La Televisione italiana compie 60 anni

Nacque il 3 gennaio 1954


Il 3 gennaio 1954 nasceva la Televisione in Italia. Nonostante i costi proibitivi (un apparecchio inizialmente costava quanto un’automobile) e le grida allarmistiche di alcuni intellettuali preoccupati per gli “effetti manipolatori” che essa avrebbe certamente esercitato sulle coscienze (così ad esempio Paolo Monelli sulla Stampa di Torino), la televisione si diffuse rapidissimamente nelle case degli italiani, portando a profondi cambiamenti nelle consuetudini di vita di singoli e famiglie. Se negli anni 50, infatti, prevaleva ancora la fruizione collettiva dei programmi televisivi (si andava al bar o a casa di amici per vedere Lascia o raddoppia? o Il musichiere o Campanile sera), successivamente “guardare la televisione” divenne un fatto privato, personale, che portò le famiglie ad accelerare quel processo di privatizzazione della vita che avrebbe profondamente mutato il volto della società italiana.

La storia della televisione può essere divisa in due grandi periodi. Il primo è caratterizzato da quella che è stata definita la “paleo televisione pedagogica” e arriva fino al 1975. Sono gli anni della RAI di Bernabei in cui la TV diviene strumento di un processo di unificazione culturale e linguistica del Paese (si pensi alla trasmissione del maestro Manzi) senza precedenti. Aldo Grasso ha definito questa televisione “il più formidabile progetto culturale che il mondo cattolico abbia saputo esprimere”, teso al national building attorno ad un preciso sistema di valori e stili di vita (molti dei quali mutuati da format provenienti dagli Stati Uniti d’America).

Il 1975 è l’anno che vede la fine dell’era Bernabei e l’introduzione delle trasmissioni a colori.

Nel 1976 finisce anche il monopolio della RAI: nascono le prime emittenti commerciali. Inizia la seconda fase della storia televisiva in Italia. Gli anni 80 vedono definitivamente il prevalere della funzione di intrattenimento su quella pedagogica, la fine di Carosello e il diffondersi della pubblicità in modo incontrollato in ogni parte dei palinsesti. Si diffondono i primi talk show, le sit commedy, programmi entrati nell’immaginario collettivo come La Corrida, Il gioco delle coppie, Ok il prezzo è giusto, Drive in, ma anche Chi l’ha visto? e Telefono giallo che donano protagonismo all’italiano medio, ma mostrano anche il lato peggiore e spesso volgare della nazione.

La scesa in campo di Berlusconi nel 1994 è possibile proprio grazie alla TV commerciale e forse anche motivata da essa (un altro governo avrebbe potuto legiferare mettendo a rischio l’impero Mediaset). Vince contro un nemico paventato (il comunismo) e con una promessa (meno tasse): emotività e privatizzazione sono i due tratti più evidenti della nuova cultura italiana ben rispecchiati dalla televisione. La propaganda di Forza Italia è modellata su quella commerciale, Publitalia si trasforma in partito. Il grande fratello (2000) è l’icona mediatica di tutto questo e del clima in cui si fecero le successive campagne elettorali. Il piccolo schermo rispecchia una rivoluzione culturale compiuta, anche se non mancano voci critiche che manifestano l’esistenza di spettatori più consapevoli che spesso si orienta verso i programmi della pay tv. Il piccolo schermo non muore, tuttavia, come qualcuno aveva ipotizzato. La tv commerciale ha aiutato questa spinta ad una Italia degli individui, ad un ripiegamento sul privato, alla difesa di piccoli interessi particolari e i motivi del suo successo stanno nella capacità di ridurre la complessità, di costruire miti di successo, di offrire beni di consumo che promettono felicità.

Oggi, mentre cerchiamo di uscire da una crisi profonda, culturale prima ancora che economica,  vedremo anche una nuova trasformazione di questo importante mezzo di comunicazione?Alessio GrazianiPer approfondire
GIOVANNI GOZZINI, La mutazione individualista, Gli italiani e la televisione 1954 – 2011, Laterza 2012.