L’ultimo saluto a Mario Catagini, fondatore delle Comunità Papa Giovanni nel vicentino, voce di chi non ha voce

 
Si svolgono martedì 24 febbraio alle 15 nella Basilica dei SS. Felice e Fortunato a Vicenza i funerali di Mario Catagini.
 
 
Nel 1996 l’allora vescovo di Vicenza, Pietro Nonis, conferì a Mario Catagini il titolo di cavaliere dell’ordine di san Gregorio Magno, un ordine pontificio riservato a uomini e donne di religione cattolica in riconoscimento al loro servizio alla Chiesa e per il loro buon esempio. Di tale titolo a Mario non interessava nulla, ma il titolo di cavaliere mi fa pensare che Mario cavalcava sempre una carrozzina, ma a differenza di altri non era portato dalla carrozzina, ma lui la dirigeva e la faceva diventare strumento per accostarsi a tutti i poveri di amore, di dignità, ai poveri di giustizia.

In seguito ad un incidente con l’auto, dal 1965 il corpo di Mario rimase paralizzato ma questo non gli  impedì di essere pienamente padre, fratello, ed appassionato figlio di Dio, il cui unico desiderio era il Regno dei Cieli e la sua giustizia.

Dopo più di dieci anni dall’incidente durante i quali si sentì emarginato ed escluso dalla vita di tutti, in un campo estivo a Rimini conobbe i membri della Comunità Papa Giovanni XXIII ed il suo fondatore, don Oreste Benzi. Fece esperienza della condivisione diretta, e finalmente non si sentì più una persona da assistere, un peso morto, ma una persona viva, in grado di donare amore. Dopo aver affiancato una coppia in una casa famiglia, nel 1981 ne aprì una tutta sua, nella quale diventò figura paterna di tante persone ferite da problemi psichiatrici, caratteriali, di dipendenza. Dimostrò di essere padre autorevole ma anche tenero e soprattutto paziente, in grado di amare la persona com’è per farla diventare come deve essere.

Cavalcando la sua carrozzina Mario non solo aprì una casa famiglia ma diede il via alla Comunità Papa Giovanni XXIII in terra vicentina, della quale sarà responsabile per 15 anni, fino al 1993. Durante questi anni di guida ha colto la vita e l’ha fatta crescere con l’apertura di numerosissime case famiglia, di due cooperative e tante famiglie aperte all’accoglienza. Uomo tutto d’un pezzo, sapeva essere pienamente fratello mettendosi a fianco delle persone, comprendendo le loro sofferenze, portando alla luce le potenzialità e facendole esprimere.

La sua carrozzina era uno strumento formidabile nel farsi voce di chi non ha voce, nell’essere paladino contro ogni ingiustizia (nel vocabolario come sinonimo di paladino viene usata la parola cavaliere…). Ha lottato contro le barriere architettoniche, contro ogni sopruso verso i deboli, contro i tagli al sociale. Per anni ha contestato la costruzione della base militare americana nell’ex aeroporto Dal Molin, sia partecipando ad attività avvolto nella bandiera della pace, sia con una preghiera costante. Ma da cosa gli derivava questa tempra da roccia, come piaceva definirsi lui? Da una relazione profonda e contemplativa con Dio, che gli dava la forza di non essere schiacciato dal suo corpo paralizzato, ma di renderlo strumento di redenzione per sé e per quanti incontrava. Conscio che la sua dignità non consisteva nel camminare o nel fare le cose che fanno tutti, ma nell’essere figlio di Dio pienamente amato, sapeva riversare tale amore soprattutto dove più era carente, tra i più piccoli ed indifesi. Chi l’ha conosciuto desidera solo ringraziare per Mario che ha reso evangelica, cioè buna notizia, una vita che il mondo aveva scartato.
 
Viviana Viali