Profughi: nuova esperienza di accoglienza in Diocesi

La parrocchia di San Bonifacio ospita quattro giovani nigeriani

 
Alex ha 20 anni, Victor 22, Yacubu 25 e Prince 30. Sono i quattro profughi nigeriani che dal 3 maggio hanno preso dimora nell’appartamento assegnato loro dalla parrocchia di San Bonifacio, in via San Giovanni Bosco 1. «Uno di essi, all’arrivo, ci ha ringraziato per l’accoglienza e ha aggiunto: “Che Dio vi benedica!” – ricorda l’arciprete mons. Giuseppe Miola -. Con questo gesto si è pensato di accogliere l’invito di Papa Francesco, il quale, in modo particolare a Lesbo, il 16 aprile scorso, ha evidenziato che tutti gli uomini e tutte le donne sono figli di Dio e, perciò, nostri fratelli e sorelle». Sono tredici i volontari coinvolti nel progetto di accoglienza. Fanno parte dell’associazione “Buon Samaritano”, voluta da parrocchia, Caritas diocesana, Fondazione Oasi, la Cooperativa promozione lavoro, il Centro di formazione “San Gaetano” e l’Associazione missionaria per gestire gli appartamenti di via San Giovanni Bosco, destinati a chi si trova in emergenza abitativa e a progetti di accoglienza come quello in corso. «Siamo solo all’inizio, ma credo che il percorso di crescita nell’incontro con l’altro porterà buoni frutti se sapremo operare con attenzione, rispetto, pazienza, delicatezza… e alla pari», afferma Simonetta Dalla Gassa, la coordinatrice del progetto che da anni lavora al fianco dei migranti. I volontari, con i richiedenti asilo, si occuperanno di ascolto e accompagnamento nelle piccole esigenze quotidiane, nel contatto con servizi sociali, sanitari e legali per svolgere le pratiche previste; l’insegnamento della lingua italiana, dell’educazione civica e di altre materie utili; l’accompagnamento nella conoscenza del territorio, nell’inserimento sociale e nella promozione della graduale autonomia di vita quotidiana (riguardo ad alimenti, abbigliamento, pulizia personale…); la gestione dei problemi di salute; l’offerta di momenti di convivialità e conoscenza reciproca. «La sfida più grande? – prosegue Dalla Gassa -. Poter essere stimolo di cambiamento per la parrocchia e tutta la comunità civile, affinché diventi più solidale, più attenta ai bisogni effettivi delle persone, più consapevole delle cause locali e globali delle migrazioni e capace di mettere al primo posto il bene comune». «Nell’immediato ci vogliamo conoscere senza fretta, andiamo a trovarli semplicemente per far presente che c’è qualcuno per loro – racconta Irene Sandri, 19 anni, studentessa -. Per il futuro desideriamo interrogarci sul percorso compiuto insieme, su quanto esso sia stato importante e profondo per ognuno di noi e, possibilmente, rimanere in contatto con “gli amici”, come li definisce una collega volontaria». «Siamo davvero tutti e tutte nella stessa barca, senza distinzione tra i “noi” e i “loro”, con cui spesso si vogliono contrassegnare le persone migranti – conclude la coordinatrice -. E solo partendo da quella “barca comune” possiamo provare insieme a immaginare e a dar vita a qualcosa di inedito, che in realtà è già in atto in tante piccole realtà che purtroppo non fanno clamore». Maria Bertilla Franchetti Articolo da La Voce dei Berici di questa settimana