Una Chiesa semplice, vicina alle gioie e ai dolori della gente, non ossesionata dal potere

Il Papa parla dell'umanesimo cristiano citando don Camillo e Peppone


«Un intervento decisivo per la Chiesa italiana». Non usa tanti giri di parole il Vescovo di Vicenza mons. Beniamino Pizziol per descrivere l’intervento del Papa di martedì mattina al Convegno ecclesiale di Firenze. «Il Papa ci ha indicato in modo forte, caldo e convincente, con un discorso di cuore, di cuore aperto, di riflettere sulla “Evangelii gaudium”. Come Vescovo mi sento di essere dentro questo cammino».
 
«Il suo – aggiunge PIzziol – non è stato tanto un discorso programmatico perché ha parlato di antropologia a partire dal Vangelo, da Cristo, da come Cristo si rapporta con l’uomo, che è il modo con cui noi siamo chiamati ad andare avanti nel cammino della nostra Chiesa».
 ECCE HOMO
 
È dal grande affresco della cupola del Brunelleschi, la straordinaria opera architettonica che domina la città di Firenze, che Papa Francesco comincia a tracciare il suo “sogno” per la Chiesa italiana. «Nella cupola di questa bellissima Cattedrale è rappresentato il Giudizio universale – ha detto il Papa, iniziando il suo intervento -. Al centro c’è Gesù, nostra luce. L’iscrizione che si legge all’apice dell’affresco è “Ecce Homo”. Un angelo gli porta la spada, ma Gesù non assume i simboli del giudizio, anzi solleva la mano destra mostrando i segni della passione, perché Lui ha “ha dato sé stesso in riscatto per tutti”». È qui, in quest’uomo che nella sua misericordia svela l’uomo, che il Papa individua la direzione del cammino che la Chiesa italiana ha iniziato con il Convegno di Firenze.
 UMILTA’, DISINTERESSE, BEATITUDINE
 
«Non voglio qui disegnare in astratto un “nuovo umanesimo”, una certa idea dell’uomo, – ha continuato il Papa -, ma presentare con semplicità alcuni tratti dell’umanesimo cristiano che è quello dei “sentimenti di Cristo Gesù” (Fil 2,5)».
 
Il primo di questi sentimenti, ha spiegato il Santo Padre, è l’umiltà: «L’ossessione di preservare la propria gloria, la propria “dignità”, la propria influenza non deve far parte dei nostri sentimenti».
 
Un altro sentimento di Gesù che dà forma all’umanesimo cristiano è il disinteresse: «”Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri” (Fil 2,4). Dobbiamo cercare la felicità di chi ci sta accanto. L’umanità del cristiano è sempre in uscita. Non è narcisistica, autoreferenziale».
 
L’ultimo sentimento consegnato dal Papa ai convegnisti, è quello della beatitudine.
 
«Il cristiano è un beato, ha in sé la gioia del Vangelo – ha detto Francesco -. Per essere “beati”, per gustare la consolazione dell’amicizia con Gesù Cristo, è necessario avere il cuore aperto».
 NO ALL’OSSESSIONE PER IL POTERE
 
Da questi tratti, il Papa ha ricavato l’indicazione fondamentale, consegnata martedì mattina alla Chiesa italiana: «Questi tratti ci dicono che non dobbiamo essere ossessionati dal “potere”, anche quando questo prende il volto di un potere utile e funzionale all’immagine sociale della Chiesa. Se la Chiesa non assume i sentimenti di Gesù, si disorienta, perde il senso».
 
E per non perdere il senso, il Papa ha messo in guardia la Chiesa da due tentazioni: il pelagianismo «che ci porta ad avere fiducia nelle strutture, nelle organizzazioni, nelle pianificazioni perfette perché astratte», e lo gnosticismo che «porta a confidare nel ragionamento logico e chiaro, il quale però perde la tenerezza della carne del fratello».
 IMPARIAMO DA DON CAMILLO
 
Per vivere la fede con umiltà, disinteresse e beatitudine, la Chiesa italiana può contare su grandi esempi di santi come «Francesco D’Assisi e San Filippo Neri», ha ricordato il Papa che ha poi aggiunto «pensiamo anche alla semplicità di personaggi inventati come don Camillo che fa coppia con Peppone. Mi colpisce come nelle storie di Guareschi la preghiera di un buon parroco si unisca alla evidente vicinanza con la gente. Di sé don Camillo diceva: “Sono un povero prete di campagna che conosce i suoi parrocchiani uno per uno, li ama, che ne sa i dolori e le gioie, che soffre e sa ridere con loro”. Vicinanza alla gente e preghiera sono la chiave per vivere un umanesimo cristiano popolare, umile, generoso, lieto. Se perdiamo questo contatto con il popolo fedele di Dio perdiamo in umanità e non andiamo da nessuna parte». Un concetto, questo, espresso anche nel pomeriggio durante l’omelia della celebrazione eucaristica che si è svolta allo stadio Franchi di Firenze.
 I COMPITI PER CASA
 
Il Papa ha poi affidato “i compiti per casa” alla Chiesa italiana: «Ai vescovi chiedo di essere pastori: sia questa la vostra gioia. Sarà la gente, il vostro gregge a sostenervi. Che niente e nessuno vi tolga la gioia di essere sostenuti dal vostro popolo. A tutta la Chiesa italiana raccomando ciò che avevo indicato nella Evangelii gaudium: l’inclusione sociale dei poveri, che hanno un posto privilegiato nel popolo di Dio, e la capacità di incontro e di dialogo per favorire l’amicizia sociale nel vostro Paese, cercando il bene comune».
 
«Mi piace una Chiesa italiana inquieta, sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti – concluso il Papa. Desidero una Chiesa lieta col volto di mamma, che comprende, accompagna, accarezza. Sognate anche voi questa Chiesa, credete in essa, innovate con libertà. Cercate di avviare, in modo sinodale, un approfondimento dell’Evangelii gaudium, per trarre da essa criteri pratici e per attuare le sue disposizioni».Andrea Frison  Un ampio servizio sulle parole del Papa alla Chiesa italiana e sulla delegazione vicentina al Convegno ecclesiale sarà pubblicato su La Voce dei Berici in uscita venerdì 13 novembre.