FILM-DOCUMENTARIO

Che strano chiamarsi Federico

Ettore Scola racconta Fellini a 20 anni dalla morte

Ettore Scola racconta Federico Fellini a vent’anni dalla morte del grande regista e sceneggiatore italiano. Ma questo film è anche il racconto della loro profonda e leale amicizia, nonché della nostra Italietta, dagli anni del regime fascista a quelli detti di piombo. La storia inizia a Roma nel 1939 quando Federico approda a Roma, alla redazione del Marc’Antonio, periodico satirico, fucina di firme importanti del giornalismo e della letteratura. E’ il suo trampolino di lancio, dapprima verso la radio e poi verso la “settima musa”, la regia cinematografica, verso quel Teatro 5 di Cinecittà ove prenderanno vita i suoi capolavori indiscussi (da I vitelloni ad Amarcord, da La dolce vita a Il Casanova). Scola descrive l’amico con garbo, con affetto, tratteggiando un ritratto malinconico per un’Italia e per dei “bravi ragazzi” che non sono più. Attraverso un sapiente montaggio di sequenze d’epoca, intuiamo il significato dell’aggettivo “felliniano”, coniato mentre il grande regista era ancora vivente, ma che egli stesso non sapeva che cosa volesse effettivamente dire. Sogno, immagine, attenzione a tutto ciò che ha a che fare con “la sessualità, la religione, il mito”, come dimensioni imprescindibili per ogni esperienza artistica. Il film non affronta purtroppo il rapporto di Fellini con la Chiesa: pagine ancora da scrivere nella storia di un regista non convenzionale che anche qui ribaltò gli stereotipi, attirandosi le simpatie del conservatore cardinale Siri e gli strali del dialogante Montini. Alessio Graziani