LITURGIA FUNEBRE PER DON ARMIDO GREGOLO(Chiesa parrocchiale di Rosà, 3 febbraio 2015)

Quasi dodici anni fa, era l’8 febbraio del 2003, don Armido era uscito incolume da un drammatico incidente, in terra africana, che provocò la morte di due nostri amati e stimati sacerdoti: don Giacomo Bravo e don Antonio Doppio.
Mercoledì scorso, 28 gennaio, ha trovato la morte in seguito alle ferite riportate nell’incidente, accaduto la sera prima, mentre correva in bicicletta lungo la strada regionale. Signore, quanto sono misteriosi i tuoi disegni e  imperscrutabili le tue vie!

Don Armido fu ordinato sacerdote dal vescovo monsignor Carlo Zinato nel giugno del 1947. Ha svolto il suo ministero pastorale come vicario parrocchiale a Montebello Vicentino, a Grantorto, a Rosà, a Ognissanti di Arzignano e poi – come parroco – a Durlo e a Santo Stefano di Zimella, e infine come collaboratore pastorale Rosà, per 18 anni.
Il Signore gli ha donato una lunga vita, 93 anni, e anche una buona salute, che gli ha consentito di dedicarsi alla sua grande passione, percorrendo ogni giorno diversi kilometri in sella alla sua bicicletta, con la quale affermava: “vado a trovare i parrocchiani, prego, dico il Rosario, medito, vado in vacanza”. Ora possiamo applicare a don Armido le parole dell’Apostolo Paolo: «Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede» (2Tim 4,7). Oggi noi lo consegniamo al Signore, affidandolo alla sua infinita bontà.

In questo momento di affettuosa memoria e di pianto per la sua morte ci è di sicuro conforto la Parola di Dio.
Il Vangelo (Lc 12,35-40) che abbiamo ascoltato ci invita alla vigilanza e all’attesa: «Siate sempre pronti, con la cintura ai fianchi (come si usava ai tempi di Gesù per mettersi in viaggio) e le lampade accese (per partire anche di notte)». È il senso della vita cristiana come attesa del Cristo che viene. Vivere da cristiani, ascoltando la Parola di Gesù, i suoi insegnamenti, significa andare verso la casa del Padre che ci aspetta per la grande festa della vita eterna. Una festa nella quale Dio stesso, nostro Padre, si farà servitore della nostra felicità: «si cingerà il grembiule e ci servirà», così dice il Vangelo. La vita cristiana è attesa fiduciosa e operosa di un incontro, preparato da Dio stesso, mediante Gesù, per ciascuno di noi. E allora dobbiamo mantenerci sempre pronti perché nessuno conosce il giorno e l’ora in cui il Signore verrà a chiamarci. La sua grazia, però, ci accompagna ogni giorno, senza abbandonarci mai, perché possiamo rispondere “eccomi” alla voce che ci chiama.

Ripensando alla vita sacerdotale di don Armido, al suo ministero instancabile, alla sua dedizione per il bene delle persone, al suo generoso sostegno a tanti missionari impegnati nel servizio del Vangelo in diverse parti del mondo, soprattutto dell’Africa, vedo la mano provvida di Dio, nostro Padre, che lo ha condotto e preparato alla chiamata che gli è giunta improvvisa, ma che certamente non lo ha trovato impreparato.

Nella seconda lettura l’Apostolo Paolo ci ricorda il centro, il fondamento della nostra fede e della nostra speranza: «siamo convinti che colui che ha risuscitato il Signore Gesù, risusciterà anche noi con Gesù e ci porrà accanto a lui» (2Cor 4,14). Questa fiduciosa certezza viene comunicata a tutti i credenti: anche se l’uomo “esteriore” – ossia l’uomo fragile, provvisorio – si va progressivamente disfacendo, quello “interiore”, vale a dire l’uomo spirituale, si rinnova di giorno in giorno. Occorre, perciò, non fissare lo sguardo sulle cose visibili, materiali, ma orientarlo verso quelle invisibili ed eterne.
L’Apostolo Paolo non insegna a disprezzare le realtà di questo mondo, non esorta al disimpegno o al disinteresse di fronte ai problemi di questo mondo, ma invita a dare loro il giusto peso e il giusto valore. I beni materiali non possono in alcun modo trasformarsi in idoli, non costituiscono il fine ultimo dell’esistenza.
Nell’ultimo versetto della prima lettura che abbiamo ascoltato, l’Apostolo proclama la sua gioiosa certezza: quando verrà disfatto questo corpo mortale, «la nostra dimora terrena, riceveremo un’abitazione eterna nei cieli, una dimora non costruita da mani d’uomo» (2Cor 5,1).

Don Armido era prete da 67 anni: ogni giorno celebrava l’Eucarestia, si dedicava alla visita alle famiglie e agli ammalati. Per un disegno misterioso di Dio è morto all’improvviso a seguito di un drammatico incidente ma noi siamo convinti che sul suo volto sfigurato si è posata, dolce e pietosa, la mano paterna di Dio, che sana le nostre ferite e conforta gli spiriti affranti. Accanto alla bara di don Armido, arde il cero pasquale, annunzio della Risurrezione, sopra è aperto il Vangelo con le parole di vita che non passeranno. Poi circonderemo di onore e di amore il suo corpo con il profumo dell’incenso e con l’acqua, nel ricordo del Battesimo, germe di vita eterna.

O Vergine Santa, Madonna di Monteberico, voi tutti Santi e Beati della nostra Chiesa, Santa Giuseppina Bakita, venite incontro a don Armido per accompagnarlo insieme a Dio Padre buono e misericordioso.
E tu, don Armido, che noi amiamo pensarti davanti a Dio con la tua inseparabile bicicletta, intercedi per la nostra Chiesa di Vicenza perché il Signore le conceda la grazia di numerose vocazioni al Ministero Sacerdotale, alla Vita Consacrata e al Sacramento del Matrimonio. Amen!

 

† Beniamino Pizziol
Vescovo di Vicenza