“Generare alla Vita di Fede”

UN ORIZZONTE NUOVO
 
Cuori missionari
 
10 Riprendendo il primo dei tre quesiti del capitolo precedente, ci facciamo aiutare da due affermazioni che, se anche datate, sono di grande attualità.
Scriveva Paolo VI nel 1975: “Evangelizzatrice, la Chiesa comincia con l’evangelizzare se stessa. Comunità di credenti, comunità di speranza vissuta e partecipata, comunità d’amore fraterno, essa ha bisogno di ascoltare di continuo ciò che deve credere, le ragioni della sua speranza, il comandamento nuovo dell’amore. Popolo di Dio immerso nel mondo, e spesso tentato dagli idoli, essa ha sempre bisogno di sentir proclamare «le grandi opere di Dio», che l’hanno convertita al Signore, e d’essere nuovamente convocata e riunita da lui. Ciò vuol dire, in una parola, che essa ha sempre bisogno d’essere evangelizzata, se vuol conservare freschezza, slancio e forza per annunziare il Vangelo” (Evangelii nuntiandi n° 15).
 
E Giovanni Paolo II osservava nel 1988: “Certamente urge dovunque rifare il tessuto cristiano della società umana. Ma la condizione è che si rifaccia il tessuto cristiano delle stesse comunità ecclesiali che vivono in questi paesi e in queste nazioni” (Christifideles laici n° 34).

La missione riguarda in primo luogo le nostre comunità, perché, mettendosi in un rinnovato ascolto del Signore, il loro cuore diventi un cuore missionario.

In questo cammino ci possono aiutare tre passaggi, che possiamo così riassumere: dalla nostalgia di un passato che non ritorna alla pace della speranza; dall’efficienza organizzativa alla gratuità evangelica; dai grandi progetti che spaventano a un primo passo possibile oggi.

 
 
Dalla nostalgia di un passato che non ritorna
alla pace della speranza

11 Sempre più le nostre parrocchie devono fare i conti con la diminuzione del numero dei presbiteri, dei religiosi, delle religiose e dei fedeli e di quanti sono impegnati nel servizio e nell’animazione della vita della comunità. E mentre aumentano le richieste di servizi religiosi, con sempre maggiore difficoltà si riesce a mantenere l’esistente e non mancano resistenze quando si cerca di introdurre percorsi nuovi.

Occorre leggere questa situazione con gli occhi della fede, scoprendo in essa un invito del Signore a concentrarci sull’essenziale, a lasciare senza nostalgie ciò che, pur valido e bello, ha fatto il proprio tempo. Non è certamente facile lasciare percorsi sperimentati e sicuri per incamminarci verso il nuovo, ma è la strada della libertà. Solo per fare un esempio che riguarda la catechesi parrocchiale, non è forse giunto il momento di ripensare un cammino catechistico modulato sui ritmi scolastici, fatto di un incontro settimanale per nove mesi, che richiede tante energie e persone, per andare verso modalità più snelle, con tempi più circoscritti e/o scadenze più diluite? E oltre a questo, quante altre iniziative è giunto il momento di lasciar andare? E non per stanchezza, ma nella consapevolezza che il cuore di una comunità non sta nelle iniziative che propone, ma in precisi momenti forti della sua vita di fede.
 

 
Dall’efficienza organizzativa alla gratuità evangelica

12 Si incontrano spesso operatori pastorali che, presi dagli impegni di lavoro, di famiglia e dai numerosi servizi richiesti dalle comunità, affermano di non avere più il tempo per la preghiera e per una presenza significativa nei luoghi della vita ordinaria. Incredibile, ma vero: la parrocchia, con i suoi ritmi non ben graduati, rischia di impoverire la vita di fede di quanti sono impegnati in essa e di allontanarli dall’impegno evangelico nei loro ambienti di vita.

Perché allora non pensare di riservare una settimana al mese, per quanti operano nella pastorale, libera da ogni impegno, per “riprendere fiato”, per ritrovarsi attorno alla Parola, per narrarsi reciprocamente la fede e darsi un tempo sufficiente di ascolto? E questo non solo in vista di una maggiore efficienza, ma per porre un segno visibile attraverso il quale dire che il fine di ogni azione pastorale è la custodia della relazione personale con il Signore.

 
 
Dai grandi progetti che spaventano
ad un primo passo possibile oggi

13 Intraprendere nuovi percorsi può preoccupare. Si può anche temere che, tralasciata una iniziativa tenuta in piedi con tanta fatica, non si sa poi come sostituirla. Ma allora da dove partire? Cosa lasciar perdere? Se quanto siamo andati affermando è vero, perché non mettere al centro delle nostre preoccupazioni e iniziative pastorali gli adulti? Non si tratta tanto di trascurare i ragazzi o ridurre drasticamente l’impegno verso le nuove generazioni, ma di assumere con coraggio quanto hanno affermato i nostri Vescovi: “L’esperienza catechistica moderna conferma ancora una volta che prima sono i catechisti e poi i catechismi; anzi, prima ancora, sono le comunità ecclesiali” (RdC n° 200).
 
 
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08/09/2013