovanni 3,16). Se la donna straniera ha fatto capire ancor più a Gesù chi è davvero quel Padre che l’ha mandato, allora l’aiuto che possiamo dare a coloro che si trovano nel bisogno e chiedono accoglienza ci permetterà certo di comprendere meglio il mistero adorabile del Natale che ancora una volta con fede desideriamo celebrare.                                                                                                         Che sia un Santo Natale per ciascuno di noi!   + Beniamino   Per info sui Sostegni di Vicinanza e l’accoglienza dei rifugiati: Caritas diocesana 0444-304986 Per info sulla campagna “I primi mille giorni di vita”: www.mediciconlafrica.com oppure cliccando qui


[1]Benedetto XVI, Discorso all’assemblea del Pontificio Consiglio della pastorale per i Migranti e gli Itineranti, 28 maggio 2010. 
 
 
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