DIOCESI DI VICENZA
ESEQUIE CRISTIANE

Criticità e potenzialità pastorali
alla luce del nuovo ordo (seconda parte)

Relazione di mons. Pierangelo Ruaro

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Rito delle esequie in caso di cremazione
 
La nuova edizione del Rito delle Esequie annovera nella sua struttura l’inserimento del rito delle esequie in caso di cremazione, elemento che, di fatto, costituisce la maggiore novità, e si specifica come adattamento del rito alla situazione pastorale della nazione italiana.
E’ questo il motivo per cui questa sezione – Esequie in caso di cremazione – compare nel rituale come appendice ed è posta subito dopo la celebrazione delle esequie che, come tale, rimane la celebrazione ordinaria.
Attraverso la forma e il contenuto delle celebrazioni, la Chiesa attesta che, sebbene non si opponga alla cremazione, essa considera che la distruzione non naturale del corpo umano non è conforme alla visione cristiana della natura del corpo dell’uomo, del suo valore e della sua dignità. I cristiani credono che il corpo dell’uomo è stato creato da Dio, redento da Gesù Cristo e santificato dallo Spirito.
«Attraverso la pratica della sepoltura nei cimiteri, la comunità cristiana – facendo memoria della morte, sepoltura e risurrezione del Signore – onora il corpo del cristiano, diventato nel Battesimo tempio dello Spirito Santo e destinato alla risurrezione. Simboli, riti e luoghi della sepoltura esprimono dunque la cura e il rispetto dei cristiani per i defunti e soprattutto la fede nella risurrezione dei corpi» (RE 165).
 
Con questo testo la Chiesa intende sottolineare che:
a) l’essere umano non ha un corpo, ma è corpo, che fa parte della persona umana, unito a Cristo nel battesimo e onorato dall’incensazione nella liturgia funebre;
b) nella sepoltura del credente la Chiesa intende mettere in evidenza l’esempio di Cristo che è stato sepolto ed è risorto;
c) nella celebrazione esequiale, la Chiesa vuole sostenere i credenti per aiutarli a elaborare il dolore e il distacco, in un cammino che si esprime anche mediante la visita al cimitero, come «luogo della memoria».

Nei testi della liturgia non si attribuisce un senso specifico alla cremazione, perché in essa non vi si riconosce alcun significato cristiano, ma la si considera unicamente
come una modalità che si è imposta nella nostra società come necessità soprattutto per ragioni pratiche dettate dal fenomeno dell’urbanizzazione.
Per questo viene affermata la preferenza per l’inumazione. In assenza di motivazioni contrarie alla fede la Chiesa tuttavia non si oppone alla cremazione e accompagna i diversi momenti con appropriate monizioni e preghiere.
E’, però, decisamente contraria alla prassi di spargere le ceneri oppure di conservarle in luoghi diversi dal cimitero, prassi che sottintendono spesso concezioni panteistiche e naturalistiche.
Ecco il motivo per cui il Rituale sottolinea l’importanza del cimitero come luogo della memoria e testimonianza della speranza della risurrezione. «Fare una passeggiata per il Cimitero in un giorno di primavera non è greve; è invece ritrovare memorie e dolce malinconia. Non memorie cattive o fastidiose, o sensi di rabbia o di rammarico per eventuali torti subiti, ma nomi e immagini di parenti, amici, coetanei, conoscenti, compaesani, e risalire le storie anche lontane nel tempo per averle sentite raccontare, o lette. Ogni volta mi ripeto che conosco più le persone che sono qui che non quelle che vivono nel paese» (M. RIGONI STERN, Stagioni, Einaudi, 2008, 54).
 
Qualche mese fa, in un foglio parrocchiale di una delle nostre parrocchie, si accennava alla possibilità di non concedere le esequie ecclesiastiche per chi opera una scelta diversa dal portare le ceneri in cimitero. Le parole sono riprese dal sussidio CEI Proclamiamo la tua risurrezione del 2007 che diceva: «Avvalersi della facoltà di spargere le ceneri, di conservare l’urna cineraria in un luogo diverso dal cimitero o prassi simili, è comunemente considerata segno di una scelta compiuta per ragioni contrarie alla fede cristiana e pertanto comporta la privazione delle esequie ecclesiastiche (can. 1184, 1,2)».
 
 
Questo passaggio, ritenuto troppo severo, è stato tagliato nel nuovo rito delle esequie. Se, infatti, anche altri episcopati nazionali avevano manifestato riserve per questo tipo di soluzione, tuttavia nessuno era arrivato a stabilire la negazione delle esequie ecclesiastiche.
Quando, nel 2008 si è presentato il primo caso italiano, di fronte al rifiuto del parroco, fedele alle indicazioni del sussidio CEI, la Curia vescovile di quella diocesi è intervenuta correggendolo e affermando che «a norma del diritto canonico, “le esequie ecclesiastiche vengono celebrate per tutti i fedeli, anche coloro che hanno scelto la dispersione delle proprie ceneri, a meno che tale scelta sia stata fatta per ragioni contrarie alla fede cristiana”».

Più che proibire, si tratta, allora, di scoraggiare la pratica della dispersione delle ceneri e di ogni loro conservazione privata, attraverso un’operazione formativa nella catechesi e nella predicazione.
Sia la dispersione che la conservazione privata risultano, infatti, poco congrue ad esprimere la pietà cristiana per i morti.
♦ La dispersione, infatti, rappresenta il simbolo dell’annullamento e del fondersi in modo definitivo nel cosmo, visione che contrasta con la fede cristiana.
♦ Circa la conservazione delle ceneri in casa privata, scelta spesso dettata da uno slancio sentimentale, va ricordato il rischio, col passare degli anni e il cambio delle generazioni, di una caduta d’interesse nei confronti delle ceneri del defunto, col pericolo di finire relegate in ambienti poco rispettosi o peggio, di essere buttate vie, venendo meno la memoria delle persone. Soprattutto, con tale scelta, viene preclusa, alle persone che sono al di fuori dell’ambito familiare, la possibilità di esprimere cristiana memoria nei confronti del defunto che hanno conosciuto e amato in vita.
 
Il popolo di Dio in cammino ha bisogno di luoghi della memoria «nell’attesa che si compia la beata speranza»; e ha il compito di testimoniare il senso della solidarietà di fronte alla vita come alla morte.
 
Tornando al Rituale, l’intero capitolo sulla cremazione si apre con una poderosa introduzione da cui emergono precise indicazioni sia di carattere teologico-pastorale sia liturgico-normativo. Dai principi dottrinali si passa, poi, a fornire alcune indicazioni di carattere pastorale. In particolare si mette in evidenza che la celebrazione liturgica delle esequie deve precedere la cremazione. Il rituale prevede una serie di momenti di preghiera sia al crematorio, dopo le esequie, sia per la deposizione dell’urna con le ceneri.
 
La celebrazione delle esequie dopo la cremazione è una soluzione eccezionale, dovuta a ragioni di natura pratica come la morte all’estero e rimpatrio in urna cineraria dopo la cremazione. Per questa celebrazione va coinvolto il Vescovo diocesano, il quale deve esprimere il suo giudizio sulla opportunità o meno di celebrare le esequie, compresa la celebrazione dell’Eucaristia, alla presenza dell’urna con le ceneri, tenendo conto delle circostanze concrete di ciascun caso, nel rispetto dello spirito e del contenuto delle norme canoniche e liturgiche.
 
Nel caso di celebrazione delle esequie dopo la cremazione, durante il rito dell’ultima raccomandazione e commiato, vanno omesse l’aspersione e l’incensazione, in quanto è il corpo e non le ceneri a ricevere gli onori liturgici, essendo diventato, con il battesimo, tempio dello Spirito Santo.

La personalizzazione dei funerali
 
Nella concreta gestione del momento centrale delle esequie, con il passaggio in chiesa, (per ora nella quasi totalità dei casi, con la celebrazione eucaristica), stiamo vivendo un momento di difficoltà a causa delle più disparate richieste di segni particolari, di interventi, di musiche etc. E’ un fenomeno esploso in questi ultimi anni causato dal fatto che la trasformazione del modo di vivere la morte ha determinatoanche la trasformazione del modo di viverne i riti, e questo nella direzione di una progressiva domanda di personalizzazione della ritualità funebre.
In questi funerali si crea, una specie di ritualità improvvisata parallela a quella ufficiale. La liturgia della Chiesa rischia di ridursi a semplice cornice cerimoniale all’interno della quale si attende il momento per intervenire in prima persona con discorsi, per ascoltare brani testuali o musicali, e anche collocare oggetti in grado di rappresentare la personalità del defunto e i sentimenti dei suoi cari.
Come scrivono i vescovi nelle Premesse generali del RE, al n. 2, si tratta di evitare i due estremi: l’estrema rigidità, che può apparire anche come scarsa accoglienza nei confronti delle persone, e la concessione indiscriminata di tutto ciò che viene chiesto. Scrivono i vescovi: «…accolgano volentieri quanto vi riscontrano di buono; se poi qualcosa risultasse in contrasto con i princìpi cristiani, cerchino di trasformarlo, in modo che le esequie celebrate per i cristiani esprimano la fede pasquale e manifestino uno spirito secondo il Vangelo» (RE Premesse 2).
Lo spazio per un intervento di ricordo del defunto, da parte di un familiare, o comunque di uno della comunità, è già previsto dal rito: «Dopo la monizione introduttiva all’ultima raccomandazione e commiato, possono essere aggiunte brevi parole di cristiano ricordo nei riguardi del defunto. Il testo sia precedentemente concordato e non sia pronunciato dall’ambone. Si eviti il ricorso a testi o immagini registrati, come pure l’esecuzione di canti o musiche estranei alla liturgia» (RE Precisazioni CEI 6).
Altri interventi e testimonianze, preghiere di gruppi dei quali il defunto ha fatto parte, possono trovare uno spazio (anche con un maggior respiro) sia durante la veglia di preghiera che normalmente si tiene in una delle sere precedenti le esequie, sia in chiesa, una volta conclusa la celebrazione, prima della processione al cimitero, sia, infine, al cimitero prima della tumulazione.

Sempre con la celebrazione eucaristica?
 
Le richieste che arrivano in occasione della celebrazione delle esequie, aprono una riflessione anche circa il particolare tipo di assemblee che in esse si crea. Sappiamo che l’obiettivo di una pastorale dei sacramenti è sempre quello di permettere alle persone di crescere nella fede. Così, anche nella pastorale dei funerali è necessario condurre le famiglie al cuore della fede, manifestata nella celebrazione dell’eucaristia, fonte di grazia per tutta la chiesa. Nessuno, ovviamente, mette in dubbio l’ideale della celebrazione eucaristica durante il rito delle Esequie. Non va dimenticato, però, che l’Eucaristia presuppone un’assemblea di credenti.
Nel contesto attuale ci troviamo, invece, di fronte a delle assemblee molto diverse e spesso poco familiari al sacramento dell’eucaristia. Tra l’altro si va diffondendo l’idea che per onorare il defunto, come segno di solidarietà umana, sia giusto fare la comunione al funerale, anche se non si è spiritualmente nelle condizioni richieste. Per cui tutti chiedono la comunione…
Forse dovremmo, anche con coraggio, riconoscere che, in molti casi, non è auspicabile che questa eucaristia sia celebrata al momento delle esequie in chiesa.
«Possono, (infatti) presentarsi situazioni pastorali nelle quali è opportuno, o addirittura doveroso, tralasciare la celebrazione della Messa e ordinare il rito esequiale in forma di liturgia della Parola» (RE Precisazioni CEI 2; RE 6).
Si potrebbe preferire un altro tipo di celebrazione (della Parola) al momento delle esequie, dove la partecipazione è più variegata, invitando successivamente le famiglie a venire a pregare per il defunto in occasione di una messa celebrata per lui appena possibile.
 
Promuovere nuove forme ministeriali
 
L’aspetto forse più importante che emerge da questa nuova edizione del RE è l’immagine di una chiesa che tutta intera pratica l’opera della misericordia del
«seppellire i morti», e accoglie ed accompagna le famiglie nel lutto.
 
Dal momento della morte fino alla tumulazione del corpo defunto, si svolge l’incontro tra la famiglia che vive il lutto e la chiesa che annuncia la speranza della risurrezione. Questo incontro è facilitato quando dei laici disponibili e preparati accompagnano le tappe e i luoghi delle esequie, con la loro sensibilità umana e spirituale. Tutto il popolo di Dio è interpellato per dare piena dignità alla celebrazione dei funerali nelle sue diverse tappe e nei molteplici ministeri.
 
“Ricordino tutti gli appartenenti al popolo di Dio che nella celebrazione delle esequie ognuno ha il suo compito e un ufficio particolare da svolgere: lo hanno i genitori o i familiari, gli addetti alle onoranze funebri, la comunità cristiana e tanto più il sacerdote, educatore della fede e ministro del conforto cristiano, che presiede l’azione liturgica e celebra l’Eucaristia” (RE 16).
 
In questa molteplicità e diversità di interventi di certo non sarà possibile pensare unicamente alla sistematica presenza del prete, (vista anche la difficoltà dovuta alla diminuzione numerica dei preti a fronte di un aumento di funerali, giustificato anche dal fatto che l’età media della popolazione sta crescendo); ma se non può esserci sempre il prete sarà comunque presente la comunità attraverso uno o qualcuno dei suoi membri.
Non si vuole diminuire l’importanza del ruolo del ministro ordinato, che rimane, comunque, privilegiato; ma è necessario investire al più presto nella formazione di nuove figure ministeriali, come manifestazione della presenza di tutta la chiesa, corpo di Cristo.
Già l’edizione del 1974 prevedeva, la possibilità che alcune preghiere per i defunti fossero dirette da fedeli laici (RE 19).
 
Dietro la necessità di coinvolgere ministri non ordinati (fedeli laici, religiosi/e) nella pastorale delle esequie e dell’accompagnamento del lutto non vi sono soltanto motivazioni pratiche: più che una ministerialità clericale da delegare, si tratta qui di una ministerialità ecclesiale da valorizzare, per manifestare il mistero di Cristo e della Chiesa che accompagna e consola nel tempo del lutto.
 
 
Le caratteristiche di questa nuova figura tra i ministeri di fatto presenti nelle comunità ecclesiali, che comunemente viene chiamata «ministero della consolazione», sono: capacità di presiedere un rito e farne comprendere il significato; paziente capacità di ascolto (i familiari potrebbero aver bisogno di sfogare pensieri e sentimenti che nella quotidianità vengono repressi); conoscenza almeno minima delle dinamiche psicologiche dell’uomo di fronte alla morte, per affrontare le situazioni disparate di sofferenza con cui si incontrerà; soprattutto una profonda umiltà e intensa capacità di amare quanti incontra nell’esercizio del suo ministero.
 
La nostra Diocesi ha già realizzato una prima esperienza formativa con una sessantina di partecipanti (con presenza di laici, religiosi e preti). Sarà necessario ripetere e rafforzare questo progetto, magari allargandolo alle diverse zone pastorali della diocesi.
I momenti in cui queste ministerialità laicali specifiche possono essere valorizzate sono:

1) la visita in famiglia, (cf RE, Presentazione CEI, 5; Premesse, 19).
2) La chiusura della bara dove, oltre alla guida di un laico idoneo, è prevista anche la possibilità di affidare la presidenza ad un familiare debitamente preparato (RE 42).
3) La veglia.
4) La processione al cimitero (quando è fattibile) ma soprattutto la preghiera che accompagna il momento della sepoltura o tumulazione.
5) Anche nel caso della cremazione, si può incaricare un laico per l’accompagnamento, dopo le esequie, al crematorio (là dove è possibile ed è consuetudine), e al momento della deposizione dell’urna al cimitero, per la preghiera di benedizione del sepolcro. Anche qui possono essere gli stessi familiari o gli amici ad accompagnare questo ultimo atto con la preghiera cristiana. (RE, Appendice, Indicazioni pastorali 167, 5/6).

Conclusione
 
Se lo stoico greco Pericle sentenziava: «Si giudica un popolo dal modo in cui seppellisce i propri morti», possiamo altrettanto affermare che si giudica una comunità cristiana dal modo in cui celebra i funerali dei propri morti celebrando la speranza pasquale.
Il Rito delle Esequie che oggi viene posto nelle nostre mani, può contribuire ad umanizzare il momento della morte, sottraendolo alla sua invisibilità e alla sua individualità, quando non alla sua spettacolarizzazione. Grazie alla liturgia ritroviamo una grammatica e una sintassi in grado di dar voce alla morte, anzi di farne una parola che interpella la vita di tutti.
Il Rito delle Esequie intende risvegliare la competenza rituale delle nostre assemblee, la differenziazione ministeriale e una pratica celebrativa raffinata che sappia utilizzare testi di preghiera e gesti con sapienza e maestria, per far gustare, anche «in hora mortis nostrae», i cieli nuovi e la terra nuova che ci attendono (2Pt 3,13) in comunione con l’evento pasquale di Cristo che risplende nella carne dell’uomo che muore.

don Pierangelo Ruaro
direttore dell’Ufficio per la Liturgia
della Diocesi di Vicenza