Una rinascita politica, ma sulle radici della Costituzione

Il Direttore dela Voce dei Berici intervista Padre Bartolomeo Sorge

 
Il 31 gennaio 2015 Sergio Mattarella è stato eletto al quarto scrutinio dal Parlamento in seduta comune, dodicesimo Presidente della Repubblica. Con lui il cattolicesimo democratico torna a esprimere uno dei vertici dello Stato. Come un fiume carsico questa tradizione culturale politica ed ecclesiale offre al Paese un contributo decisivo nella dinamica democratica. Il gesuita Bartolomeo Sorge, teologo e politologo, già direttore di Civiltà Cattolica e della Rivista Aggiornamenti Sociali, nonché protagonista negli anni ‘80 della cosiddetta “primavera di Palermo”, dove dirigeva l’Istituto di Formazione Politica Pedro Arrupe, ha dedicato un ampio articolo, nel prossimo numero di Aggiornamenti Sociali in uscita a marzo, all’elezione di Sergio Mattarella a Presidente della Repubblica e al cattolicesimo democratico. Abbiamo raggiunto al telefono padre Sorge, uno dei massimi pensatori e teorici viventi del cattolicesimo democratico, per sentire il significato di tale elezione e cosa resta oggi di questa corrente di pensiero politico ed ecclesiale che tanto ha dato al Paese in particolare nel Secondo Dopoguerra. «Oggi – esordisce padre Sorge – molti si chiedono: con Renzi a Palazzo Chigi e con Mattarella sul Colle, che stia per avverarsi davvero il sogno di Sturzo e di De Gasperi, di Dossetti e di Lazzati, di Zaccagnini, Martinazzoli e di Moro? È appena il caso di notare che è del tutto privo di senso parlare di «ritorno della Dc» o definire Mattarella e Renzi «democristiani», come alcuni dicono con incredibile superficialità». 
 
Con Mattarella però il cattolicesimo democratico porta uno dei suoi uomini ai vertici dello Stato.
«Certo. Mattarella con il suo discorso d’insediamento ha compiuto una rilettura della Costituzione, rimanendo all’interno della cultura riformista liberal-sociale, propria del cattolicesimo democratico, che ha sempre ispirato il suo impegno politico. È in continuità con la cultura politica del popolarismo di don Sturzo, che contribuì in modo determinante (insieme con le altre tradizioni democratiche) alla stesura della Carta repubblicana».
 
Ma oggi cosa resta del cattolicesimo democratico?
«È mutata la forma storica del cattolicesimo democratico – spiega Sorge -. Non esistono più le forme partitiche e ideologiche che esistevano prima e avevano caratterizzato il cattolicesimo democratico. Oggi questo tende a presentarsi sotto la forma della “buona politica”, una proposta che viene rivolta a tutti i “liberi e forti”, come fece Sturzo, che non si rivolgeva solo ai cattolici. In questo senso è diventato un discorso maturo di “buona politica” aperto, appunto, trasversalmente a tutti. Il cattolicesimo democratico in questo senso è diventato un discorso più ampio di quello partitico e ideologico».
 
Oggi il quadro complessivo è, se possibile, ancor più complesso con questioni assolutamente inedite rispetto al passato anche recente (basti pensare alla questione antropologica), come si è aggiornato questo filone di pensiero?
«È venuta meno una questione dottrinale. Fino a qualche tempo fa, infatti, si sottolineava l’aspetto etico-dottrinale. Ora è diventata più una questione di prassi politica. È esemplare in questo senso il discorso che ha fatto Mattarella: non ha enunciato alcun principio di natura etica astratta, ma ha fatto l’applicazione ai problemi concreti della situazione italiana. Quindi, anche la questione antropologica non è più trattata a livello di dibattito teorico, ma attaccata nella pratica dei problemi quotidiani come prassi politica».
 
In tutto questo il Magistero è ancora un riferimento?
«Certo, rimane però implicito. La Dottrina sociale della Chiesa rimane valida, ma deve essere tradotta in pratica in risposta ai problemi. È il punto implicito da cui si parte, ma non è più una confessione cattolica esplicita. Qui si ritrova anche la laicità della politica, come uno dei tratti caratterizzanti il cattolicesimo democratico. È la fedeltà ai principi della Dottrina sociale della Chiesa mediati in modo laico, ovvero non trasposti direttamente dalle encicliche. Rimane anche la cultura della mediazione propria del cattolicesimo democratico e anzi questa ha raggiunto la sua maturità. Mediazione, infatti, vuol dire che i laici sono responsabili attraverso la loro formazione, la loro competenza professionale e la loro coscienza degli orientamenti che rimangono impliciti, ma che non diventano il punto di riferimento da tradurre in legge».
 
Anche il rapporto con la gerarchia quindi è più maturo?
«Certo, nella direzione del Concilio».
 
Non c’è il pericolo di una certa nostalgia da parte in particolare di una fascia di persone?
«Il rischio c’è davvero: molti sono nostalgici del cattolicesimo democratico come ideologia e come partito ideologico. Moltissimi pensano che bisogna rifare un partito e invece non hanno capito che il cattolicesimo democratico è ora un discorso aperto a tutti».

In questo “aggiornamento” del cattolicesimo democratico quanto pesa la questione del passaggio generazionale?
«Indubbiamente c’è la necessità di questo passaggio. Tutto il discorso che Renzi fa sulla rottamazione non è un capriccio, ma è la pratica di un superamento di una generazione di cattolicesimo democratico. Non si può fare da un giorno all’altro, ma la direzione è questa. La vecchia classe dirigente non è più adeguata per gestire la nuova forma di cattolicesimo democratico avendo vissuto la forma ideologica e partitica. Il problema del passaggio generazionale è dunque più sul versante delle vecchie generazioni che resistono su questo versante e non di incapacità delle nuove a prendere il testimone».
 
Il passaggio appare però problematico.
«Manca ancora quell’impegno formativo a livello culturale e prepartitico che bisognerebbe favorire proprio perché si tratta di un cambio culturale. Servono luoghi dove si mantiene vivo l’ideale culturale del cattolicesimo democratico rinnovando la forma».
 
Come si manifesta oggi il cattolicesimo democratico nella Chiesa?
«È finita la stagione dell’interventismo diretto della Chiesa nell’ambito sociale e politico che storicamente ha avuto anche delle giustificazioni. Il vero suo contributo è la dottrina sociale, l’impegno formativo delle coscienze per l’impegno dei laici in politica. Mentre in alcuni momenti la Chiesa si è spinta molto in là con interventi diretti della gerarchia, oggi la Chiesa di papa Francesco è sempre più attenta a non passare il confine della Dottrina sociale che ha un forte impegno formativo, ma non di influsso diretto sulla politica».
 
Lauro Paoletto
 
Articolo da La Voce dei Berici di questa settimana.