L’omelia di mons. Pizziol per i funerali del vescovo emerito

La sete di bellezza, la carità e la fede di mons. Pietro Nonis


Il carissimo vescovo Pietro Nonis è ritornato nella chiesa Cattedrale per essere accompagnato dalla nostra preghiera e dal nostro affetto all’incontro definitivo con il Signore dei vivi e dei morti.

Il suo corpo riposerà nella cripta di questa chiesa, accanto a quelli di altri vescovi defunti della nostra Diocesi, in attesa della risurrezione alla fine dei tempi.

Il nostro cuore, di fronte alla inaspettata notizia della morte di mons. Nonis, è attraversato da molteplici sentimenti:
il dolore e il turbamento per la morte di una persona cara;
la riconoscenza e la gratitudine per quanto egli ha fatto per la Chiesa vicentina e italiana;
la stima e la considerazione per uno studioso che ha saputo mettere a disposizione della comunità civile ed ecclesiale il suo patrimonio di conoscenze e il suo amore per le arti e la bellezza.

Noi sappiamo che la vita e l’opera di ogni cristiano battezzato va letta alla luce della fede in Cristo e compresa dentro l’orizzonte della Parola di Dio. Abbiamo letto, negli Atti degli Apostoli, il famoso discorso di Paolo nell’areopago di Atene, il cuore della cultura ellenistica. E’ il primo incontro dell’apostolo con i rappresentanti della élite culturale del suo tempo: gli stoici e gli epicurei. Si tratta di un discorso ben preparato, abile, un autentico esempio di inculturazione, che, tuttavia, non cede nulla della originalità del messaggio cristiano. Paolo non fa un intervento da filosofo, ma da profeta. Egli annuncia “un uomo risuscitato da morte”, che permette di vincere l’ignoranza e di conoscere la verità delle cose e delle coscienze. E’ possibile raggiungere la verità attraverso un uomo, accreditato da Dio con la risurrezione dai morti, un uomo che sarà il giudice finale, vale a dire il criterio di giudizio del bene e del male. Di fronte a un tale annuncio, l’uditorio, come spesso avviene, si divide. Molti se ne vanno con il sorriso sulle labbra, altri aderiscono all’annuncio.

Il vescovo Pietro ha trascorso gran parte della sua vita di sacerdote dentro un areopago, l’Università di Padova, dove ricoprì incarichi diversi, da docente a pro-Rettore. Lo distingueva una grande passione per la cultura declinata nelle varie espressioni: le arti figurative, la storia, la filosofia, la musica, la letteratura, le scienze, l’attualità. Un vero umanista, che nulla trascurava di ciò che si poteva imparare dai libri di Dio (la Bibbia) e da quelli degli uomini sapienti. I suoi numerosi articoli per i giornali e i suoi interventi qualificati in tante occasioni testimoniano questa capacità di lettura intelligente, critica, mirata, a volte elegantemente ironica della realtà, che si univa a un convinto, profondo, proficuo dialogo con la società civile e le sue istituzioni, soprattutto in un tempo di grandi e rapidi cambiamenti.

Mons. Nonis era come arso da una sete indomita di scoprire, conoscere, approfondire e arricchirsi interiormente. Questa sete ha trovato una fonte, una sorgente, che si è fatta sempre più pura e dissetante a mano a mano che il suo pellegrinaggio terreno si avvicinava alla meta. Ce lo rivela il vangelo di Giovanni che abbiamo proclamato.

E’ mezzogiorno e al pozzo di Sicar avviene l’incontro e l’insolito dialogo tra una donna samaritana e un profeta ebreo, più grande di Giacobbe, anzi il “Cristo”, il “Messia”. Gesù si presenta come un semplice viandante, che non esita a mendicare un po’ di acqua. Ma è la sua sete a suscitare e a ridestare l’innata sete di senso e di verità, che abita il cuore e la mente di ogni uomo e di ogni donna. Noi crediamo di cercare la verità, cercare Dio, ma questo è possibile solo perché Dio ci ha cercato per primo, inviando suo Figlio, che è la via, la verità e la vita.

Il grande inno del “Dies irae”, attribuito a Tommaso da Celano, esprime, in modo straordinario, questo episodio evangelico con due versi cari al vescovo Pietro: “Quaerens me sedisti lassus, redemisti crucem passus” (cercandomi ti sedesti stanco, mi hai redento con il supplizio della croce).

Nel dialogo con la donna samaritana Gesù le dice: “Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete, ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna” (4, 13-14). A questa sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna si è sempre dissetato il vescovo Pietro, durante il suo impegno accademico e soprattutto nel suo ministero episcopale nella nostra Diocesi. Ha messo i suoi talenti al servizio della Chiesa e della società. Persona di fede e di cultura, capace di coniugare il credo religioso all’esercizio della ragione critica, è stato un uomo di carità generosa e riservata verso tutti, sensibile ai problemi sociali, come la malattia mentale e la tossicodipendenza.

Il Signore mi ha fatto il dono di accompagnare il vescovo Pietro, insieme a don Antonio, suo fedele segretario e alle Suore Dorotee, negli ultimi giorni della sua vita terrena, nel compimento della sua pasqua, vale a dire del passaggio da questo mondo all’incontro con il Padre misericordioso. Mons. Nonis si era preparato da tempo alla morte. E’ significativa una sua riflessione, come sempre lucida e sincera, sul pensiero della propria morte: “La prima tendenza che provo quando ci penso, è di non pensarci, come se, non pensandoci, ciò che dovrà avvenire non avvenga, ma verrà, lo assicura lo stesso Figlio di Dio. Pensarci su per tenervisi preparati, è un dovere morale, contro l’adempimento del quale lo spirito del male tenta di esercitare la sua ben nota capacità di persuasione. Nessun beneficio verrebbe a me se quel momento non ci fosse, ma quale maleficio inguaribile mi spetterebbe qualora io vivessi come se la morte non fosse lo spartiacque di due stili di vita, la beatificazione o la dannazione! Il Signore mi aiuti a vivere nel suo santo timore, che è la forma più ordinaria dell’amore”.

Il vescovo Pietro, pur nell’affanno provocato dalla sofferenza fisica, si è abbandonato al Signore della vita, quasi facendo proprie le parole di Gesù: “Nelle tue mani affido il mio spirito”. Era convinto, come dice l’apostolo Paolo nella seconda Lettera ai Corinzi, “che colui che ha risuscitato il Signore Gesù, risusciterà anche noi con Gesù e ci porrà accanto a lui” (4,14).

Egli manifesta molto bene questa fede in una lettera a suor Alessandra, sua cugina, letta in occasione del funerale: “Cara suor Alessandra, dicevamo di volerci vedere alla prossima volta, presto. La prossima volta non sarà qui ma nella gloria dei cieli, ove saranno finite per te le tristezze di questo mondo, che per me si fanno sempre più sentire. Prova ne sia il fatto che il medico mi ha proibito di muovermi. E’ comunque importante che il nostro prossimo incontro avvenga nel cuore della Trinità, dove nessuna tristezza, nessuna tentazione potranno distoglierci dalla gloria di essere con lui, il nostro Signore”.

Nel fraterno e cristiano accompagnamento alla morte del caro vescovo Pietro ho vissuto concretamente quanto afferma l’apostolo Paolo: “Mentre l’uomo esteriore, ossia l’uomo debole e fragile, si va inesorabilmente disfacendo, quello interiore, ossia l’uomo salvato da Cristo e destinato a partecipare alla sua risurrezione, si rinnova di giorno in giorno per ricevere un’abitazione eterna nei cieli” (2 Cor 5,1). Quando si avvicina la morte, l’uomo, se ha la fortuna di essere cosciente, rileggendo la sua storia, raccogliendo il tesoro di saggezza che l’esistenza gli ha donato, sente il bisogno di trasmettere ai suoi cari e ai suoi amici un ultimo messaggio, che riassuma il significato di tutta una vita. La debolezza fisica e la mancanza di fiato abbreviano le parole, ma ne condensano il senso, la morte è un tempo di rivelazione. Le ultime parole pronunciate dal vescovo Pietro, prima di entrare in agonia, sono state quelle della preghiera dell’ “Ave Maria”, recitata lentamente, a mani giunte, insieme a don Antonio e a suor Luisella. Mi piace illuminare il senso di questa preghiera con le stesse parole del confratello Vescovo: “Se abbiamo, come molti cristiani, l’abitudine di recitare più volte al giorno, magari con la corona del rosario, questa semplice preghiera mariana, che comincia chiamando la Vergine per nome, ricordiamo i due momenti più importanti della nostra vita: l’adesso, ossia l’istante della nostra vita che stiamo vivendo, l’unico che si possa dire in nostro possesso, e l’ora della nostra morte, il momento che concluderà la nostra vita terrena, quando il Signore stabilirà che sia giusto per noi. Nessuno conosce quel momento. Secondo la nostra fede esso coinciderà con la fine della nostra vita terrena, con l’inizio della vita successiva alla nostra morte. Domandare dunque alla madre di Gesù di averci nel suo pensiero memore e affettuoso non solo adesso, ma anche nell’ora della nostra morte, significa aver precisato i due momenti più importanti della nostra esistenza: quello che stiamo vivendo e quello che vivremo sul confine della esistenza temporale, terrena. Per quello, in modo particolare, domandiamo la protezione della Madre di Dio, dato che ne ignoriamo completamente il tempo e il modo”.

Accogliamo queste riflessioni acute e profondamente umane, quasi come il testamento spirituale del carissimo vescovo Pietro. Noi, ora, lo affidiamo alle mani misericordiose di Dio, Padre di tutti. Lo affidiamo a Gesù, il crocifisso per amore, risuscitato dal Padre! Lo affidiamo alla santissima Madre di Gesù, la nostra Madonna di Monte Berico, a lui tanto cara, colei che non abbandona noi, i suoi figli, per tutti i giorni della nostra vita. Lo affidiamo a tutti i santi e beati della nostra Chiesa, in modo speciale, al prossimo santo, il vescovo Giovanni Antonio Farina, suo predecessore; tutti gli vengano incontro festosi per accompagnarlo davanti al Dio di bontà e di misericordia.

E tu, carissimo vescovo Pietro, ricordati di noi, ricordati di questa Chiesa di Vicenza, che hai tanto amato e hai onorato con il tuo ministero intelligente e generoso. Ricordati dei tanti amici, credenti e non credenti, cercatori di Dio e della verità della vita, che tu hai accompagnato con pazienza e bontà nel cammino della loro onesta ricerca. Senz’altro il bene che hai cercato e seminato non sarà dimenticato e resterà non solo nei tuoi scritti, nei tuoi saggi e nel Museo a te dedicato, ma resterà soprattutto nei nostri cuori. Intercedi per la nostra Chiesa, affinché il Signore la benedica con la grazia di numerose e sante vocazioni alla vita consacrata e al ministero ordinato. Amen.† Beniamino Pizziol
Vescovo di Vicenza