Estate, dopo i Grest ecco i Campi Scuola

Gioie e fatiche di chi si spende nell'organizzazione

 
Da più di 40 anni le parrocchie della Diocesi di Vicenza propongono a ragazzi, giovani e famiglie l’esperienza del campeggio estivo, come momento di aggregazione, condivisione, confronto e crescita. Sul territorio ci sono due realtà associative importanti che se ne occupano: “NOI Vicenza Oratori e Circoli”, l’associazione presieduta da don Matteo Zorzanello che è anche assistente diocesano ACR e l’”Associazione Campeggi Parrocchiali della Diocesi di Vicenza”, guidata fino a poco tempo fa da Luigi Veller che ha passato il testimone a Valter Seraglio.

«Il campeggio con le tende c’è ancora – osserva don Matteo Zorzanello – anche se mi verrebbe da dire che questo tipo di esperienza è per sempre meno persone. All’inizio, negli anni ‘70 e ‘80 c’era più spirito di avventura, si prendeva ad esempio la consolidata pratica degli scout e si dava importanza al contatto con la natura e all’essenzialità. Oggi si fatica a rinunciare alle comodità… ma non posso generalizzare. In tale ambito non c’è mai stata una regìa unica, quella dei campeggi è una tipica proposta che parte “dal basso” e ci sono differenze tra una parrocchia e l’altra. Ciò che è stato abbastanza comune, invece, è la figura di riferimento, di solito un prete, un perno attorno a cui si costituiva il gruppo di ragazzi. Oggi siamo in pochi e spesso i “don” sono anziani…Comunque il sacerdote rimane l’animatore spirituale del campo, aiutato da figure di adulti con vari gradi di responsabilità». 
 
Per quanto concerne gli animatori, la preferenza è per «animatori maggiorenni. Diversamente – nota don Matteo – ci si potrebbe trovare in difficoltà quanto a preparazione e assunzione di responsabilità. Ma so che in altre parrocchie ci sono anche animatori minorenni. I partecipanti vanno dalla terza elementare alle medie e poi, dai 16 anni in su, c’è il settore giovani».
 
Don Zorzanello è convito del valore sociale di questa esperienza anche se l’approccio educativo va adeguato ai tempi. «Una volta – osserva – andare al campeggio significava sospendere i legami con la realtà di provenienza. Oggi tutti i ragazzi hanno uno smartphone e sarebbe sciocco ignorare l’esistenza dei social network. Occorre esserci: stando al gioco ma da adulti, da preti, comunicando notizie positive, diventando credibili per ciò che poi si dirà nel proprio ruolo. Nel contempo il campeggio deve mantenere e far passare l’idea che le relazioni vere sono un valore di fondo. Così come deve emergere il riferimento alla figura di Gesù sia nei momenti di preghiera che negli approfondimenti di un tema preso da un’esperienza biblica. Essere amici di Gesù nei fatti, insomma».
 
Per quanto riguarda le criticità Zorzanello ne vede tre: «La formazione degli animatori, non sempre adeguata; la scarsità dei preti come riferimento per queste esperienze; un certo ristagno nell’inventiva».
 
Luigi Vellar difende entusiasticamente l’esperienza in tenda quale sano rituale che mette in diretto contatto con l’ambiente ragazzi e adulti. Secondo lui oggi «ci sarebbe un ritorno a questa esperienza che rappresenta un momento formativo per chiunque, comprese le famiglie». Vellar esprime l’orgoglio per la sua lunga esperienza all’interno dell’Associazione Campeggi Parrocchiali e invita tutti nel quartier generale del Villino Rossi di Povolaro. «Al momento – sottolinea – ci sono 13 realtà che aderiscono, ma le nostre porte sono aperte  al confronto, per fare rete mantenendo i valori e i presupposti che queste attività non devono perdere di vista. Un maggior coordinamento all’interno della Diocesi sarebbe importante».
 
Gli fa eco Valter Seraglio, attuale presidente della stessa associazione: «Mi piacerebbe che fosse la Diocesi ad attivare un confronto tra i soggetti che stanno seguendo queste attività per affrontare insieme le criticità». Tra i problemi cita  per esempio «la mancanza di continuità. Anche in parrocchia, durante l’anno si soffre di questo e quindi è difficile fidelizzare i ragazzi. Ai campeggi vengono con il passa parola di chi ci è già stato ma se alla fine del campeggio sono tutti entusiasti poi quelli che si ripresentano sono pochi.
Una volta, “l’animato” diventava naturalmente animatore per la coesione del gruppo che si era venuto a creare. Oggi gli animatori hanno 30 anni e giustamente cominciano a metter su famiglia, non c’è ricambio. Perciò credo che se recuperassimo un’unità pastorale riusciremmo a non perdere tanti ragazzi per strada».
 
Mariagrazia Dal Prà
 
Articolo da La voce dei Berici della scorsa settimana