“La memoria divenga fonte di pace e apra al futuro”

Mons. Pizziol a Schio per l'anniversario dell'eccidio esorta alla riconciliazione e all'amore per i nemici

 
 Di seguito il testo dell’omelia tenuta dal vescovo mons. Beniamino Pizziol venerdì 7 luglio nel Duomo di Schio in occasione del 72° anniversario dell’eccidio del 1945:
 
Desidero rivolgere un saluto cordiale a tutti coloro che partecipano a questa celebrazione:
– la Comunità cristiana di Schio
– coloro che hanno firmato il “Patto di concordia civica” (nel 2005):
                (Dichiarazione sui valori della concordia civica)
•    i familiari delle vittime dell’eccidio
•    i rappresentanti delle Associazioni partigiane
•    l’Amministrazione comunale, col sig. Sindaco
•    le autorità qui presenti (civili e militari)
Saluto anche i preti, i diaconi, i consacrati e le consacrate.

    Ho accettato l’invito a presiedere questa Santa Messa per condividere con voi due grandi doni di Dio: il dono dell’Eucaristia e il dono della sua Parola, che è luce per il nostro cammino e lampada per i nostri passi (cfr Salmo 119,105).
    Celebrare l’Eucaristia significa “far memoria”, o – meglio ancora – “memoriale”, di un evento che ha segnato la storia sia delle Comunità cristiane ma anche la storia dell’intera famiglia umana. Facciamo il “memoriale” di un uomo che ha donato se stesso fino alla morte per amore di ciascuno di noi, di ogni uomo e di ogni donna, di ogni tempo e di ogni luogo.
Quest’uomo, per i credenti, è il Figlio di Dio, Gesù, che ha amato noi più della sua persona e della sua vita.
Ogni celebrazione eucaristica assume in sé le sofferenze e le fatiche degli avvenimenti del passato, di quelli presenti e ci apre, in modo nuovo, agli eventi futuri.

    Le letture che abbiamo ascoltato vengono considerate da ogni cristiano e da ogni uomo appassionato nella ricerca della verità, come Parola di Dio per i primi e come parola autorevole e degna di essere ascoltata per tutti.
    Il brano del profeta Isaia è rivolto a quella parte del popolo ebraico che era ritornata dall’esilio a Babilonia e che cercava di ricostruire la città e il tempio di Gerusalemme, ma soprattutto cercava di ritrovare l’identità e la gioia di sentirsi nuovamente popolo.
La delusione, lo scoraggiamento, lo sconforto invadono l’animo dei capi, dei sacerdoti e di tutti i rimpatriati.
Per comprendere concretamente questa drammatica situazione, possiamo pensare a quello che i nostri nonni, i nostri padri hanno vissuto – anche in questi luoghi, in queste terre – 100 anni fa nella Prima Guerra Mondiale e, dopo pochi decenni, nel Secondo Conflitto Mondiale.
Le ferite e i lutti di quelle guerre che hanno coinvolto milioni di uomini e donne sono ancora aperte e presenti nelle nostre famiglie, nella Comunità civile e in quella religiosa, nella storia della nostra regione, del nostro Paese e del mondo intero.
Facciamo nostre, questa sera, le parole che il profeta Isaia rivolge al popolo oppresso, abbattuto e smarrito: si tratta di un “annuncio di speranza e di salvezza” da parte di Dio..


    “Io sono con gli oppressi e gli umiliati,
    per ravvivare lo spirito degli umili
    e rianimare il cuore degli oppressi…” (Is 57,15)
   
    “voglio sanare il mio popolo,
    guidarlo e offrirgli consolazioni.
    Ai suoi afflitti io pongo sulle labbra (queste parole):
    «Pace, pace ai lontani e ai vicini,
    io li guarirò!»” (Is 57,18-19).
   
Solo con l’aiuto della grazia di Dio è possibile rimuovere gli ostacoli che ci tengono fermi in un dolore chiuso in se stesso, privo della sua fecondità spirituale.
Concentrando il nostro sguardo e il nostro cuore in Dio possiamo comprendere in profondità l’invito del Profeta al popolo paralizzato dalla memoria drammatica dell’esilio:

    “Non ricordate più le cose passate,
    non pensate più alle cose antiche.
    Ecco io faccio una cosa nuova:
    proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?
    Aprirò anche nel deserto una strada,
    immetterò fiumi nella steppa!” (Is 43,18-19).

Anche nel deserto e nella steppa delle nostre solitudini, delle nostre incomprensioni, dei nostri conflitti, il Signore aprirà strade percorribili e fiumi carichi d’acqua, capaci di far germogliare frutti di giustizia e di pace. Riconosciamo, con animo sincero e grato, quanto il Signore ha fatto crescere, in questi 72 anni – dal giorno dell’eccidio – nei nostri cuori, nelle nostre relazioni, nelle nostre comunità. Vogliamo ricordare il “Patto di concordia civica” del  2005; i molteplici segni di riconciliazione e di perdono, espressi pubblicamente o rimasti nell’interiorità delle singole persone.

    Lasciamoci, ora provocare alla pagina del Vangelo: essa appartiene al “Discorso della Montagna” riportato da Matteo (e che si apre con la proclamazione delle Beatitudini).
Il brano che illumina questa celebrazione tocca il vertice più alto e la dimensione più profonda e radicale della esperienza di chi ha intrapreso il cammino della sequela di Cristo:


    “Ma io vi dico:
    Amate i vostri nemici
    e pregate per i vostri persecutori”
(Mt 5,44).

La realizzazione piena di queste parole la troviamo in Cristo – prima di morire:
    “Padre, perdona loro
    perché non sanno quello che fanno!” (Lc 23,34). –

nel diacono Santo Stefano (cfr At 7,60) e in tanti martiri che hanno contrassegnato la storia della Chiesa e della famiglia umana con il dono supremo della propria vita.

Gesù ci fa comprendere che il nostro cuore non è fatto per orizzonti chiusi.
Egli ci inibisce qualsiasi principio di esclusione, e ci chiede di assumere il principio di inclusione, così aperto e sconfinato da comprendere anche i nemici.
Questo insegnamento di Gesù è del tutto nuovo rispetto alla mentalità dominante del suo tempo, e – dobbiamo constatare – anche di quella del nostro tempo…!
La motivazione di questa “scelta di vita” sta nell’amore gratuito e incondizionato che noi riceviamo da un Dio che è Padre, che fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti.

Tendere alla perfezione (“Voi dunque siate perfetti come è perfetto il Padre vostro del cielo” – Mt 5,48) significa allora conformare il nostro cuore a quello del Padre e imparare da Lui quella “giustizia superiore” che consiste nella gratuità dell’amore.
L’amore di Dio Padre è gratuito, con tale assolutezza che dà le vertigini.
E quando ne troviamo qualche riflesso, nelle persone che vivono attorno a noi, va accolto come un dono che ci interroga e ci scuote.

Ogni celebrazione eucaristica, confrontata con la nostra vita, è una verifica della sincerità con cui riconosciamo la gratuità dell’amore del Padre e lo testimoniamo verso i nostri fratelli.

Infine, proprio a partire dall’esperienza di questa eucaristia, che è il memoriale della Passione, Morte e Risurrezione di Gesù, vogliamo chiederci quale rapporto esiste tra la memoria degli avvenimenti drammatici accaduti in un passato più o meno recente, e il nostro pensiero e il nostra impegno nell’attuale contesto sociale e religioso.

Certo: la memoria non va annacquata né dimenticata, ma essa è destinata a diventare fonte di pace e di futuro.
La memoria non deve essere motivo di risentimento, essa serve a evitare che gli errori e gli orrori del passato non si ripetano più.
La memoria rende possibile un cammino di riconciliazione e apre ad un futuro più giusto e più umano.

Questa memoria creativa e feconda vogliamo consegnare alle giovani generazioni e a tutti gli uomini e le donne che sanno sognare e lavorare per un mondo dove possano incontrarsi e dimorare insieme “misericordia e verità, giustizia e pace”! (Salmo 85,11).

 
+ Beniamino