Tempo di Quaresima

Le parole del Vescovo e una riflessione sul digiuno


         Carissimi fratelli e sorelle, consacrati e consacrate,         carissimi canonici, sacerdoti, diaconi, seminaristi,         amici ascoltatori di Radio Oreb,          ogni anno – con il rito austero delle Ceneri – ritorna la Quaresima, un “tempo pieno” di quaranta giorni da vivere tutti insieme come tempo di conversione: «Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio» (2Cor 5,20b), ci esorta l’Apostolo Paolo, e come invito a ritornare a Dio: «Ritornate a me con tutto il cuore» (Gl 2,12). Sono dunque quaranta giorni per il ritorno a Dio, per una maggior conoscenza della misericordia infinita di Dio e per una nuova conversione.           La conversione, infatti, non è un avvenimento accaduto una volta per tutte, bensì un dinamismo che deve essere rinnovato, riscoperto, lungo i diversi tempi dell’esistenza, nelle diverse età, soprattutto quando il passare degli anni può indurre nel cristiano un adattamento alla mondanità, una stanchezza della vita spirituale, uno smarrimento del senso e del fine della propria vocazione.          Il Mercoledì delle Ceneri, allora, segna l’inizio di questo tempo propizio, il kairòs della Quaresima, ed è caratterizzato – come dice il nome – dall’imposizione delle Ceneri sul capo di ogni battezzato.La cenere è il frutto del fuoco che arde, racchiude in sé il simbolo della purificazione, rimanda – inoltre – alla condizione di provvisorietà e di fragilità del nostro corpo che, dopo la morte, si decompone e diventa polvere, come ci ricorda la formula stessa dell’imposizione delle Ceneri e che rievoca il testo della Genesi (3,19): «Ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai».          La pagina del Vangelo che abbiamo proclamato ci indica tre “buone pratiche” per il tempo quaresimale: l’elemosina, la preghiera e il digiuno. Si tratta delle opere tipiche della persona religiosa in Israele, ma erano tre pratiche di pietà conosciute in tutte le culture e le tradizioni dell’Antico Oriente. Esse, inoltre, sono conosciute anche nella cultura secolarizzata, non più legata a una visione trascendente della vita. C’è tanta gente che continua a donare soldi per i poveri, per le emergenze nazionali, per i terremotati, per la fame, per le inondazioni e quant’altro, attraverso le sollecitazioni e i programmi dei mezzi di informazione. Così ci sono molte persone che si impongono dei digiuni, dei regimi alimentari seri per dimagrire, per mantenere una forma fisica invidiabile, per la salute del corpo, per compiere meglio il loro lavoro, come gli attori o le fotomodelle. Ci sono anche quelli che praticano molte ore di preghiera comunitaria o personale, con varie forme e vari stili, nel silenzio e nella contemplazione del creato, in luoghi solitari o pubblici.Tutte queste “buone pratiche” anche se non hanno un orientamento esplicito a Dio, possono essere comunque un’occasione di una esperienza umana sincera e naturale. Ma quali orientamenti e insegnamenti vengono dati a noi da Gesù per un’attuazione evangelica di queste forme di pietà?          Gesù – nel Vangelo di oggi – ci invita a orientare il nostro cuore a Dio, compiendo ogni nostra azione per Lui, per amore Suo, come dei figli che desiderano entrare in comunione d’amore con il Padre; ecco perché ci ammonisce dal pericolo (sempre latente in tutti) di voler apparire: «State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro» (Mt 6,1).         Viviamo in un mondo dove l’apparire sembra valere più dell’essere, per cui ci si affanna a curare l’immagine, a curare la forma. L’invito è quindi a liberarci della voglia di essere visti, di essere applauditi e lodati dalla gente, dovremmo desiderare solo la benevolenza e la benedizione del Signore, dato che per ben tre volte Gesù ci ripete: «E il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà» (Mt 6,4b; 6b; 18b).          L’elemosina, la preghiera e il digiuno vengono proposti da Gesù come un cammino di conversione ed essi portano a un rinnovamento solo se compiuti con sincerità, senza ipocrisia e senza ricerca di visibilità e di approvazione.         L’elemosina indica la gratuità, ci ricorda che i beni sono di Dio, che la ricchezza va condivisa, specialmente con chi è povero. La preghiera deve esprimete la ricerca sincera di Dio e della sua volontà. Il digiuno è segno della piena disponibilità al Signore e alla Sua Parola. Astenersi dal cibo è dichiarare a noi stessi qual è l’unica cosa necessaria; la sazietà, altrimenti, rischia di renderci insensibili agli appelli di Dio e alle necessità dei fratelli. Il distacco dal cibo ci aiuta a prendere le distanze dalle cose futili e vane e a ricercare l’essenziale, a recuperare la dimensione di comunione e di condivisione della vita.          Queste tre pratiche che sostengono il cammino della conversione al Signore non possono essere separate tra loro, esse si intrecciano e si completano a vicenda. Con questo spirito vi invito a condividere le proposte che vengono dalla diocesi, attraverso l’Ufficio Missionario, chiamate “progetti solidali 2017”, che si possono trovare nel sito web. Esse sono delle richieste di aiuto – generalmente mirate e non continuative – che ci arrivano dai nostri missionari. Vi si può contribuire con l’iniziativa quaresimale “Un pane per amor di Dio” e con tutte le altre forme di intervento che solo la fantasia e la creatività dell’amore sa suggerire.         A questo proposito, vorrei rivolgervi un invito forte e pressante a favore delle popolazioni del Sud Sudan, in Africa, che si trova in una nuova e terribile emergenza: la fame. Centomila persone stanno rischiando di morire di fame in questa regione e – se non si interviene subito – la situazione rischia di diventare ancora più grave e drammatica.          Signore, tu ci chiedi di rinnovarci nel profondo del cuore e ci inviti a percorrere con fiducia e impegno il cammino della Quaresima. Ci inviti a vivere la solidarietà verso i poveri, a compiere gesti di riconciliazione e di misericordia. Ci proponi di ritrovare – attraverso la preghiera – un rapporto autentico con te, costruito sull’ascolto e sull’adorazione. Ci offri la possibilità – attraverso la pratica del digiuno – di avvertire quella fame e quella sete di giustizia e di pace di cui ha tanto bisogno il nostro mondo.

         Signore, tu ci sproni ad affrontare l’itinerario spirituale della Quaresima – segno sacramentale della nostra conversione – con audacia e con gioia, perché è un percorso di liberazione che ci conduce a sperimentare la forza e la bellezza della Pasqua. Amen. 


† Beniamino Pizziol
Vescovo di Vicenza
 
 
In una società dove non si mangia prevalentemente per dimagrire e piacere di più a se stessi – e soprattutto agli altri -, dove l’apparire sembra valere più dell’essere, il periodo Quaresimale, caratterizzato dal digiuno e dall’astinenza dalle carni, come ricorda il Vescovo nell’omelia delle Ceneri qui a sinistra, è un’importante occasione per riflettere e interrogarsi sui propri stili di vita, sulle abitudini, i vizi, all’insegna della condivisione e solidarietà. La Chiesa cattolica prevede il digiuno e l’astinenza il Mercoledì delle Ceneri (il primo marzo ndr) e il Venerdì santo (14 aprile ndr), giorno della morte di Gesù: l’inizio e la fine dei quaranta giorni che precedono la Pasqua, che ricordano proprio i quaranta giorni che Gesù trascorse nel deserto, tentato dal diavolo. «Nella tradizione cristiana si digiuna per esprimere il pentimento e la supplica del perdono, per allontanarsi dai propri peccati – spiega don Matteo Lucietto,  41 anni, direttore dell’Istituto teologico del Seminario e direttore delle Scuole di formazione teologica della diocesi -. Davide, ad esempio, dopo aver compiuto adulterio e aver fatto uccidere il marito della donna alla quale si è unito, digiuna, si veste di sacco e dorme per terra. Capisce di aver peccato e decide di chiedere scusa con tutto il corpo. Il cibo rappresenta il bisogno fondamentale dell’uomo ed è legato al peccato originale, al frutto proibito che appartiene solo a Dio. Il peccato quindi si manifesta con la voracità, con il volersi impadronire di qualcosa». Metafora che oggi appare perfetta, con la foga con la quale si ingerisce il cibo, ci si appropria di beni materiali e si rinuncia con difficoltà. Digiuno non significa “non mangiare”, ma consumare un unico pasto nella giornata. Fare astinenza vuol dire non cibarsi di carne (rossa e bianca), non perché sia impura, ma perchè un tempo era costosa (sono permessi latticini, pesce e uova). Il famoso “mangiare di magro”, senza l’ipocrisia di entrare in pescheria e scegliere un branzino di mare. «Il digiuno non ha senso – continua don Lucietto -, se non è legato alla conversione e al cambiamento del cuore. È la preoccupazione dei profeti: che il digiuno non diventi una pratica esteriore, formale, ma che sia il segno esteriore di una rinuncia più radicale». Ed è per questo che il digiuno è anche sinonimo di elemosina: in alcune parrocchie della nostra diocesi il pasto risparmiato si trasforma in un’offerta per i poveri, una possibilità data a chi non ha nulla. «Infine nella rivelazione biblica il digiuno è profondamente legato all’ascolto della Parola di Dio – spiega don Lucietto -. Mosè sul monte Oreb riceve le dieci parole durante un digiuno di 40 giorni, così tutto il popolo è educato dalla manna, il cibo degli angeli, a vivere non solo di pane, ma anche di quanto esce dalla bocca di Dio, cioè dalla sua Parola». Il digiuno e l’astinenza piano piano hanno perso l’antico significato cristiano, soprattutto tra i giovani. Possono, però, assumere risvolti educativi, insegnando a controllare il corpo non necessariamente a tavola; insegnando a rinunciare, magari partendo dalla famiglia. Il digiuno è il luogo per riscoprire la relazione con Dio, ma anche con gli altri. Un’occasione per spegnere la televisione, per tenere in tasca i telefonini a cena con gli amici o quando si dedica del tempo ai figli. Digiuno, quindi, dai mezzi che invece di facilitare a volte complicano le relazioni, azzerandole. Marta Randon