LITURGIA FUNEBRE PER DON FELICE MARANGON(chiesa parrocchiale di San Vito di Leguzzano, 19 marzo 2018)

 
       Don Felice ha compiuto la sua Pasqua definitiva, vale a dire il passaggio da questa vita terrena all’incontro con Dio, Padre buono e misericordioso, nella sua dimora di luce e di pace.
 
       Egli fu ordinato sacerdote dal vescovo Carlo Zinato il 27 giugno 1948, in una classe di 37 compagni. Per poco tempo fu cappellano a Quinto Vicentino e quindi venne assegnato a San Vito di Leguzzano come vicario parrocchiale, fu poi nominato parroco nel 1969 e vi rimase fino al 2000, per 31 anni, assumendo anche l’amministrazione di Leguzzano dal 1989. Negli ultimi 18 anni della sua vita fu collaboratore pastorale a Cà Trenta e nella sua amata parrocchia di San Vito di Leguzzano.
 
       Don Felice è stato un sacerdote esemplare, zelante, generoso e pastore molto amato, testimoniò il Vangelo di Cristo con la vita e con la parola. L’immagine del prete-pastore si misura sempre sulla persona di Gesù, il vero-buon-pastore, come abbiamo ascoltato nel Vangelo di Giovanni.
       L’allegoria del pastore, infatti, riflette pienamente la persona e la missione di Gesù, ma in un modo del tutto originale. Nell’esperienza comune del pastore, proprietario del gregge, non è richiesto di dare la vita per le pecore, anzi: da esse il pastore ricava il sostentamento per sé e per la sua famiglia. Non è dovere di nessun pastore dare la vita per le pecore o introdurre nell’ovile pecore che non siano sue.
 
       Gesù si pone in modo del tutto nuovo rispetto ai pastori com’erano comunemente conosciuti. Gesù è il Buon Pastore, che ama a tal punto le sue pecore — tutte le persone umane — da dare la sua vita come contempleremo tra pochi giorni nel Venerdì Santo, quando ci recheremo in processione a baciare Gesù Crocifisso dalle cui piaghe siamo stati guariti e salvati. Gesù non abbandona mai il gregge, neppure di fronte ai lupi rapaci che insidiano continuamente la Chiesa in ogni tempo.
 
       Ma c’è un’altra novità nel rapporto pastore-gregge: la conoscenza reciproca. «Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre» (Gv 10,14-15). Il nuovo principio che caratterizza il gregge è quello di una reciproca conoscenza tra il pastore e il suo gregge, una mutua appartenenza, fatta di una profonda comunione come quella che esiste tra Gesù e il Padre suo. Tale deve essere la comunione tra Gesù e i suoi discepoli, tra tutti battezzati, una comunione nutrita dalla fede e vissuta nell’obbedienza a Dio.
 
       Don Felice, nella sua vita e nel suo ministero, si è impegnato a testimoniare Gesù Buon Pastore in ogni circostanza. È stato un sacerdote serio ma gioviale, accoglieva tutti indistintamente con un sorriso simpatico, visitava annualmente tutte le famiglie. Era un assiduo e apprezzato confessore e direttore di anime, arrivava in chiesa molto prima dell’orario della messa e si metteva nel suo confessionale e attendeva i fedeli che desideravano ricevere il perdono di Dio.
 
       Don Felice per ben settant’anni ha celebrato l’Eucarestia, il sacramento della morte e della risurrezione del Signore Gesù. L’Eucarestia è l’atto supremo dell’amore di Gesù per la sua Chiesa e per il mondo intero, consegnato i suoi apostoli nell’Ultima Cena e trasmesso nella catena delle generazioni dei cristiani, come ci attesta San Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi che abbiamo ascoltato: «Io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: “Questo è il mio corpo, che è per voi, fate questo in memoria di me”» (1Cor 11,23-24).
 
       Per un prete la Messa è tutto: è il pane che dà forza, l’appuntamento quotidiano atteso che dà senso al faticare, al soffrire, al morire, che sostiene nelle esperienze di amarezza e di delusione proprie di ogni padre, e il prete è sempre un padre e un pastore per il popolo. L’Eucaristia è supplica e pianto per i propri figli, è conforto e speranza per il ministero del prete. L’Eucaristia fa della vita del prete un corpo donato e un sangue versato. Quanto è bello e quanto è consolante pensare don Felice, davanti a Dio, rivestito dei suoi settant’anni di sacerdozio, immerso nelle acque di grazia della Pasqua di Cristo, una vita spesa con Cristo, offerta a Dio per i fratelli!
 
       Don Felice e tutta la comunità di San Vito di Leguzzano hanno sempre coltivato le vocazioni sacerdotali e religiose. Solo il Signore sa quanti sacerdoti e religiosi sono stati donati alla Chiesa diocesana e alla Chiesa universale dalla vostra comunità, che il vescovo Zinato definiva così “San Vito: la tribù di Levi”.
       In questi primi tre giorni della settimana celebrerò il funerale di tre sacerdoti della nostra diocesi e rispetto ai 37 preti ordinati nel 1948, compreso Don Felice, quest’anno, probabilmente, non ci sarà nessuna ordinazione presbiterale. Non smettiamo mai, allora, di pregare con insistenza il Signore della messe perché mandi operai nella sua messe che è il mondo.
 
       La Santa Madre di Gesù, la nostra Madonna di Monte Berico, i Santi e i Beati della Chiesa vicentina accolgano il nostro amato confratello presbitero don Felice e lo accompagnino all’incontro con Dio Padre, ricco di misericordia.
       Don Felice, noi ti chiediamo di intercedere dal Cielo per questa comunità per cui sei vissuto e che hai servito fino a donare per essa la tua vita, affinché cresca sempre più della fede in Dio e nel servizio d’amore ai fratelli  e alle sorelle.
       Amen.

† Beniamino Pizziol
Vescovo di Vicenza