Solennità di Ognissanti e Commemorazione dei fedeli defunti: le celebrazioni del Vescovo e una riflessione di don Vivian

 

In occasione della festa solenne di Ognissanti il Vescovo di Vicenza mons. Beniamino Pizziol presiederà l’Eucarestia in Cattedrale martedì 1° novembre alle ore 10.30. Dal pomeriggio di martedì inizierà, come vuole la tradizione cattolica, la visita ai cimiteri da parte dei singoli fedeli e delle comunità parrocchiali in occasione della Commemorazione di tutti i fedeli defunti. Mercoledì 2 novembre il Vescovo presiederà la Santa Messa in suffragio di tutti i defunti in Cattedrale alle ore 19.00. La visita ai cimiteri è un vero e proprio “pellegrinaggio” di fede, di suffragio e di affetto che ogni parrocchia intende vivere come comunità, in aggiunta alle tantissime visite da parte delle famiglie e delle singole persone che in questi giorni fanno visita alle sepolture dei propri cari. In ogni cimitero sono previste celebrazioni di suffragio. Celebrazioni al Cimitero Monumentale di Vicenza  Martedì 1° novembre alle 10.00 nella chiesa del cimitero monumentale la Messa sarà celebrata dal cappellano don Paolo Baio. Il Vescovo mons. Beniamino Pizziol alle ore 15,30 presiederà la celebrazione dei Vespri Solenni cui seguiranno la processione sotto i chiostri monumentali e la benedizione delle tombe. A questa celebrazione sono invitati in particolare i sacerdoti e i fedeli delle parrocchie del Centro Storico (Cattedrale, S. Stefano, S. Marcello, Servi – S. Michele, Carmini, S. Marco, S. Caterina e S. Pietro) che animeranno la liturgia.  Mercoledì 2 novembre Commemorazione di tutti i fedeli defunti, alle ore 10 l’arcivescovo mons. Agostino Marchetto presiederà la Messa solenne nella chiesa del cimitero Maggiore. Alle 15 ci sarà la visita dei fedeli delle parrocchie di Araceli, Maria Ausiliatrice, S. Andrea e S. Francesco, Anconetta e Ospedaletto, Cuore Immacolato (San Bortolo), San Paolo e Laghetto. Giovedì 3 novembre alle 15 visita da parte delle comunità di Madonna della Pace e San Pio X.
Venerdì 4 novembre alle 15: San Carlo – Villaggio del Sole e Santa Maria Bertilla, S. Agostino, S. Antonio – Ferrovieri, S. Giorgio, S. Lazzaro, S. Giuseppe e Santi Felice e Fortunato.
Da mezzogiorno del 1° novembre a tutto il 2 novembre è possibile ottenere l’indulgenza plenaria per i defunti alle solite condizioni, e cioè: visita ad una chiesa o al cimitero con recita del Padre Nostro e del Credo; una preghiera secondo le intenzioni del Papa; confessione e comunione entro otto giorni. La stessa indulgenza è estesa anche visitando il Cimitero dall’1 all’8 novembre.  

 Proprio in questi giorni la Congregazione per la Dottrina della Fede ha pubblicato la nota “Ad resurgendum cum Christo” in cui si richiama la visione cristiana della morte e si precisa che nel caso di cremazione del corpo del defunto (oggi ammessa dalla Chiesa) le ceneri vanno poi comunque tumulate al cimitero e non possono essere né conservate in casa, né tantomeno essere disperse o utilizzate per la realizzazione di altri oggetti. Tali prassi risultano infatti in netto contrasto con la fede della Chiesa e non sono compatibili con la celebrazione delle esequie cristiane.
 
 
Il contributo Teologico di don Dario Vivian pubblicato sul corrente numero del settimanale diocesano:
 

Il titolo di un film di qualche anno fa è “21 grammi”, il peso dell’anima. Secondo gli esperimenti condotti da un certo McDougall, sarebbe questo infatti il peso che perde un essere umano dopo la morte; cosa che, sempre secondo lui, non avverrebbe quando si tratta di cadaveri di animali.

Immagino la contrarietà di molti animalisti, dato che ci si chiede se invece queste creature non possano essere dotate di anima. Del resto, una frase di Paolo suggerisce di pensare al mondo futuro non solamente riservato a noi umani: “Anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio” (Romani 8,21). E riecheggiando il profeta Isaia, la visione finale dell’ultimo libro della Bibbia afferma: “E vidi un cielo nuovo e una terra nuova” (Apocalisse 21,1). Estendiamo allora l’anima a tutto e a tutti, oppure rivediamo i nostri modelli di pensiero?   L’interrogativo della morte La visione tradizionale, che pensa all’essere umano fatto di corpo e di anima, offre una modalità di guardare alla morte un po’ meno drammatica: è vero che il nostro caro se n’è andato, ma in realtà è morto il corpo, mentre l’anima immortale è in cielo, nel mondo di Dio. Si tratta di una visione che dobbiamo al pensiero greco, mentre quello biblico non è esattamente così. È un pensiero concreto, che si riferisce all’essere umano nella sua corporeità resa viva dal soffio di Dio, come narra l’antico testo della creazione: “Il Signore Dio soffiò nelle sue narici un alito di vita e il terrestre divenne un vivente” (Genesi 2,7). Nella morte, questo soffio di vita è reso a Dio; di Mosè si dice: “Morì nella terra di Moab, sulla bocca del Signore” (Deuteronomio 34,5). Secondo la Bibbia, bocca a bocca con Dio si nasce e si muore; una sorta di bacio santo, come già osservavano i rabbini. Ciò non toglie che la morte rimanga drammatica, soprattutto se giunge quando ancora non si è sazi di giorni. Il re Ezechia, guarito dalla sua malattia, ringrazia Dio dicendogli: “Non sono gli inferi a renderti grazie, né la morte a lodarti; quelli che scendono nella fossa non sperano nella tua fedeltà” (Isaia 38,18). Gesù stesso muore gridando nella preghiera l’abbandono di Dio, non ha dentro di sé l’idea dell’anima che si stacca dal corpo e va in cielo. Pur nella prova, si fida e si affida all’amore del Padre, che non lascerà il suo corpo nella morte.   Credo la risurrezione della carne Il Credo della chiesa non parla dell’immortalità dell’anima, anzi nella sua forma più antica non esita a proclamare la risurrezione della carne. Non si tratta della carne di cui siamo fisicamente fatti, perché questo nel mondo di Dio non ha più senso. Eppure, proprio questa carne mortale, in tutta la sua concretezza, diviene l’espressione del massimo incontro tra Dio e la nostra umanità: “E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Giovanni 1,14). Quindi anche la comunione piena, che vivremo al di là della morte, se da una parte deve evitare rappresentazioni maldestre (il nostro corpo di risorti sarà giovane o vecchio, sano o malato? e se qualcuno ha avuto un trapianto di cuore o di reni?), dall’altra non può prescindere dalla carne della nostra umanità, dal corpo che via via nel corso del tempo ha registrato esperienze e relazioni, la nostra concreta storia di donne e uomini. Ancora Paolo, alle prese con un gruppo di cristiani di Corinto malati di spiritualismo al punto da rigettare l’idea che sia la carne a risorgere, raffronta il corpo risorto al seme seminato nella terra. Se lo guardi non immagini la pianta che ne verrà: “È seminato nella corruzione, risorge nell’incorruttibilità; è seminato nella miseria, risorge nella gloria; è seminato nella debolezza, risorge nella potenza; è seminato corpo animale, risorge corpo spirituale” (1Corinzi 15,42-44).   Nell’ultimo giorno? A Maria di Betania, che si lamenta della morte del fratello Lazzaro, Gesù chiede se crede che risorgerà; e lei risponde: “So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno” (Giovanni 11,24). Esprime insieme una delusione e una protesta: perché mi rimandi all’ultimo giorno, quando la morte sembra una sconfitta qui e ora? Gesù rilancia: “Chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno” (Giovanni 11,26). Sembra dire che non è necessario aspettare l’ultimo giorno, perché chi crede non tiene la persona morta chiusa dentro la puzza del sepolcro. Tolta la pietra dell’incredulità, ogni morto – non solo Lazzaro – può uscire dalla tomba in cui lo confiniamo per mancanza di fede: “Lasciatelo andare” (Giovanni 11,43), ci viene detto. Anche se il corpo fisico si decompone, la nostra umanità concreta – di carne dicono le Scritture – che ha vissuto, lavorato, gioito, tribolato, amato … va lasciata andare in Dio. La morte di ciascuno è irruzione misteriosa e benedetta nell’ultimo giorno di ogni altro essere umano e del cosmo intero; al di là del tempo e dello spazio, che sono percezioni nostre, ricchi tuttavia della storia vissuta, della quale nulla va perduto e tutto perdonato. Don Dario Vivian

teologo