I risvolti patologici della società dell’immagine

Una riflessione di don Sandonà a margine di recenti fatti di cronaca

 
Succede tutto nella notte tra sabato e domenica scorsi, verso le 4.30. Quattro ragazzini di 13, 14 e 15 anni (tre maschi e una femmina) di origine rom e sinti, prelevano un tombino in corso Fogazzaro, nel centro storico di Vicenza, e rompono la vetrina di un vicino negozio di telefonini “H3G”. Rubano due smartphone di ultima generazione che si trovavano sugli scaffali e si danno alla fuga. Poco dopo vengono individuati e arrestati dal maresciallo capo dei carabinieri di Vicenza Gianluca Lombardi, in azione con i suoi uomini. 
Domenica 10 aprile il Giornale di Vicenza pubblica la fotografia scattata agli adolescenti in caserma dal proprietario del negozio, vittima del furto. I giovani appaiono con i pollici verso l’alto; i visi, data l’età, sono oscurati.
 
 
Non vogliamo negare i fatti: siamo di fronte ad un atteggiamento di trasgressione adolescenziale che oltre a comportamenti illegali evidenzia un grande tasso di esibizionismo che oggettivamente infastidisce, come infastidirebbe se a tenerlo fosse un evasore fiscale, un uxoricida o un  mafioso; purtroppo nel nostro Paese l’esibizionismo successivo a comportamenti illegali non è esclusiva di questi adolescenti.
 
Si tratta però di adolescenti, non di “immondizia”. E quindi come per qualsiasi adolescente che abbia comportamenti illegali va fatto un lavoro di valutazione che coinvolga, come sta coinvolgendo, le istituzioni preposte, compreso il Tribunale dei Minori, al fine – come vuole legge relativa ai minorenni – di valutare percorsi di responsabilità della famiglia finalizzati al recupero comportamentale.
 
Quanto all’esibizionismo, duole constatare che la moltiplicazione dei selfie o dei profili social si dimostra, non solo per questi adolescenti ma ormai per tantissime persone anche adulte, un indice di un rapporto virtuale con la realtà, per il quale “di me risulta vero ciò che riesco a postare”, esibendolo, nei social. E come sempre, quando ci sono comportamenti culturalmente maggioritari, gli adolescenti, compresi gli adolescenti rom e sinti, ne sono la cartina di tornasole anche per quanto riguarda i risvolti patologici di linguaggio e di immagine. In tal senso vi è perfetto adeguamento in questa deriva culturale da parte di molto adulti, anche con responsabilità istituzionali, che si sono espressi su questa vicenda.
 
Noi come Caritas – e con Caritas intendo la marea di volontari e persone che credono e operano per la dignità di ogni persona – siamo dunque fra quelli che con determinazione ribadiscono la propria convinzione nel fatto che nessuno sia così ricco da non avere nulla da ricevere e che nessuno sia così povero da non avere nulla da dare. In altre parole, crediamo che ogni persona, ancor più se adolescente, debba sì rispondere delle proprie azioni, delle proprie parole e delle proprie relazioni anche virtuali, ma che altrettanto abbia diritto ad un intervento penale che – che come vuole la Costituzione –  non ha mai scopo di vendetta ma di rieducazione, senza buonismi.
 
Altresì restiamo tra quanti pensano che fatti raccapriccianti di violenza che tocchino adulti o minorenni, come quelli che negli ultimi mesi hanno interessato la società italiana più volte, debbano essere motivo di riflessione, per tentare di capire cosa nel nostro modo di operare e pensare favorisce relazioni alienanti, deresponsabilizzanti e spesso cariche di violenza, anche dal risvolto penale.
 
 
Don Giovanni Sandonà
 
Direttore Caritas Vicentina