I membri degli istituti secolari sono laici che hanno scelto di consacrare la loro esistenza a Dio

Vivere nel mondo per essere lievito che fermenta

 
Sono medici, operai, insegnanti, imprenditori…vivono da soli o in famiglia,  ma conducono una vita simile per certi aspetti a quella dei religiosi di cui hanno in comune i precetti evangelici (povertà, castità e obbedienza) ma non la vita comunitaria. Sono i membri degli Istituti secolari: laici che hanno scelto di consacrare interamente la loro esistenza a Dio, impegnandosi a testimoniare la loro fede nei diversi luoghi dove vivono e lavorano.

Si tratta di una forma di vita consacrata presente anche nella nostra Diocesi, che si impegna silenziosamente nei tanti ambiti in cui è inserita. «È una vera e propria dimensione di chiesa in uscita – dice mons. Giuseppe Bonato, direttore dell’Ufficio diocesano per la Vita Consacrata -. Il compito primario di un consacrato secolare certamente è di partecipare alla vita della sua comunità perché cristiano impegnato, ma il suo servizio è un servizio extra ecclesiale: nel sindacato, nel partito politico, nell’ospedale, nel mondo della scuola».
 
Queste persone non le noti, perché non hanno caratteri distintivi, esprimono una testimonianza silenziosa perché chiamati al riserbo. «Scegliere questa forma di vita consacrata vuol dire assumere tutta la realtà del mondo e portarci dentro i valori del Vangelo, vissuti attraverso i consigli evangelici – spiega Agnese Peroni secolare -. è vivificare il proprio ambiente di vita attraverso i valori evangelici, incarnandoli. È una scelta che si concretizza nella castità, nel non voler possedere l’altro, nel lavorare per la vita dell’altro. Una scelta che si esprime nella povertà accettando le situazioni in cui si vive, la precarietà, la provvisorietà; la povertà di non riuscire a realizzare certi sogni ma di portare l’amore di Dio in quella realtà».
 
«È la scelta di vivere da soli una consacrazione totale pur all’interno di una struttura (Istituto di cui si fa parte) che dà alcuni riferimenti, però non è così presente come per un religioso che vive all’interno di una comunità – spiega Maria Chiara Lovison coordinatrice dei rappresentanti degli Istituti secolari diocesani  riuniti nella CIIS (Conferenza Italiana Istituti Secolari) -.  Le difficoltà e i momenti di crisi vengono gestiti in maniera completamente differente rispetto ad un consacrato che vive in comunità». 
È una vita dove la radicale sequela del Vangelo si misura con la quotidianità, con le fragilità dell’esistenza. «Una donazione totale che passa tutte le stagioni della vita – continua Agnese -, stagioni in cui ti puoi esprimere in tutte le tue possibilità, e stagioni in cui devi fare i conti con il declino della vita da affrontare anche da soli. Al di là di questo c’è l’importanza, secondo me, di un Istituto dove ci si verifica continuamente».
 
«Ogni mese abbiamo il ritiro e un programma di vita che è la preghiera quotidiana – spiega Maria Chiara -, ogni quindici giorni è previsto un incontro fraterno. La CIIS, inoltre, organizza ogni due mesi un incontro tra i membri dei diversi Istituti per vedere insieme le varie iniziative della Diocesi e collegarsi con quelle proposte dai religiosi». 
  La peculiarità di questa forma di vita consacrata è di vivere nel mondo “per essere lievito che fermenta”. «Il laico consacrato è un po’ questa realtà nascosta, come il lievito che non si vede, però fa fermentare la pasta – dice Agnese -, cerca di far emergere qualcosa di positivo, aiuta a far crescere la comunità, aiuta a far sì che nell’ambiente in cui è presente ci sia più giustizia, si lavori per il bene comune. Lo stare dentro – continua – è rinviare l’uomo a valori che sono al di là di quel materialismo per cui sta vivendo».
 
Giuseppe Bedin
 
 
Articolo da La Voce dei Berici di questa settimana