Ponti non muri: per non dimenticare Betlemme

Lunedì 27 febbraio nell'Abbazia di Sant'Agostino

 
 8 metri di altezza per 900 chilometri di lunghezza, destinati a diventare 1200. Questi i numeri del muro di separazione innalzato tra Israele e Palestina nel 2003. Da quell’anno, in concomitanza con la costruzione di questa barriera, hanno iniziato a diffondersi gli incontri di preghiera “Ponti non muri” per parlare di nuove “architetture”, non tanto fisiche quanto piuttosto umane, da edificare. Anche a Vicenza si rinnova, annualmente, questo momento di preghiera, in programma per lunedì 27 febbraio, alle 20.30, nell’Abbazia di Sant’Agostino, a Vicenza. «Ci uniamo nella preghiera, in questa giornata della memoria del muro di separazione tra Israele e Palestina, con le suore elisabettine di Padova presenti a Betlemme – così don Raimondo Sinibaldi, direttore dell’Ufficio pellegrinaggi della Diocesi -, che ripetono un’invocazione di unione ogni venerdì, alle 17, lungo il muro».

Innalzato da Israele in nome della sicurezza contro il terrorismo, condannato dalla Corte internazionale di giustizia dell’Aia, “abbattuto” mentalmente da Papa Francesco che lì appoggiò mano e volto quasi a volerlo demolire, il muro imprigiona un popolo che può uscire solo tramite permesso. «La barriera genera odio, vendetta, risentimento e, non da ultimo, emigrazione – continua don Raimondo -: il 50% dei cristiani presenti a Betlemme se n’è andato. Un tempo l’80% degli abitanti era cristiano e il 20% musulmano. Oggi le percentuali si sono invertite». Per sradicare una mentalità che vede il muro come una scelta necessaria per avere sicurezza interna, c’è da rispondere con il dialogo e il rispetto reciproco, «con un giusto spirito di accoglienza regolato da leggi e criteri specifici», evidenzia ancora don Raimondo. Un’ulteriore risposta arriva dai pellegrinaggi in queste terre. Pellegrinaggi che si propongono sì di far conoscere le pietre sante, ma ancor di più le pietre vive, le persone che vivono in contesti dove a farla da padrone sono le barriere e non l’umanità.   Margherita Grotto