Spiritualità del Natale: accoglienza e preghiera per entrare nell’umile stalla di Betlemme

Una riflessione di Marina Marcolini e un video contributo con Assunta Steccanella

 
Mentre si trovavano a Betlemme, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio (Lc 2,6-7).
Natale in famiglia… ma quale famiglia? E soprattutto: quale Natale? Torno ad ascoltare le parole di Luca, quella sua mirabile sintesi narrativa che in due soli versetti (38 parole in tutto, compresi gli articoli) comprime il dramma più grande della storia intera, il Dramma con la D maiuscola: la sfida che la vita pone a tutti quelli per i quali non c’è posto.  La vita urge in loro, come negli altri. C’è da nutrirsi, crescere, imparare, mettere al mondo figli. La vita non attende (si compirono per lei i giorni del parto). Avanza le sue pretese ovunque, nei tempi sbagliati, nei luoghi sbagliati. Fa venire al mondo un neonato in un freddo e fangoso campo profughi. Spinge una donna incinta su una carretta del mare. Fa gridare un orfano con il pancino pieno di vermi sulle piste aride dell’esilio. I corpi, i cuori, le menti di tutti hanno bisogni, reclamano cure, attenzioni. Chiedono luoghi adatti al fiorire della vita. Ma per molti corpi, per molti cuori e menti non c’è posto.
Natale è la festa della casa che non c’è. Scriveva Adriana Zarri, che le veniva più naturale preparare il presepe nella stalla, tra il disordine e i topi, piuttosto che nel salotto. A ricordare che «l’incarnazione non è una storia privata: è la storia del mondo e Cristo non nasce solo nella greppia». Gesù è il non accolto. Un marchio a fuoco dal quale riconoscerlo (Gv 1,11). L’escluso, il rifiutato, lo scarto. Buttato fuori di casa. Dalla famiglia di Israele. A Natale chi è solo si sente ancora più solo. Una catastrofe interiore per chi vive qualche vuoto. Persone (moltissime) che si sentono sempre come non a casa, senza un posto. Vedovi, genitori che hanno perso un figlio, orfani, separati, migranti con la famiglia lontana e tutti coloro che sono lacerati negli affetti.  Natale dovrebbe venire in particolare per loro, con l’annuncio di una grande gioia (Lc 2,10), e, invece, proprio a loro il Natale porta una grande sofferenza. Questo significa che lo abbiamo snaturato. Non solo perché se n’è impadronito il mercato, ma perché noi cristiani lo viviamo in modo zuccheroso, come la festa dei buoni sentimenti, senza comprenderne il dramma e senza coglierne le potenzialità rivoluzionarie. Stare in famiglia, in patria o dentro i confini rassicuranti della propria religione significa per molti, oggi come ieri, sentirsi “a posto” e forse anche costruirsi intorno muri. Ma il Vangelo racconta un modo diverso di essere casa e famiglia, lo fa narrandoci una vita tutta accoglienza. Da Gesù arrivano i rifiutati di ogni tipo, estromessi, scartati, ghettizzati: le donne, i malati, gli eretici, i pagani, i peccatori, le prostitute, tutti i diversi. Il non accolto contraddice la storia accogliendo. Si fa casa per quelli che non hanno casa. Quelli che erano fuori, passano dentro. E con loro è una valanga di bisogni umani a entrare e a diventare più importante delle esigenze di Dio. Sono la fame e il dolore dell’uomo che importano davvero, non il precetto del Sabato (Mt 12,1-8; Lc 6,7-9).  Gesù accoglie il pubblicano, include il traditore e chiede agli accolti (tutti noi) d’imparare a essere accoglienti. Il Vangelo racconta di gente che si mette in cammino, che si apre, fa spazio, per essere riempita. Accogliere non è solo ospitare, ma conquistare un cuore plasmabile. Uscire non è solo andare, ma innescare cambiamenti. C’è un modo di sentirsi famiglia che non chiude porte, ma spalanca possibilità, intesse relazioni, risponde alla vita che grida, risospinge al largo esistenze incagliate. A ognuno di noi sta scoprirlo, per vie differenti. E allora potremo godere la gioia di vivere il Natale in una famiglia che contiene la nostra, la accoglie, ma anche la trascende: la famiglia di Gesù. Essergli madre, fratello, sorella, come egli stesso ci invita ad essere (Mt 12,50). Marina Marcolini docente universitaria di letteratura italiana, scrittrice e biblista Guarda il video con Assunta Steccanella sul valore della preghiera in Famiglia nel tempo di Natale