«Anziché aspettare la manna dal cielo, cominciamo a seminarla»
Intervista a mons. Francesco Soddu direttore di Caritas Italiana


Martedì 25 febbraio 2014, a Zelarino (Ve), la Caritas Italiana, nelle persone del direttore mons. Francesco Soddu, del responsabile dell’Area nazionale Francesco Marsico e di Francesco Spagnolo dell’ambito formativo, ha incontrato direttori ed équipe delle Caritas del Nordest, in preparazione del 37° Convegno nazionale che si terrà a Cagliari dal 31 marzo al 4 aprile 2014 sul tema “Con il Vangelo nelle periferie esistenziali”.

«Il Convegno è opportunità di dibattito e confronto, ma ha necessità di trovare, a livello regionale e di singola diocesi, un tempo favorevole in cui portare il discernimento dal locale al nazionale», ha detto mons. Soddu spiegando i motivi dell’incontro nella regione ecclesiastica del Triveneto.

Abbiamo colto l’occasione della sua presenza a Venezia per rivolgergli alcune domande.
 

Monsignor Soddu, lei ha ribadito che “non c’è innanzitutto una Caritas italiana, ma ci sono le Caritas in Italia delle quali Caritas Italiana si pone a servizio”.  Com’è la situazione in Italia? Le Caritas locali sono accomunate da un cammino unitario o viaggiano a velocità differenti? 

«L’Italia è diversa, dal nord al sud, è sarebbe inesatto da parte mia affermare che c’è una omogeneità nelle Caritas diocesane. Però c’è un intento comune ed è servire la Chiesa attraverso la metodologia della Caritas. Il ruolo di Caritas Italiana, e del direttore nella fattispecie, è perciò quello di tessere quanto più possibile delle reti di omogeneità.
Poi, per quanto riguarda il mio modo di considerare il ruolo della Caritas, mi ha fatto piacere trovarmi in sintonia con il nuovo segretario della Conferenza Episcopale Italiana mons. Nunzio Galatino, il quale della Cei ha detto che non è un’entità autonoma e a sé stante, né una sovrastruttura all’interno della Chiesa, ma una  struttura a servizio della Chiesa. Ciò vale anche per la Caritas Italiana».


Monsignor Soddu, la Caritas Italiana è nata oltre 40 anni fa, ma lei si trova a ricoprire l’incarico di direttore nazionale nel periodo certamente più difficile per il Paese dal punto di vista economico e politico. Che cosa è chiesto alla Caritas oggi? Forse di affidarsi totalmente al Vangelo?

«Questo sempre e innanzitutto. Ma ci è chiesto anche di saper cogliere i segni dei tempi. Dal punto di vista sociale i cambiamenti si susseguono a una velocità supersonica, mentre non si riesce a capire che cosa sta succedendo alla politica… Saper leggere i segni dei tempi, allora, significa individuare con chiarezza i segnali di allarme, ma anche cogliere le positività. Ci sono elementi di criticità che, se non affrontati o mal gestiti, possono portare a situazioni estreme e irreparabili. Il nostro ruolo, dunque, è essere persone di speranza che sanno cogliere nella povertà la via che conduce alla ricchezza della condivisione ».

 
In Caritas, come si fa a essere uomini e donne di speranza?

«La speranza non ci viene da cose come una giornata di sole, di cui non abbiamo nessun merito, ma dalla nostra fede in Cristo. E, come afferma Papa Francesco nel Messaggio per la Quaresima, solo se noi ci facciamo poveri possiamo arricchirci di Lui. Poi bisogna avere il coraggio di utilizzare bene le strutture che ci sono affidate e di dare ad esse “il bel volto ecclesiale”. Pure in questo siamo aiutati da Papa Francesco, perché vale anche per noi ciò che ha detto ai cardinali, ossia che non siamo i padroni di niente, siamo invece i depositari: ci viene affidata una cosa e la dobbiamo riconsegnare. Ma nel passaggio da noi agli altri questa deve essere arricchita. Da che cosa? Dalla nostra povertà che è la ricchezza di Cristo».


Ha fatto cenno al Messaggio per la Quaresima, dove il Santo Padre cita le miserie di oggi: materiale, morale e spirituale. La Caritas non è chiamata ad occuparsi solo della prima…

«Il Papa affida alla Chiesa, perciò anche alla Caritas, il compito di curare ognuna di queste tre miserie con l’annuncio del Vangelo e il servizio concreto della carità, carità a tutto tondo.  Eppure sono convinto che se non ci preoccupiamo innanzitutto di superare pienamente la miseria morale, tutti gli altri interventi, per esempio quelli di sostegno materiale, non abbiano senso. Inoltre, tutto va fatto con assenza di giudizio, perché “bisogna fare la carità con carità”».

La grandi fatiche e le vicende drammatiche vissute da molte persone e famiglie a causa della crisi economica porterebbe alla tentazione di  denunciare e contrapporsi a chi non fa il suo dovere con coscienza. Invece l’invito che viene da Caritas Italiana è a non stancarsi di cercare vie di collaborazione e a costruire alleanze…

«Esattamente. Innanzitutto perché non si capisce con chi dovremmo prendercela. Con quale governo? Passano talmente veloci! Un paio di settimane fa, per esempio, con una delegazione di Caritas Italiana e Fondazione Migrantes ci siamo recati a Palazzo Chigi per consegnare un documento con richieste e indicazioni di intervento complete e puntuali. Il giorno dopo è caduto il governo! In questi anni, situazioni come questa ci capitano ripetutamente: otteniamo a fatica un appuntamento con un ministro, iniziamo il confronto, articoliamo proposte e poi o cambia il governo, o cambia il ministro…

Credo che oggi sia impossibile un welfare senza la collaborazione dei cittadini, delle organizzazioni di solidarietà, della Caritas… E’ necessario costruire alleanze a tutti i livelli, a partire dai quartieri e dalle città fino all’ambito nazionale. In questo momento di grave difficoltà siamo chiamati a recuperare ciò che in Italia manca da troppo tempo e di cui pare esserne rimasta traccia solo qui, nel Nordest».


A che cosa si riferisce?

«Allo spirito di iniziativa e di intraprendenza. Lo dico con un esempio: anziché aspettarci la manna da cielo, iniziamo noi a seminarla. E se non abbiamo la semente, inventiamocela». 
 
Luca de Marzi