Lettera del Vescovo Beniamino Pizziol alle famiglie

In occasione del Giubileo delle Famiglie del 16 ottobre 2016

Carissime Famiglie, Comunità cristiane e Consigli Pastorali, Gruppi, Associazioni e Movimenti Ecclesiali pace e gioia nel Signore Gesù, unico nostro Maestro!

In questo Anno Santo della Misericordia, sono lieto di vivere una Giornata giubilare con le Famiglie della Diocesi, ed in particolare con quanti portano con sé esperienze di disabilità. Desidero raggiungervi personalmente, rivolgervi il mio saluto, dirvi la mia gratitudine per quello che siete e per quanto fate nella nostra Chiesa particolare.

L’inclusione sociale, valore civico Da alcuni decenni la società civile ha posto attenzione a questa realtà, ed ha cominciato a parlare di “integrazione” e “inclusione sociale” delle persone con disabilità. L’obiettivo – sancito dalla Costituzione e voluto da molte leggi – è la piena affermazione dei diritti civili, mediante l’integrazione scolastica, l’avviamento al lavoro, la costituzione di centri diurni e residenziali, l’erogazione di alcuni sostegni economici. Sono stati fatti molti passi avanti, anche grazie ad associazioni di famiglie e volontari che si sono battute perché questi diritti venissero attuati, ma siamo coscienti che il cammino è ancora lungo.

E la comunità cristiana? L’attenzione agli ultimi e la misericordia Guardando ai testi della Sacra Scrittura – e in particolare ai Vangeli – si nota come, più che affermare la parità dei diritti, viene attestato che Dio guarda anzitutto agli ultimi: i poveri, gli esclusi, i malati, i piccoli, gli stranieri. Essi vengono messi al primo posto, al punto da sembrare quasi dei “privilegiati” rispetto alle “brave persone comuni” che spesso non si accorgono di loro, o non li accettano perché li giudicano inferiori. In un tempo in cui le differenze fisiche, psichiche e sociali venivano ancora considerate una condanna divina, ”Gesù passando vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbi, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco?»” (Giovanni, 9, 1-2) Gesù metteva sempre gli ultimi al centro dell’attenzione In quel tempo, furono portati a Gesù dei bambini perché imponesse loro le mani e pregasse; ma i discepoli li sgridavano. Gesù però disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me, perché di questi è il regno dei cieli»” (Matteo 19, 13-15)

Una comunità che si apre e accoglie I diversi episodi e le parabole riportate nei Vangeli mostrano come, a poco a poco, i discepoli e la prima comunità cristiana abbiano assimilato questo messaggio di Gesù. Da notare che il messaggio non si limita ad un invito generico a “fare l’elemosina” agli esclusi (dando magari le briciole od il surplus), ma di “farsi loro prossimi” ed accoglierli nella comunità, imitando l’agire di Gesù per manifestare l’amore del Padre misericordioso. «Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?». Quegli rispose: «Chi ha avuto compassione di lui» (il samaritano). Gesù gli disse: «Va e anche tu fa lo stesso» (Lc.10,29-37)   Ogni comunità cristiana, pertanto, in attento ascolto della Parola di Dio, è chiamata ad aprire le porte ed i cuori alle persone più fragili, facendo proprio l’invito evangelico: “Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro” (Luca 6, 36) e rendendo tangibile l’azione Provvidente di Dio Padre.

Una comunità che accompagna Compito della comunità è “fare questo con carità/amore”: attenzione, ascolto, comprensione, condivisione, servizio, amicizia, fraternità. Ecco il “di più” che Gesù chiede, oltre all’esteriore riconoscimento di dignità e diritti proprio della comunità civile. L’amore non è (soltanto) un insieme di sentimenti, ma azione. La comunità è chiamata ad agire, a fare, alla concretezza: Al calar del sole, tutti quelli che avevano infermi colpiti da mali di ogni genere li condussero a lui. Ed egli, imponendo su ciascuno le mani, li guariva. (Luca 4, 40)

Ma come agire, in concreto? Proposte concrete nella vita della comunità Nelle comunità cristiane talvolta le persone disabili non sono conosciute (nonostante statisticamente rappresentino il 2-5% della popolazione) anche perché le loro famiglie si “fanno riguardo” di portarle; altre volte sono presenti, ma quasi mai maturano un’identità e validi rapporti, perché difficilmente vengono assegnati loro dei ruoli; raramente riescono a partecipare ai gruppi formativi, cellule vive della comunità, a causa delle carenze che le ostacolano, dalla vista all’udito, dalla motricità all’intelletto ai disturbi della personalità. Di tutto questo esse soffrono, perché in loro è viva la coscienza di essere persone, di essere o non essere accettate, accolte, valorizzate. Soprattutto ne soffrono le loro famiglie, che si sentono sole, anzi sempre più sole a mano a mano che il tempo passa e l’età avanza, fino al punto di chiedersi “chi se ne occuperà dopo di noi?”. Ecco allora alcune proposte pastorali.

1.       Ogni Consiglio pastorale (parrocchiale e vicariale) dedichi una riunione per chiedersi fino a che punto sono conosciute le persone disabili che vivono in parrocchia e le loro famiglie. Questo significa chiedersi (con molto rispetto e discrezione, per non urtare sensibilità e suscitare diffidenza) fino a che punto siamo coscienti: dei nostri problemi nei loro confronti (quasi sempre la difficoltà di comunicazione), dei loro problemi nei nostri confronti (in genere la sofferenza per la mancanza di identità e di ruoli in comunità), dei problemi delle famiglie (in genere la solitudine).

2.     Dopo questa analisi il Consiglio pastorale è invitato ad individuare delle linee programmatiche, concrete, su come accogliere e valorizzare le persone disabili nell’ambito della vita comunitaria. Una modalità molto importante può consistere nell’invitare e accogliere le persone con disabilità nei gruppi parrocchiali (specialmente quelli formativi), per fare vita insieme e dare stabilità alla relazione. Sono preferibili i gruppi con attività diurna, che magari comprende anche esperienze estive di condivisione. Altra opportunità consiste nel facilitare la loro presenza a livello sacramentale e liturgico, prevedendo in chiesa delle zone pensate per venire incontro alle esigente di determinate disabilità (per es. per ciechi e sordi) o dei bambini (per es. il timore di disturbare), e valorizzando le loro abilità mediante il coinvolgimento in alcuni servizi nella liturgia (ministrante-chierichetto, coro, processione offertoriale, etc). Se impegni e attività continuative risultano difficilmente realizzabili, è opportuno proporre iniziative in eventi occasionali e/o a livello personale. Per esempio, è possibile invitare e portare con sé i disabili e le loro famiglie in gite ed eventi parrocchiali, o accompagnare chi non deambula alla Messa, alla riunione, ad uno spettacolo, o a passeggiare. Anche le feste parrocchiali (sagre, pranzi comunitari, etc) possono diventare felici occasioni per condividere esperienze di servizio che permettano loro di farsi conoscere ed apprezzare. Si potrebbe dire che siamo tutti invitati a realizzare almeno “il minimo”: fermarci per strada a salutare e dialogare, contrastando così una delle sofferenze più grandi: “il sentirsi invisibili”. Anche nel cammino di preparazione ai sacramenti vi sono interessanti esperienze di catechesi e di preparazione alla Comunione. Questo richiede la disponibilità delle persone attive in parrocchia a sviluppare nuove capacità di ascolto e di comunicazione: lingua dei segni per gli audiolesi, spiegazione per i non vedenti, comunicazioni illustrate, simboliche, musicali nella catechesi, nella liturgia e nella vita parrocchiale.

3.       Al di là della conoscenza delle persone disabili, il Consiglio pastorale si ponga il problema della solitudine delle famiglie e della loro sofferenza nel sentirsi escluse dalla comunità, talora incapaci di affrontare il dramma che vivono. Un’idea è quella di creare dei “gemellaggi” con le famiglie che sono e che si sentono più sole, proponendosi obiettivi concreti di vicinanza e di fraternità. Andare a trovare a casa le famiglie dei disabili, ascoltarle mentre parlano e si sfogano. Far sentire la presenza e l’amore di Dio nel dramma della solitudine.

Una comunità che affronta i problemi Sembrano proposte semplici da attuare, ma quando ci si rende conto non solo delle barriere fisiche o degli ostacoli alla comunicazione, ma anche delle storie pregresse di esclusione e di incomprensione, si comprende che la comunità deve riflettere e attivarsi con impegno per superare insieme gli ostacoli. Ed ecco alcuni uomini, portando sopra un letto un paralitico, cercavano di farlo passare e metterlo davanti a lui. Non trovando da qual parte introdurlo a causa della folla, salirono sul tetto e lo calarono attraverso le tegole con il lettuccio davanti a Gesù, nel mezzo della stanza. (Luca 5, 18-19) Come Pastore della Diocesi chiedo ai Consigli pastorali, ai sacerdoti, ai gruppi di riflettere su questa attenzione agli ultimi, alle persone fragili, pilastro fondamentale nel messaggio evangelico e continuamente presente anche nelle parole di papa Francesco. Chiedo a tutti di attivarsi con inventiva e capacità, e di far sapere quali esperienze sono riusciti o riusciranno a fare, perché possano essere conosciute e comunicate a tutti, ed essere a loro volta produttive di altre idee ed esperienze. Lo sappiamo dal Vangelo, sono le esperienze che aprono i cuori.

X Beniamino Pizziol

vescovo di Vicenza