“HO DECISO, ALLORA, DI CONOSCERE LA SAPIENZA E LA SCIENZA COME ANCHE LA STOLTEZZA E LA FOLLIA”

La sintesi del secondo incontro della Scuola del lunedì con mons. Roberto Tommasi. Ascolta su RADIO OREB e VIDEO

 
Ascolta l’intervento su Radio Oreb FM 90.2 venerdì 22 Febbraio alle ore 11.00 in replica alle ore 22.00 e sabato alle ore 10.00 QOÈLET DOMANDE PIU’ CHE RISPOSTE: IL GUSTO DEL PENSARE   mons. Roberto Tommasi, preside e docente di filosofia alla Facoltà Teologica Triveneta di Padova   Vicenza, Centro “Mons. Arnoldo Onisto”, 25 febbraio 2019   Don Roberto ha iniziato con due citazioni di due grandi filosofi. Blaise Pascal parlava del pensare come “Travailler à bien penser” (Lavorare per pensare bene), sottolineando che il pensare è un lavoro, un impegno, una competenza da acquisire, non solo in senso accademico, ma anche di esperienza del vivere. Martin Heidegger, invece, in una sua opera si pone l’interrogativo “Was heißt denken” (Cosa significa pensare). Il pensare fa parte della tradizione cristiana, la quale ha sempre cercato il confronto tra fede e ragione, realtà che insieme permettono di raggiungere una  maturità della esperienza di fede e di accedere, non pienamente, al mistero di Dio. L’armonico rapporto tra fede e ragione è di fondamentale importanza per evitare di cadere negli estremismi del razionalismo e del fideismo. Alla luce di questo pericolo va letta e riscoperta l’enciclica di S. Giovanni Paolo II “Fides et ratio”, dove il Papa parla della fede e della ragione come delle due ali, che aiutano l’uomo ad aprirsi alla verità e a Dio. Ai nostri giorni, anche in ambienti ecclesiali, il tema del pensare appare non consueto, perché si è troppo preoccupati dell’aspetto pratico, concreto della vita; si è troppo sbilanciati sul versante del pragmatismo. Tale comportamento non permette di capire che, se la fede è pensata diventa comunicabile a tutti, perché l’ambito della razionalità è comune a tutti gli uomini, e favorisce il dialogo. Infatti, mai si dovrebbe dimenticare che la fede la comprende solo chi ce l’ha; pertanto, per poterla testimoniare a tutti, è necessario partire da un terreno comune. A tal riguardo, don Roberto ha citato il discorso alla Chiesa di Milano dell’arcivescovo Mario Delpini in occasione della festa di S. Ambrogio (06.12.2018) intitolato “Autorizzati a pensare. Visione e ragione per il bene comune”, ma ha anche richiamato i quattro principi evidenziati da papa Francesco nel cap. IV dell’esortazione apostolica “Evangelii gaudium” (nn. 221-237): il tempo è superiore allo spazio, l’unità prevale sul conflitto, la realtà è più importante dell’idea, il tutto è superiore alla parte. Questi testi aiutano a comprendere l’importanza, nell’ottica del pensare, del discernimento, ossia la capacità di collegare tra di loro la Parola di Dio, la situazione concreta e le istanze che abitano la singola persona. Non solo, ma essi permettono di cogliere anche il valore della sinodalità, oggi al centro di un significativo dibattito all’interno della Chiesa. Entrando nel cuore del suo intervento, il relatore ha sottolineato che la persona dev’essere consapevole della propria capacità di pensare, con i limiti e le ambiguità che sono propri al pensiero. Per capire il pensiero non è necessario partire da esso, ma da dove si fonda. Don Roberto ha fatto, quindi, riferimento alla fenomenologia di Edmund Husserl, il quale sosteneva che si deve pensare il pensiero partendo dalla condizione dell’uomo, che è nel mondo (cfr. Heidegger: “In der Welt sein” essere nel mondo). Questa posizione ha corretto il pensiero di Cartesio, che era partito dall’io senza il corpo, quindi l’io impossibilitato ad accedere alla realtà. La fenomenologia sostiene che i cinque sensi del corpo umano sono strumenti necessari per accedere alla realtà. La riflessione cartesiana risulta così autoreferenziale, mentre la fenomenologia afferma che l’uomo si comprende dentro il mondo della vita. Il pensare, allora, comincia dal nostro corpo, grazie al quale l’uomo può comprendere meglio se stesso (cfr. anche le neuroscienze). Tutto l’uomo pensa nell’unità e nella complessità dentro le quali vive e ciò avviene nelle tre direzioni del sentire, dell’agire e del pensare, tra loro correlate, interagenti. Il pensare riprende e rielabora le sensazioni e le azioni per scoprirne la ragione, l’essere più profondo. Il pensiero è un’attività che connette l’uomo al mondo, perché l’uomo è libero in quanto pensa. Il pensiero, poi, è fondato sullo sguardo e sulla capacità di collegare e di distinguere tra l’essere e gli enti. Una capacità oggi debole, che porta a recuperare il rischio denunciato da Heidegger che il pensiero è strumentale, quando è preoccupato di pianificare per dominare. Invece, il pensiero non dovrebbe essere calcolante, ma meditante per poter avere una visione intera della realtà. Questa riflessione permette di capire che lo stesso mistero di Dio va cercato nell’essere e non tra gli enti, cadendo così nell’idolatria. Don Roberto si è, quindi, soffermato sullo sguardo, realtà fondamentale per capire che il pensiero è questione anche di attenzione al proprio corpo, il quale si situa qui ed ora, vale a dire in una situazione specifica che cambia, cambiando il qui e l’ora. L’uomo è sempre situato, ma la situazione è frutto di una scelta di prospettiva e di libertà. Non esiste, pertanto, neutralità negli uomini, sempre situati. Pensare di essere neutrali significa pensare di essere come Dio; invece è necessario maturare con umiltà la consapevolezza del proprio essere situati, limitati. Tale situazione prospettica porta a vedere progressivamente la realtà come anche a non vederla. Ne consegue che la ricerca della verità nella realtà avviene attraverso il dialogo, con semplificazioni e complicazioni. Il pensare porta alla formulazione di domande e, quindi, ad un processo, un cammino con fasi di sviluppo. Lo sviluppo inizia da un pensiero che è chiamato a diventare un sapere. Tale divenire aiuta a comprendere che è necessario aprirsi alla consapevolezza  che la realtà è più ampia e complessa di quanto pensa la singola persona. Non riconoscere ciò equivale a chiudersi in se stessi e a non dare spazio al dubbio, che permette, invece, di essere aperti allo sviluppo. Lo stesso Cartesio parlava del dubbio metodico, capace di mettere in moto la ricerca per giungere ad un sapere fondato, perché elaborato nel dialogo con gli altri, nel confronto. Un sapere, comunque, rivedibile, non definitivo. A questo punto, don Roberto ha parlato di due livelli fondamentali di pensiero. Innanzitutto, abbiamo il pensiero implicito, cioè un fare ed un agire  che contengono già delle motivazioni. Si tratta della parte maggiore del pensare umano. C’è, poi, il pensiero esplicito, che consiste nell’articolazione complessa di diversi elementi e che è tipico delle persone che, per professione, dedicano tempo al pensare in senso stretto. Alla luce di quanto detto, il relatore si è soffermato sul significato di cultura, intesa come universo simbolico proprio di una determinata realtà, situazione, dove azione e ragionevolezza si incarnano; sul significato di interdisciplinarità dei saperi, da intendere non come  un metterli uno accanto all’altro, ma riconoscerli nella loro specificità e proprio per questo chiamati ad un rapporto dialogico, rispettoso e paziente; sul significato di dialogo, caratterizzato dall’ascolto dell’altro, che vuol dire attesa rispettosa che l’altro si manifesti nella sua alterità, per essere così se stesso. Concludendo il suo intervento, don Roberto ha offerto tre pensieri riassuntivi. Il primo rimanda ad Heidegger, il quale diceva che “denken ist danken” (pensare è ringraziare), sottolineando che la realtà va accolta, pensata con riconoscenza. Il secondo lega il pensare alla promozione umana, ossia aiutare l’altro a pensare, contribuendo così alla crescita dell’umanità. Il terzo è espresso dalla domanda: Dio c’entra in tutto questo? Attingendo alle figure di Tommaso d’Aquino e di Karl Rahner, i quali parlavano del pensiero umano come di capax Dei, la risposta è affermativa, precisando che la libertà, l’intelligenza, la volontà sono dell’uomo, ma lui non se le è date, le ha ricevute in dono. E questo chiama in causa la responsabilità propria dell’uomo.   Massimo Pozzer