Amore a Cristo, alla Chiesa, all’umanità

I tratti comuni della spiritualità di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II

 
Non era mai successo nella storia della Chiesa di poter presenziare alla canonizzazione di due papi in contemporanea. È questa un’ulteriore sorpresa dei tempi in cui noi viviamo, tempi difficili, ma anche molto ricchi di presenza di Dio e di “segni dei tempi”, se riletti alla luce della fede.
 
Parlare della spiritualità di Giovanni XXIII e di Giovanni Paolo II è impresa non da poco, considerando lo spessore umano e spirituale e apostolico di queste due grandi figure che hanno caratterizzato la storia della Chiesa dal Concilio Vaticano II ai nostri giorni, senza dimenticare i non meno significativi Paolo VI, Giovanni Paolo I, Benedetto XVI e, ora, papa Francesco.
 
Certamente la spiritualità di papa Giovanni e di Giovanni Paolo II rispecchiano e rappresentano, ad alto livello, la spiritualità del popolo cristiano, dal quale essi stessi provengono, pur con esperienze diverse sia familiari, che sociali e religiose.
 
Inoltre, bisogna ricordare che questi due papi hanno avuto dei doni speciali dallo Spirito Santo, carismi personali loro affidati in vista di un compimento adeguato della loro missione, come preti prima, poi come vescovi e, soprattutto, come successori nel servizio petrino, nella sede apostolica romana. Un ulteriore aspetto che non va dimenticato è la durata del loro pontificato: papa Giovanni XXIII solo di quattro anni (dal 1959 al 1963), mentre papa Giovanni Paolo II resse la Chiesa per ben 27 anni. Quindi, se è vero che papa Giovanni, con l’indizione del Concilio, manifestò in poco tempo alla Chiesa e al mondo la ricchezza del suo cuore di credente e di padre, è pur vero che il lungo servizio di Giovanni Paolo II ha permesso a quest’ultimo di esprimere con più ampiezza la ricchezza di doni di vita spirituale che il Maestro Interiore aveva collocato nel suo cuore a bene di tutta la Chiesa.

PERSONALITÀ DIVERSE, ELEMENTI COMUNI
 
Pur con personalità molto diverse, storie di vita diverse ed esperienze pastorali diverse, si può tentare di identificare qualcosa che accomuna questi due grandi personaggi anche dal punto di vista spirituale.
 
Vi sono tre elementi comuni della spiritualità di papa Giovanni e di Giovanni Paolo II.
 
Il primo è un identico e profondo amore a Cristo e una fede sincera e fiduciosa nell’opera dello Spirito Santo.
 
Vi è poi un grande amore alla Chiesa pellegrinante e alla Chiesa del cielo, quindi non soltanto amore alla Chiesa che erano stati chiamati a servire, ma anche attenzione e devozione ai santi, in primis alla Madre di Dio e a San Giuseppe.
 
Un terzo aspetto è lo stesso sincero amore all’uomo, all’umanità a tutto campo, a cominciare dai bambini, dagli ammalati, dai disabili, dai detenuti, fino ai lavoratori, a i preti, agli uomini e alle donne di ogni ceto sociale e di ogni popolo e nazione.
 
Potremmo intravedere in questa triplice dimensione la spiritualità del buon pastore, espressione di quel ministero petrino che si manifesta nella responsabilità paterna su tutte le chiese e al servizio di tutta l’umanità. Un Papa pertanto che è chiamato a essere papà di tutti. E di questo, noi più anziani, siamo testimoni, perché sia papa Giovanni, con la sua grande affabilità e quella bontà d’animo così spontanea e naturale da essere chiamato il Papa buono, sia Giovanni Paolo II, con la sua intraprendenza a tutti i livelli e con una carica umana e missionaria incomparabile attraverso la quale ha dimostrato la sua sollecitudine paterna verso tutti i continenti del mondo, hanno vissuto una spiritualità di amore e di comunione dentro e fuori la Chiesa: veramente due padri dell’umanità.
 
Chi può dimenticare le manifestazioni di affetto grato di fronte alla bara di papa Giovanni e le file interminabili dei giovani e non giovani a Roma per potere dare un estremo saluto a Giovanni Paolo II, il papa delle GMG e del calore amorevole verso i giovani?

L’AMORE A MARIA E LA MISSIONARIETÀ
 
C’è un altro aspetto che accomuna la spiritualità di questi due pontefici: l’amore a Maria. Entrambi, infatti, hanno dimostrato la loro spiritualità marcatamente mariana sia attraverso la loro vita, sia nei documenti pubblicati. Basterebbe citare la Redemptoris Mater di  Giovanni Paolo II o la Grata Recordatio, un testo poco conosciuto di papa Giovanni sul Rosario, come preghiera significativa per le missioni e la pace.
 
Infine, un’ulteriore dimensione che li avvicina è la missionarietà, cioè lo zelo per l’annuncio dell’evangelo di Gesù a tutte le genti e il loro comune impegno per l’unità della Chiesa.
 
Ci troviamo di fronte a due espressioni importantissime di spiritualità di chi esercita il mandato pastorale che sono la dimensione ecumenica e quella missionaria al tempo stesso. Le due possono essere distinte, ma non separate, alla luce delle parole di Gesù nell’ultima cena: “Che siano uno perché il mondo creda”.

Non va dimenticato che uno degli scopi principali per cui Papa Giovanni aveva indetto il Concilio era proprio il desiderio dell’unità della Chiesa, un anelito raccolto nella sua esperienza di Legato Pontificio in Turchia e in Bulgaria, dove la Chiesa ortodossa è più presente. Uguale assillo in Giovanni Paolo II, il quale nutriva il sogno pressante di una riunificazione proprio con gli Ortodossi, perché la Chiesa potesse respirare di nuovo a due polmoni. Ripetutamente diceva: “Il tempo si fa breve; il tempo si fa breve; bisogna cercare presto l’unità!”.


IL MAGISTERO DI GIOVANNI XXIIII

Per alcune sottolineature più specifiche dei due pontefici è importante richiamare anche i documenti più significativi del loro magistero.

Due i testi di Papa Giovanni XXIII che più sono passati alla storia: le encicliche Mater et Magistra, del 1961, e Pacem in terris, del 1963, con le quali il Papa buono ha mostrato al mondo il suo cuore attento alla questione sociale e alla causa della pace in un momento molto delicato per i rapporti tra le superpotenze di allora, con la minaccia di una guerra reale.
 

Papa Giovanni non invocava una pace qualsiasi, ma la pace basata sulla verità, la giustizia, l’amore e la libertà. Questa stessa sua preoccupazione l’aveva espressa anche nella prima lettera enciclica, la Ad Petri cathedram del 1959, con la quale chiedeva di restaurare l’unità e la pace nella carità.

IL MAGISTERO DI GIOVANNI PAOLO II

Venendo a Giovanni Paolo II, l’elenco dei suoi testi magisteriali è tale da restarne sorpresi.

Va senz’altro ricordata la pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, un’opera di grande lavorio ecclesiale con cui il Papa, rispondendo alle richieste dei vescovi, voleva offrire alla Chiesa il punto di riferimento sicuro di una sana dottrina cattolica.

E poi la trilogia trinitaria con cui ci invitava a guardare ammirati al mistero di Dio che ci è Padre (l’enciclica Dives in misericordia), che ci è Salvatore, Maestro e Amico nel Signore Gesù (l’enciclica Redemptor hominis), che ci è Maestro interiore e Donatore di vita nello Spirito Santo (l’enciclica Dominum et Vivificantem).


Papa Giovanni Paolo II, guardando al mistero di Dio, non ha dimenticato lo sguardo all’umanità nel documento Laborem Exercens e poi nell’enciclica Centesimus Annus sui temi del lavoro. Si è poi espresso per la difesa della vita dal concepimento al suo tramonto con un altro testo magisteriale: l’Evangelium Vitae.
 
Non si possono, infine, tralasciare altri documenti nei quali Giovanni Paolo II esprime alcune tonalità preziose della sua spiritualità: anzitutto l’Ecclesia de Eucaristia, la lettera con cui indisse l’Anno Eucaristico e con la quale voleva richiamare i cattolici allo stupore eucaristico; e poi due testi cari alla spiritualità popolare cattolica, uno su Maria (la Redemptoris Mater) e l’altra sulla devozione a San Giuseppe e al suo ruolo nella vita di Cristo e della Chiesa (Redemptoris Custos).
 
Una straordinaria iniziativa di Giovanni Paolo II è stata la proclamazione dell’anno giubilare, con la richiesta di perdono fatta in San Pietro a Roma durante la Quaresima del 2000, un gesto umanissimo e di grande spessore ecumenico – probabilmente il più significativo di tutto il Giubileo –  con cui voleva non solo riconoscere gli errori dei membri della Chiesa lungo i secoli, ma anche manifestare pubblicamente l’umiltà di fronte a Dio, al quale veniva chiesto il perdono.
 
A conclusione del Giubileo, Giovanni Paolo II scrisse la lettera Novo Millennio Ineunte, con le fortissime tinte di una spiritualità che si esprime nell’arte della preghiera, nella comunione fraterna e nella fantasia della carità verso le nuove situazioni di povertà. A proposito di interiorità e di preghiera, va ricordata la frase che ha fatto storia qui da noi a Vicenza, quando nel 1991 il Papa venne in visita pastorale alla nostra Chiesa. Nello stadio comunale “Menti”, di fronte a migliaia di giovani, disse: “Ci vuole più vivere dentro”. Con questo voleva invitarli a una spiritualità più attenta al mondo interiore, cioè a una coscienza illuminata dalla Parola di Dio e della dottrina della Chiesa.

Infine, Papa Giovanni Paolo II era ammirato e stupito di fronte al mistero della Redenzione operata nella morte gloriosa di Cristo, e in questa dimensione stava la sua devozione profondissima alla Divina Misericordia. Per questo promosse la devozione a Gesù misericordioso, che trova nella Domenica in albis o della Divina Misericordia un riconoscimento pubblico, sull’onda dell’esperienza mistica della sua conterranea Santa Faustina, che lui stesso canonizzò.

ESEMPI DI VITA CRISTIANA
 
Vorrei concludere questo squarcio sulla spiritualità dei due grandi esempi di vita cristiana e apostolica nella Chiesa del nostro tempo che furono – e sono – questi due pontefici, ricordando i loro motti: Obbedienza e pace di Papa Giovanni XXIII, e Totus tuus di Giovanni Paolo II.

Fu papa Giovanni stesso a commentare il suo motto, anche se brevemente, nel Giornale dell’anima, il suo diario spirituale. Scrisse: “Queste parole – obbedienza e pace – sono un po’ la mia storia, la storia  della mia vita”. Con questo voleva evidenziare l’abbandono fiducioso a Dio e alla Chiesa: nell’obbedienza c’è la pace, obbedienza a Dio e alla Chiesa. Un abbandono che papa Giovanni esprimeva a volte, prima di andare a letto, quando diceva: “Io ora  vado a dormire, perché sono certo che la Chiesa è in mani buone, è nelle mani dello Spirito Santo, di cui io sono soltanto un povero strumento”.
 
Il motto di papa Giovanni Paolo II – Totus tuus – è un’espressione che aveva preso dal trattato sulla vera devozione a Maria di Grignion de Monfort, dove la frase completa in latino suona così: “Tuus totus ego sum, et omnia mea tuae sunt”, che tradotto vuol dire: “Sono tutto tuo e tutto ciò che possiedo appartiene a te”. Con questo Giovanni Paolo II voleva esprimere tutta la sua devozione alla Madre di Dio, dalla quale poi sarà anche così potentemente protetto il 13 maggio 1981, quando subì l’attentato mortale nel quale lesse una intensa e delicata protezione di Maria.
 
Le prime parole che Giovanni Paolo II disse quando assunse il servizio pietrino furono: “Non abbiate paura di Cristo; aprite le porte a Cristo, anzi spalancate le porte a Cristo!”. Questo suo invito risuoni forte nei nostri cuori quando, dopo la canonizzazione di domenica 27 aprile 2014, inizieremo a invocarne l’intercessione di Santo.
 
mons. Giandomenico Tamiozzo