UNA SERATA CON IL VESCOVO EMERITO DI IVREA

Monsignor Luigi Bettazzi a Bassano del Grappa: la travolgente energia di uno degli ultimi “superstiti” del Concilio

Giornata tutta bassanese, quella di martedì 17 settembre 2013 per il Vescovo emerito di Ivrea, mons. Luigi Bettazzi, giunto alla soglia dei novant’anni (li compirà il 26 novembre prossimo) e del giubileo episcopale (è stato consacrato Vescovo dal cardinal  Lercaro, che lo ha voluto suo Ausiliare a Bologna, il 4 ottobre del 1963).

Al mattino ha incontrato il clero della Pedemontana e della Vallata del Brenta e in serata ha benedetto la rinnovata Libreria Cedis di via Jacopo Da Ponte, nella città del Grappa, per poi dialogare con l’Arciprete Abate Renato Tomasi del suo recente libro “Viva il papa, viva il popolo di Dio! Cicaleccio sul Concilio Vaticano II”, pubblicato nella collana Itinerari delle Edizioni Dehoniane di Bologna, una novantina di pagine, 7,5 euro.

Un confronto incalzante, quello di mons. Bettazzi con il pubblico bassanese, ricco di aneddoti, di spunti efficaci di riflessione sulla attualità del Concilio, sulla “rivoluzione” imposta alla Chiesa, sulla vitalità del messaggio evangelico.
 
Mons. Luigi Bettazzi, testimone senza tempo, uomo del dialogo, è nato a Treviso il 26 novembre del 1923. Il padre era veneto, la madre bolognese. I due si erano incontrati alla fine del Grande Conflitto mondiale. Bettazzi, scherzando, s’è detto… “figlio di Caporetto”.

Trasferito fin da giovane nella città della madre, a Bologna ha studiato ed è stato ordinato prete dal cardinale Lercaro, che fin dalla fase preparatoria del Concilio l’aveva indicato tra gli esperti. Ha partecipato quindi a pieno titolo alla seconda sessione del Vaticano II, del quale è stato tra i protagonisti più attivi.

Autore di una ventina di pubblicazioni, tese a divulgare soprattutto i temi e le attese conciliari, con l’impegno di  una evangelizzazione attenta ai “pauperibus”,  da Vescovo di Ivrea e presidente di “Pax Christi”, nel 1978 si era offerto come ostaggio per la liberazione di Aldo Moro.

Egli insiste nel sottolineare, un po’ come era solito fare mons. Tonino Bello, il confratello Vescovo la cui testimonianza di vita e di missione pastorale gli è rimasta fortemente nel cuore, l’invito biblico “Ascoltino gli umili e si rallegrino”.
 
Mons. Luigi Bettazzi è ormai rimasto uno degli ultimi Vescovi italiani “superstiti” del Concilio (con lui i cardinali Fiorenzo Angelici, quasi 97enne, e Giovani Canestri,  95, monsignor Felice Leonardo e monsignor Salvatore Nicolosi, anche loro ultranovantenni).

“Ma il Concilio – ribadisce Bettazzi –  è ancora giovane, deve crescere”.
 
La prima e più grande novità del concilio Vaticano II  è, secondo mons. Bettazzi, quella di aver richiamato l’identità e la responsabilità di ogni cristiano affermando che la Chiesa è il popolo di Dio, cioè l’insieme dei fedeli, e la gerarchia ne è “al servizio”. Ciò non contrasta con la devozione al pontefice e alla gerarchia, ma ricorda che un organismo incentrato sul vertice è inevitabilmente portato a privilegiare l’ordine fondato sul comando e sulla fedeltà ai dogmi. Se una Chiesa che “parte dall’alto” rischia le suggestioni del potere, una Chiesa che parte dal popolo di Dio è più orientata a considerare le esigenze, la semplicità e le sofferenze di tanta parte dell’umanità.
 
Scherza Bettazzi e ricorda un libello fatto girare ai tempi conciliari, con tutte le barzellette su quelle straordinarie assisi ecumeniche. Come quella sul cardinale Ottaviani: Un giorno – racconta – il Prefetto del Sant’Uffizio sale su un taxi per andare a San Pietro. Si appisola durante la corsa e ad un brusco risveglio chiede al taxista dove lo stia portando. “Al Concilio di Trento!”, spiega ilare il conducente.
 
La grande novità dell’avvenimento voluto da Giovanni XXIII e poi seguita da Paolo VI – ha ricordato il vescovo Bettazzi –  è stata il ruolo definito della gerarchia. Certo, spetta a lei l’ultima parola nella gestione della Chiesa, ma solo dopo che ha avuto la pazienza di ascoltare tutte le altre.

Di qui la novità dell’aggiornamento, la capacità di dire e praticare le cose di sempre, ma in modo adatto al giorno d’oggi.
 
Bettazzi ha sottolineato l’attenzione di Papa Francesco ai non credenti, la sua recente lettera ad Eugenio Scalfari, la convinzione che la missione di Cristo è stata per salvare tutti gli uomini, la necessità del dialogo con e verso tutti. Richiamati i documenti conciliari, le 3 dichiarazioni, i 9 decreti con le indicazioni pratiche, si è soffermato sulle 4 Costituzioni pastorali che riassumono in se l’intero messaggio e proposito della Chiesa rinnovata (Sacrosantum Concilium per la riforma liturgica, Dei Verbum, Lumen Gentium e Gaudium et spes”).

Quattro documenti essenziali per riassumere e definire l’identità del cristiano, per indicare un presente ed offrire spazi di futuro soprattutto ai giovani. Da questi testi scaturisce una Chiesa che tende all’unità, che ha acquisito la consapevolezza che a definirla è l’intero popolo di Dio, guidato e affiancato da una gerarchia profetica, nel senso che aiuta a comprendere e praticare la parola di Dio, in quella “comunione, quella convivialità delle differenze” che tanto piaceva esprimere ancora Tonino Bello.
 
I primi convertiti dal Concilio? “Sicuramente i Vescovi”, conclude sorridente monsignor Bettazzi.
 
Giandomenico Cortese