Nell’abbraccio di Papa Francesco

Sintesi dell'incontro "Che cosa si aspettano le famiglie provate dall'handicap dalla comunità cristiana?"

 
L’incontro del 16 maggio 2014, presieduto da alcuni membri della Commissione disabili, con a tema “Che cosa si aspettano le famiglie provate dall’handicap dalla comunità cristiana?”, ha preso il via con la parola del Papa che nella Evangelii Gaudium (n. 17) cita tra le questioni da affrontare nella Chiesa quella della “inclusione dei poveri”, nel nostro caso le persone con disabilità, che devono essere poste al centro.
 
La prima domanda apre il dibattito e stimola ad una riflessione esperienziale. Che differenza c’è tra inclusione ed integrazione? La risposta fa capire che, oggi, oltre l’integrazione, ci proponiamo di accogliere la persona disabile, con le sue caratteristiche, come soggetto attivo, perché, con l’aiuto della comunità possa trovare il suo posto nella parrocchia. Il Papa chiede a noi, comunità cristiane, ai pastori e agli operatori pastorali di modificare gli atteggiamenti.
 
Don Giovanni Cecchetto ci sollecita, quindi, con alcuni spunti tratti da uno scritto di Franco Bomprezzi, un giornalista disabile, che ci provoca a uscire dall’indifferenza. Egli parla di vicinanza fisica a cui siamo interpellati dalla presenza di persone più fragili, per cui le parrocchie dovrebbero proporre un programma pastorale che chiede un cambiamento profondo: il passare dalle parole ai fatti. Silva, referente della Catechesi per le persone disabili, ribadisce il concetto espresso dal giornalista mostrando un’immagine di papa Francesco che abbraccia proprio un disabile.«In quest’abbraccio, esemplare per noi, vi è parte della soluzione a tutti gli altri problemi (crisi della famiglia, individualismo, cultura dello scarto, indifferenza relativista, speculazione economica…), denunciati dal Papa stesso». «Se non ci sono questi gesti concreti, quotidiani, dettati dall’amore di Cristo, non serve né cambiare i nomi, né moltiplicare i documenti», precisa Mario (della Comunità “Papa Giovanni XXIII”), che continua dicendo: «I cristiani siano se stessi!». Quindi è intervenuto Vanni con l’esperienza della disabilità di suo fratello, riportandoci ad un’epoca in cui la sua famiglia aveva solo la possibilità di relegare questo ragazzo in un Istituto per disabili gravi. Suo padre (che successivamente avrebbe fondato l’ANFAS) rifiutò questa soluzione e ne cercò un’altra. Si rese conto che non c’era contatto tra le famiglie di questi ragazzi e cercò di creare lui stesso relazioni, e di far nascere un nuovo tessuto sociale aperto a promuovere la riabilitazione e l’integrazione, avviando quella inclusione di cui parla ora papa Francesco.
 
Suor Roberta, che rappresentava gli “Istituti Pii di Rosà”, ha detto come nei loro laboratori, le donne disabili accolgono gruppi di bambini della scuola materna e delle elementari, accompagnati dai volontari, insegnando loro delle tecniche di manipolazione. In questo modo queste donne diventano insegnanti, realizzando relazioni vere,
per rendere normale la vicinanza.
 
Don Secondo Martin (già assistente spirituale di tre comunità dell’ “Arca”) ha aggiunto che «spesso le persone con difficoltà mettono in crisi la “macchina dell’organizzazione”. Ci sono dei programmi da rispettare… Di fronte a questa realtà siccome lo scopo è l’evangelizzazione, bisogna trovare un altro tipo di relazione che valorizzi la persona disabile». Per cercare di formare le catechiste in quest’ambito nel 2011 è stato tenuto un Convegno diocesano (Non posso dire Gesù, ma lo amo!), rivolto proprio alle catechiste, organizzato dall’Ufficio per l’Evangelizzazione e la Catechesi e dalla Caritas.
 
Vittorio, presidente dell’AIAS e sua moglie Maria Grazia affermano che molte cose sono migliorate e che ora nessun ragazzo è escluso dai sacramenti, che si danno nella fede della comunità cristiana.

Giulia, catechista, aggiunge che «attraverso la preghiera si trova la forza di affrontare il quotidiano: “Senza di me non potete far nulla” – dice Gesù. Occorre avere un occhio che attinge la Grazia dal cielo e l’altro rivolto ai fratelli, come hanno fatto i santi». «Dove c’è la fede, alimentata dalla preghiera si crea un rapporto diverso tra le persone…che sono incluse davvero », le fa eco Giuditta, che ci parla di una sua esperienza in una comunità di san Luigi Orione dove i disabili si sentono in famiglia e sono talmente protagonisti dell’animazione liturgica, da invitare l’assemblea a unirsi al loro coro.
 

Nicola, un insegnante di sostegno, porta una nota di ottimismo raccontandoci che un ragazzo che lui seguiva, come volontario, si è trovato in una situazione di solitudine ed ha cominciato a frequentare la Messa e poi la parrocchia e pian piano è stato coinvolto dal parroco che gli ha assegnato un ruolo…
 
Don Giovanni puntualizza che «tanti progressi sono stati fatti, ma c’è il rischio che queste conquiste tornino indietro, per questo è importante ritrovarsi come popolo per animare la società non da privati, ma da soggetti pubblici, nel nostro caso sostenendo la commissione che già opera in quest’ambito». «Si tratta di tornare al kerigma iniziale, quello che Benedetto XVI prende come punto centrale nel suo libro “Gesù di Nazareth” e papa Francesco porta avanti parlando dei disabili come della “carne di Cristo” », aggiunge Giulia.
Concludiamo con le parole di Mario: « È tempo di riprendere un discorso di Chiesa, di credenti. In parrocchia vogliamo capire che cosa c’è e se si fa qualcosa per promuovere questa realtà. Belli i pellegrinaggi, ma io continuo a guardare al quotidiano, all’importanza di un abbraccio e di una benedizione».

Silva M. Stefanutti
a nome della Commissione disabili e comunità cristiana
della Caritas Diocesana Vicentina