Al Lavoro nel Presepe della Vita

"Il presepe ci invita a pensare ai sogni e alle fatiche della nostra gente"
 
Carissimi,
 
in occasione della festa del Natale, vorrei invitarvi, ancora una volta, a contemplare con gli occhi pieni di stupore il presepe: un bambino, una famiglia e un mondo vario e concreto di persone attorno a loro. Questo è lo spettacolo straordinario e paradossale dell’Incarnazione del Figlio di Dio: il Bambino che viene dall’Alto, nasce e cresce in un mondo ordinario, comune, feriale.
Di questo mondo è componente essenziale, oggi come un tempo, il lavoro. Numerosi passaggi dei Vangeli ci ricordano come Gesù sia chiamato “il figlio del falegname” (Mt 13,55) o addirittura venga indicato egli stesso come “il falegname” (Me 6,3). Non si tratta di una pura descrizione, quanto di una identificazione: nei trent’anni di vita nascosta a Nazareth, Gesù, il Figlio di Dio, lavorando a fianco di Giuseppe e aiutando sua madre Maria, divenne realmente uomo, “esperto in umanità”. Non poteva essere altrimenti perché il lavoro è una dimensione fondamentale dell’essere umano. Anche nella festa di Natale non dimentichiamo la bella ed esaltante lezione che viene dalla vita dei giorni feriali.
 
Per questo, come può essere festa per quanti non trovano lavoro neppure per un solo giorno alla settimana, oppure, sono in perenne incertezza, non sapendo se il giorno dopo saranno ancora impiegati in qualche parte?
Il lavoro ha in sé una dimensione di concretezza irrinunciabile per la nostra vita e ci ricorda quanto sia vera l’indicazione di papa Francesco che “la realtà è più forte dell’idea”. La concretezza del lavoro quotidiano diventa il banco di prova e la manifestazione dei nostri ideali e dei nostri valori. Grazie al lavoro l’uomo e la donna possono dirsi, in qualche misura, partecipi dell’opera creatrice del Padre. Attraverso il lavoro viene riconosciuta loro una responsabilità primaria nel custodire e far crescere la creazione. Eppure ci sono anche tante fatiche e incertezze legate proprio alla dimensione del lavoro che per molte persone rappresenta un drammatico problema: disoccupazione, precariato, assenza di tutele, lavoro festivo….Già nella scena della nascita di Gesù possiamo vedere simbolicamente rappresentate queste situazioni di sofferenza. Il presepe invita a pensare ai sogni e alle fatiche della nostra gente.
 
Penso innanzitutto alla sacra famiglia: alla generosità e alla fede di Maria, sorella di tante mamme che, come lei, sentono paura davanti a responsabilità troppo grandi e situazioni troppo pesanti da portare da sole. E penso allo sposo Giuseppe, un artigiano onesto e laborioso, preso da Dio per “custodire la vita di suo Figlio”. Quanta gente coraggiosa incontro anche oggi, mamme e papà che, nonostante le fatiche della vita, creano progetti e sono orgogliosi delle piccole e grandi imprese per costituire una famiglia, crescere dei figli, costruirsi una casa e lavorare con onestà. Non sono famiglie vicine a quella di Nazareth?
Fare il proprio dovere fino in fondo, ogni giorno, anche sul luogo di lavoro è il primo modo per essere fedeli alla chiamata che il Signore fa a ognuno di noi. Per questo nessuno dovrebbe disprezzare il lavoro o calpestarlo con comportamenti illegali quali l’assenteismo, la finta presenza (si timbra e si esce per i fatti propri), l’uso improprio degli strumenti di lavoro, il comportamento scorretto nei confronti dei colleghi. Chi ha un lavoro, proprio perché è un bene che a tanti manca, ha il dovere di viverlo con onestà e responsabilità. È questo un riferimento che se vale per tutti, per un cristiano rappresenta un modo preciso di vivere il lavoro: ” Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse” (Gen 2,15).
 
Il presepe poi è popolato dalla presenza dei pastori. Nel vangelo della nascita i pastori sono quelli che si muovono e vedono per primi il bambino Gesù. Hanno una grande saggezza. Non dimentichiamo che erano semplici lavoratori e che in quel tempo non erano proprio stimati e onorati. La loro era una vita dura, assolutamente precaria. Anche se da più parti si registrano segnali incoraggianti di una ripresa economica, il mio pensiero va ai tanti che ancora non hanno una occupazione stabile e dignitosa, oppure rischiano di perderla.
Come non pensare alle lavoratrici e ai lavoratori che – davanti al pericolo concreto di una “delocalizzazione” del loro lavoro da settimane stanno lottando per difendere un posto in cui si sono identificati e spesi per anni, come i lavoratori e le lavoratrici della ‘Lovato-Gas’, che ho recentemente incontrato e ascoltato? Penso anche ai tanti giovani che non riescono a progettare il proprio futuro perché sono senza una professione stabile o uno stipendio adeguato che permetta loro di non dipendere dalle proprie famiglie.Di fronte ai drammi dei senza lavoro o dei precari la nostra Chiesa non può stare in silenzio. È dunque quanto mai significativo che la recente Settimana sociale dei cattolici italiani che si è svolta a Cagliari sia stata dedicata proprio al lavoro. Sono peraltro consapevole che fare l’imprenditore oggi è molto impegnativo e faticoso. Intuisco il carico burocratico e fiscale che rende questo impegno estremamente difficoltoso. Ma tutto questo non può ricadere sulle spalle dei giovani, di donne e uomini che pur di portare a casa qualcosa sono indotte ad accettare condizioni lavorative ingiuste e indegne. Nessuno dovrebbe essere costretto a scendere a compromessi con ciò che è e continua a rimanere illegale o eticamente non accettabile.
 
Nel Vangelo della nascita si racconta di tante porte chiuse alla famiglia di Nazareth. «Non c’era posto per loro …», dice con dolore il Vangelo (Lc 2,7) e l’unico posto fu una mangiatoia in una stalla. Pensando al mondo del lavoro, le porte chiuse sono quelle delle opportunità negate. Porte chiuse sono le politiche che proteggono più la finanza che un’economia fondata su un lavoro dignitoso per tutti. Porte chiuse sono le mancanze di solidarietà con quanti subiscono ingiustizie e sono costretti a vendere sé stessi a qualsiasi prezzo pur di conservare una occupazione costantemente in sospeso.
Porte chiuse sono dovute anche le scelte ispirate al guadagno che costringono tante donne al lavoro nei giorni di domenica e delle feste, col risultato che per tenere “sempre aperti” i mercati del consumo aumentano le porte “sempre chiuse” delle case, svuotate del legittimo e necessario riposo, di cui ha bisogno il corpo e lo spirito.
Come sarebbe bello se le porte dei centri commerciali e dei negozi restassero chiuse di domenica per aiutarci a riaprire quelle del cuore e della gratuità, delle relazioni familiari vissute nell’affetto e nel dialogo e non più sul consumo o sull’acquisto di qualcosa!
 
La scena evangelica del Natale ospita anche personaggi tristemente violenti. Il più disumano è Erode, che è avvolto di paura, teme di perdere il suo trono a causa di un Bambino, e allora reagisce con una violenza spietata su tutti i bambini di Betlemme, che hanno la sola colpa di proteggere un piccolo come loro.
 Il Natale può diventare allora occasione per riconoscere tutte le violenze che l’attività lavorativa dell’essere umano può infliggere alle realtà più fragili e indifese: mi riferisco al lavoro minorile, allo sfruttamento dei migranti, all’inquinamento, in particolare delle falde acquifere, allo sfruttamento sconsiderato del suolo. La questione dei Pfas pone seri interrogativi sul rispetto delle persone e dell’ambiente.
 
A Betlemme, davanti a una semplice ragazza e a un umile artigiano di Nazareth, i Magi depongono infine doni preziosi. La consapevolezza del lavoro come fattore fondamentale di dignità e crescita della persona e della comunità sia il “dono” primo che ci facciamo in questo Natale, in cui siamo chiamati a contemplare il mistero dell’incarnazione nel volto di Gesù.
 Auguro a ciascuno di trovare, tra i doni del Natale, anche la stima e l’apprezzamento per il proprio lavoro, vera vocazione per tutti. Come Gesù, che si è presentato a noi con il volto del “figlio del falegname”, noi tutti siamo figli di Dio e il volto che mostriamo, per tanto tempo delle nostre giornate, è proprio quello del lavoro. Dio accolga anche noi come lavoratori del suo Regno di giustizia e di pace.
Un augurio speciale per coloro che non lavorano, che cercano e non trovano, che rischiano di perdere un diritto fondamentale, magari a causa dei giochi della finanza o dell’indifferenza della politica. Il Natale li aiuti a sentirsi meno soli nell’affrontare le tribolazioni di ogni giorno. A noi tutti, personaggi adoranti sulla scena del Presepe, prostrati davanti al Dio Bambino, ci sia donata la vera gioia.
 
+ Beniamino Pizziol
Vescovo di Vicenza
 
 
15/12/2017