“Non si può essere buoni cristiani se ci si chiude totalmente all’accoglienza”

Parola del cardinale Pietro Parolin

 
Nel cuore del Veneto “bianco”, la terra dei companili, un tempo  sacrestia d’italia, le parole del cardinale Parolin sono risuonate con chiarezza: «Non può essere un buon cattolico chi dice no all’accoglienza ».
 
Il Segretario di Stato Vaticano è stato ospite, la scorsa settimana, della Facoltà teologica del Triveneto per il Dies academicus che ha aperto il decimo anno di attività dell’Istituto. «Si può essere cattolici e dire di no all’accoglienza? La risposta ovvia è no – ha detto il cardinale Pietro Parolin durante l’incontro con i giornalisti che ha fatto seguito alla Lectio magistralis tenuta nell’aula magna della facoltà -. Non si può essere un buon cristiano se c’è una chiusura totale. L’amore a Dio e l’amore al prossimo è il vertice della vita cristiana e amore significa accoglienza per tutti».
 
Il Segretario di Stato ha così ribadito un tema al quale ha dedicato ampio spazio durante la Lectio magistralis, intitolata “Papa Francesco. Visione e teologia di un mondo aperto”, quello delle migrazioni. Un argomento di scottante attualità che trova collocazione nella visione di ampio respiro che Papa Francesco ha del mondo in cui viviamo. Un mondo «non più diviso tra est e ovest o tra nord e sud», ma che assomiglia piuttosto a una «realtà multipolare », dove non sono superate le differenze tra Paesi più o meno sviluppati, ma dove affiorano, all’interno delle nazioni emergenti, «strati di popolazione che vivono in condizioni non diverse da quelle dei Paesi più ricchi».
 
Questa multipolarità, ha spiegato Parolin, «caratterizza il nostro mondo, non più dominato dalla contrapposizione tra Atene e Roma, oppure tra Mosca e Washington, ma è caratterizzato da una moltitudine di capitali da Pechino a San Francisco, da San Paolo a San Pietroburgo. La multipolarità, infatti, è espressa da una rete globale che avvolge il settore degli affari, della finanza, della religione e delle decisioni politiche». Una visione di un mondo “aperto”, dove le identità sono a contatto le une con le altre e dove il fenomeno delle migrazioni ci impone di fare i conti con la figura dell’immigrato.
 
«Non possiamo chiuderci su noi stessi per puro egoismo – sono le parole di Parolin -: il dolore e i problemi dell’altro sono un invito al dialogo con lui.
Il Papa ha invitato l’Italia a riscoprire quei valori di attenzione reciproca e solidarietà che sono alla base della sua cultura e della convivenza civile. Non si tratta di una semplice apertura materiale, ma di farsi portatori di istanze etiche capaci di trasformarsi in azioni politiche necessariamente condivise. Una condivisione che travalica i confini nazionali».
 
A questo proposito, ha detto il Segretario di Stato incontrando la stampa, «deve continuare il coinvolgimento dell’Europa su questo tema e deve riguardare tutti i Paesi del mondo. Problemi nuovi richiedono la collaborazione di tutti. Bisogna mettere i Paesi in condizione di non costringere i loro cittadini ad andarsene, eliminare le cause della povertà estrema e la violenza, la guerra, i conflitti».
 
«Mi dispiace che sentimenti di chiusura, disprezzo e intolleranza ci siano nella regione in cui sono nato e con la quale conservo un rapporto di amore. Certo, di fronte al tema dell’immigrazione c’è anche tanta paura, e la paura è sempre cattiva consigliera. Ma Gesù è venuto a liberarci dalla paura. Bisogna insistere sui temi dell’accoglienza, del dialogo e del rispetto, facendo leva sulla nostra storia: siamo stati un popolo di migranti che sono dovuti andarsene a causa della fame».

 

 
Andrea Frison su La Voce dei Berici di questa settimana