LITURGIA FUNEBRE PER DON TARCISIO GIROLIMETTO(chiesa parrocchiale di Carmignano, lunedì 6 febbraio 2017)

         Qualche giorno fa, don Tarcisio Girolimetto – durante una passeggiata al mercato – ha avuto un attacco cardiaco e, per l’intervento immediato e provvidenziale di alcune persone, è stato trasportato presso l’ospedale di Cittadella, in terapia intensiva. Nei giorni seguenti c’è stato un miglioramento ma mercoledì 1 febbraio, di primo mattino, è morto, alla vigilia della festa della Presentazione di Gesù al Tempio.
         Possiamo immaginare sulle sue labbra e nel suo cuore, le parole del santo vecchio Simeone: «Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua Parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza» (Lc 2,29-30).
 
         Don Tarcisio fu ordinato prete dal vescovo Carlo Zinato il 24 giugno 1956 e ha svolto il suo ministero pastorale come vicario cooperatore a Monteviale, a Paviola e come cappellano all’ospedale civile di Montecchio Maggiore per 18 anni, e quindi come collaboratore pastorale ad Alte Ceccato e a Carmignano di Brenta.
         La sua lunga vita è stata contrassegnata da tante malattie e da numerosi interventi chirurgici, ma la convivenza con il male l’ha mantenuto sereno fino all’ultimo, lo sostenevano la fede, la dedizione alle persone ammalate, e la familiarità con la Parola di Dio.
 
         Il testo delle Lamentazioni che è stato proclamato come Prima Lettura esprime – nel suo inizio – un senso di smarrimento e di sconforto, come noi ora di fronte alla morte di questo fratello sacerdote, per questo possiamo fare nostre le parole del profeta Geremia: «Il ricordo della mia miseria e del mio vagare è come assenzio e veleno. Ben se ne ricorda la mia anima e si accascia dentro di me» (Lam 3,19-20).
         Ma nella seconda parte, la lettura esprime un sentimento di sicura speranza: «Le grazie del Signore non sono finite, non sono esaurite le sue misericordie. Si rinnovano ogni mattina, grande è la sua fedeltà… Buono è il Signore con chi spera in lui, con colui che lo cerca» (Lam 3,22-23.25). Ci soffermiamo su queste parole perché le troviamo vere anche nella vita di don Tarcisio, il cui corpo accompagniamo oggi all’ultima dimora terrena, in attesa della risurrezione della carne. Sono le medesime certezze che animano la vita di ogni presbitero.
 
         Nella vita di ogni prete le delusioni possono essere molte. All’appassionato impegno dell’evangelizzazione non sempre corrisponde un’adeguata risposta, e allora ecco i giorni dello sconforto. Ma siamo consapevoli che «le grazie del Signore non sono finite, ma si rinnovano ogni mattina» (Lam 3,22-23).
         L’apostolato di don Tarcisio è stato prevalentemente a servizio dei malati, con una lunga esperienza nell’ospedale di Montecchio Maggiore. Tante volte, nella sua vita, gli è capitato di leggere il Vangelo di Matteo che ci preannuncia su che cosa saremo giudicati alla fine della nostra vita terrena: «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi» (Mt 25,35-36).
         Don Tarcisio era amico e fratello dei malati, per tutti e per ciascuno aveva una parola buona e di incoraggiamento che condivideva spesso con una battuta umoristica. La celebrazione quotidiana dell’Eucaristia nella Casa di riposo, a Carmignano, è stata per lui un altro luogo di consolazione e di speranza: potremo dire che è stata la sua forza. Don Tarcisio, in questo modo, è vissuto ed è morto da prete. Ha guardato in faccia serenamente la morte  – prima di morire – ha pregato assieme al fratello don Egidio, con serena consapevolezza, e poi ha chiuso gli occhi e si è addormentato per sempre.
         Noi pensiamo che nel passaggio, da questo mondo al Padre Buono e Misericordioso, don Tarcisio abbia sentito il canto del Salmo che abbiamo appena recitato: «Quale gioia quando mi dissero: “Andremo alla casa del Signore!”. È là che salgono le tribù, le tribù del Signore, secondo la legge di Israele, per lodare il nome del Signore» (Sal 121).
 
         Il 24 luglio dello scorso anno, don Tarcisio ha festeggiato il Sessantesimo anniversario di sacerdozio. Ecco le sue parole riportate nel biglietto che lo ricordano: “Consapevole di essere stato scelto fra gli uomini e costituito in loro favore, ho esercitato in letizia e carità sincera l’opera sacerdotale di Cristo, unicamente intento a piacere a Dio. Quotidianamente ringrazio Dio, che mi ha condotto con pazienza e bontà, tra molte sorprese e non poche fatiche. Lo ringrazio per i giorni che mi sta regalando e nel contempo gli chiedo una fede sempre più forte per poter offrire a tutti una testimonianza di vita sacerdotale limpida e serena, vigile nell’attesa del grande incontro con il Signore”.
 
         Ottantotto anni sono una vita lunga e noi possiamo dire che lui ha consacrato la sua esistenza a servizio del Vangelo e della Chiesa con grande spirito di obbedienza. Penso a tutte le volte in cui – nel corso di sessant’anni di messa – egli ha riflettuto sulle parole del Libro dell’Apocalisse: «La promessa che il Signore fa ai suoi servi fedeli di averli al suo cospetto quando avranno finito questa vita, con le loro opere»: opere di preghiera, di solidarietà, di sofferenza offerta e sofferta con i suoi malati.
 
         Sulla bara di don Tarcisio è aperto il Vangelo perché sul Vangelo egli ha impegnato tutta la sua vita. Si è fatto prete perché ha creduto al Vangelo e nelle parole del Vangelo è racchiusa la speranza che lo ha sorretto, giorno per giorno.
         La Madonna di Monte Berico, i Santi e i Beati della nostra Chiesa gli vadano incontro e lo conducano al Padre nella Sua dimora di luce e di pace. E noi preghiamo insieme il Signore della vita perché doni alla nostra diocesi numerose e sante vocazioni; vocazioni al Sacramento del Matrimonio, alla Vita Consacrata e al Ministero Ordinato. Amen.

 

† Beniamino Pizziol
Vescovo di Vicenza