Le parole della Laudato Si’: contro la “cultura dello scarto” che porta a consumare cose e persone

 
 
Il settimanale diocesano La Voce dei Berici  propone un interessante approfondimento sulla Laudato Si’ di papa Francesco a partire da dieci parole chiave usate dal pontefice.
Questa settimana è la volta della “cultura dello scarto“.
 
Nel variegato e poliedrico cammino di Laudato si’, ricco di tesori inaspettati e di immagini cui Francesco ci ha abituati da tempo, la cultura dello scarto emerge come un paesaggio che l’ascoltatore e il lettore del papa argentino trovano familiare.

  Fin dall’inizio del suo Pontificato, Bergoglio ha infatti sottolineato la cultura di morte che attanaglia molti aspetti della vita personale, economica e sociale specie del mondo occidentale. Decisiva in questo senso appare l’Udienza del 5 giugno 2013, in cui, associando l’ecologia ambientale all’ecologia umana, Francesco affermava: “Le persone vengono scartate, come se fossero rifiuti”.
I tanti momenti in cui è tornato sul tema rappresentano un affinamento del concetto in vista della Laudato si’, che evidenzia il problema dello scarto, l’aspetto su cui il nostro occhio si posa per primo, come problema ecologico ed ambientale (n. 20), ma immediatamente anche etico ed antropologico (n. 22).

  Se ci abituiamo a scartare le cose, saremo consumatori anche di persone, così come la bella lentezza delle relazioni può reintrodurci ad un rapporto sano con le cose.
  Se non ci fermiamo a re-imparare dalla natura il linguaggio della lentezza e della pazienza  – come ben mostrato dalla parola rapidaciòn – tutto diventa scarto, da lasciare a bordo strada come il viandante della parabola evangelica. Non c’è tempo per occuparsi dei problemi, la vita ne dà già tanti a livello personale. E soprattutto dallo scarto ambientale passiamo velocemente allo scarto sociale.

  Un elemento decisivo della proposta di Francesco appare l’unità del registro economico-sociale-politico con quello di carattere etico-bioetico. Come i disoccupati sono scartati e come i migranti sono scarti dell’Occidente – in un certo senso l’intero continente africano appare scarto del sistema internazionale – così il bambino non nato perché non voluto è scarto, l’anziano malato, il diversamente abile o il malato terminale sono scarti, il bambino su cui far ruotare un traffico di organi internazionale, merce di scambio per trafficanti di morte (n. 123) come pure giovani donne prede dei mercanti e dei clienti della prostituzione. La cultura dello scarto lega così, nell’unità dell’immagine, il destino dell’uomo e quello del contesto in cui vive.

  Come ogni paesaggio usuale possiamo però anche lasciarci guidare dal termine cultura dello scarto per scrutare sfumature mai viste di un orizzonte usuale. Scarto è infatti associato al termine cultura, che dice di una mentalità diffusa e stratificata che tollera l’ingiustizia nei confronti del più debole.

  Cultura sta però anche a significare la traiettoria di un’alleanza che non va relegata nell’astratto, ma vissuta in concreto come cultura dinamica e locale (n. 143), si potrebbe anche dire “dal basso”, come ecologia culturale che fa della crisi ecologica un momento di riflessione pratica per rilanciare le sfide di una cultura della cura (n. 231).

  In questa direzione la famiglia sarà attrice fondamentale di una ri-conversione della cultura dallo scarto alla cura (n. 213), senza dimenticare la società civile e le forme buone del politico. La fatica e la lentezza della costruzione si oppongono così all’immediato consumo di cose e persone che rappresenta il criterio antropologico della società che scarta.

  Per accogliere il viandante “scartato” a bordo strada, il Samaritano ha posato lo sguardo su di lui, lo ha soccorso, ma si è anche preso cura preventivamente per il suo futuro e la sua guarigione. La cultura della cura richiederà dunque processi da aprire, dialoghi da costruire, quotidiane, sostenibili e pazienti alleanze che rinnovino la coltivazione dell’umano nella cura del creato.

Leopoldo Sandonà