“Quanti Pani Avete?”

Lettera Pastorale alla Diocesi di Vicenza
Per l'anno 2016-2017
 
 
Non sono sufficienti
 
Nella sua bimillenaria esperienza la comunità cristiana ha dovuto ripetutamente ammettere le proprie inadeguatezze, le insufficienze e gli errori, e non c’è nulla di male quando questa esperienza si ripropone all’interno dell’esperienza ecclesiale odierna. I discepoli si sono dovuti misurare con una situazione semplicemente insostenibile: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo» (Gv 6,7). Davanti alle esigenze impellenti della gente, i discepoli hanno riconosciuto la loro radicale impotenza: anche un ipotetico utilizzo d’ingenti somme di denaro si sarebbe rivelato del tutto insufficiente. Pure le cifre del passato (abbondanza di vocazioni, numerosi iscritti alle associazioni cattoliche, alto tasso di frequenza alla vita sacramentale) alla fin fine non sarebbero sufficienti. Bisogna inaugurare un’altra logica rispetto a quella manage-riale. «I discepoli ragionano in termini di “mercato”, ma Gesù alla logica del comprare sostituisce quell’altra logica, la logica del dare5».
 
 
Cinque pani e due pesci.
 
La richiesta del Signore ottiene un risultato assai scarso, irrisorio, assolutamente insufficiente davanti alla nuda e cruda oggettività delle esigenze. «Hanno poco, i dodici, solo cinque pani e due pesci, che non bastano neppure ad assicurare la cena del piccolo gruppo: cosa sono due pesci di lago essiccati suddivisi fra tredici persone? È poco, ma tutto è messo a disposizione. Tutto ciò che abbiamo e possediamo deve diven-tare sacramento di condivisione 6».
Probabilmente la Chiesa che è in Vicenza si ritrova con “poco” da offrire tra le mani e cos’è questo davanti alle folle? Il racconto della moltiplicazione mette in rilievo l’incapacità dell’uomo a risolvere il caso, «la situazione di radicale impossibilità nella quale si trova7»; e questo non solo per far risaltare in tutta la sua bellezza l’esuberante eccedenza del miracolo, ma anche per evidenziare l’atto di totale abbandono da parte dei discepoli all’iniziativa del Signore. Gesù non desidera inventariare le risorse dei suoi discepoli o di passare in rassegna con meticolosa precisione le forze in campo, ma chiede che gli si offra un rinnovato atto di fiducia in Lui. La sproporzione tra la pochezza delle risorse e la quantità esorbitante del cibo moltiplicato per Sua iniziativa, domanda ai discepoli di oggi e di sempre una fede “arresa” e totalmente consegnata in Gesù. Non è chiesta una fede perfetta; Gesù si aspetta, invece, un affidamento senza riserve in Lui e in Lui soltanto. 
«Il miracolo non si produce da niente, ma da una prima modesta condivisione di ciò che un semplice ragazzo aveva con sé. Gesù non ci chiede quello che non abbiamo, ma ci fa vedere che se ciascuno offre quel poco che ha, può compiersi sempre di nuovo il miracolo: Dio è capace di moltiplicare il nostro piccolo gesto di amore e renderci partecipi del suo dono8». C’è una condizione. Che quel poco che siamo e abbiamo lo mettiamo tutto nelle Sue mani. 
È necessario rifuggire dall’alibi/tentazione di dire: dal momento che è poco, rassegniamoci perché non basta. Al contrario, invece, le esigue forze in campo, consegnate interamente all’iniziativa del Maestro, sappiamo che possono diventare la forza propulsiva per inedite energie e spinte missionarie, a patto, appunto, che ciascuno non trattenga nulla. I cinque pani e due pesci delle nostre risorse pastorali vanno impiegate fino in fondo, senza riserve e senza sconti. A ciascuno di noi è richiesto il massimo della propria disponibilità, una disponibilità individuale e comunitaria, espressione del sentirci tutti “sulla stessa barca”, ossia compartecipi del destino gli uni degli altri, con un’azione profumata di corresponsabilità.
Un dettaglio, che al primo impatto sembra insignificante, può invece sorprendere: le folle vengono suddivise in «gruppi di cento e di cinquanta» (cfr Mc 6,40 e Lc 9,14). Se Gesù domanda lo slancio senza calcolo della generosità personale e comunitaria, al tempo stesso chiede pure qualche accortezza organizzativa. Egli non spinge ad agire a casaccio, abbandonandosi all’improvvisazione, ma chiede di predisporre la modalità migliore per organizzare la distribuzione del cibo. Non va certo “dogmatizzata” la strategia della suddivisione a gruppetti; altre strade, infatti, avrebbero potuto essere percorse (ad esempio la Chiesa delle origini, per non trascurare le vedove di lingua greca nel servizio alle mense, sceglie di istituire i “sette”: cfr At 6,1-6). Viene così suggerita la necessità di incanalare le forze, di inventare modalità condivise di pianificazione del servizio pastorale. La corresponsabilità ecclesiale, infatti, germoglia proprio dal desiderio di servire in modo intelligente l’intero popolo di Dio.
 
 
Rese grazie
 
Invece di lamentarsi del poco che i discepoli sono riusciti a procurargli, Gesù rende grazie (Mt 15,36; Gv 6,11), anticipando in questa occasione i gesti che poi ripeterà nel contesto dell’ultima cena: rendimento di grazie, preghiera di benedizione, fractio panis e di-stribuzione. Non può non stupire questo iniziale atteggiamento di gratitudine. Verrebbe da dire: «quel che abbiamo raccolto è troppo poco, ora il Maestro ci redarguirà». Ma a Gesù non interessano i numeri; è un’altra la “conta” che gli sta a cuore: non il novero dei pochi mezzi a disposizione, ma la disponibilità ad offrigli quel poco che siamo e che abbiamo. Tanto basta per far fiorire nel cuore del Maestro la riconoscenza e la lode. È probabilmente questo il punto di partenza della “predisposizione eucaristica” di Gesù, che sa commuoversi per le iniziative inaspettate del Padre («Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli», Mt 11,25). 
Tale atteggiamento di Gesù può proporsi come il migliore antidoto alla lamentela e al mugugno, che nei nostri ambienti ecclesiali – come d’altronde in ogni ambiente umano – sono sempre in agguato. Lui ci invita a coltivare una predisposizione a cogliere il bene e a gioirne, anche se solo incipiente e nascosto. Come argine alle recriminazioni e ai brontolamenti viene indicata la strada del rendimento di grazie. Tra l’altro, è proprio questo il punto di partenza delle lettere paoline. Anche Paolo inizia sempre la comu-nicazione epistolare con le sue comunità con l’attestazione della stima e della riconoscenza: «Anzitutto rendo grazie al mio Dio per mezzo di Gesù Cristo riguardo a tutti voi» (Rm 1,8); «Rendo grazie continuamente al mio Dio per voi» (1Cor 1,4; cfr anche 1Ts 1,2; Fm 1,4). 
Questo fondamentale atteggiamento eucaristico ci induce al necessario costante ricentramento della nostra pastorale attorno alla celebrazione del sacramento dell’Eucaristia. La «Chiesa in uscita», la «Chiesa ospedale da campo», che «sa sporcarsi le mani» – per usare il linguaggio vivace di papa Francesco – nasce propriamente dal dinamismo intrinseco all’Eucaristia: il «fate questo in memoria di me», accolto nella celebrazione direttamente dalle labbra di Gesù, diviene principio attivo nell’esistenza dei singoli credenti e delle comunità tutte, chiamati a riproporre nell’oggi il dono di sé che il Maestro fece allora nell’offerta della croce. L’invito «voi stessi date loro da mangiare» (Mc 6,37; Lc 9,13), che potrebbe incutere il timore di non farcela, viene così sorretto dalla forza stessa che il Risorto infonde allo slancio della sua Chiesa.
A quale atteggiamento “eucaristico” il Signore sta invitando la nostra Chiesa vicentina? Gli siamo sinceramente grati per tutti gli operatori pastorali in attività? Per le iniziative che continuano e per quelle nuove che sorgono? Per la vivacità della pastorale vocazionale e giovanile in atto? Per i nuovi presbiteri ordinati? Per le innumerevoli opere di carità che si stanno realizzando e per l’azione di accoglienza degli immigrati secondo gli accorati appelli del Papa? Per il rilancio della missio ad gentes dopo la pausa indotta dal rapimento dei nostri presbiteri fidei donum?
Inoltre, educarci costantemente a dire il nostro grazie a Dio ci libera da eventuali “deliri di onnipotenza pastorali”, riconoscendo che è Lui a condurre la storia della Chiesa e delle nostre comunità, e ci abilita alla semplicità e all’umiltà pastorali. Il volto di una comunità lieta, semplice, riconciliata, sorridente e grata per quel poco che ha da offrire è pur sempre più piacevole del volto corrucciato di una comunità perennemente insoddisfatta, scontenta di ciò che è ed ha e spesso propensa alle lamentele e alle proteste.
 
La sazietà.
 
Il pane e il pesce iniziano a circolare e, dopo avere ricevuto la benedizione di Gesù, saziano la fame di tutti – e, immaginiamo, anche quella degli stessi discepoli –, suscitando pure la certezza di essere entrati nell’era messianica. L’abbondanza sperata dal messia atteso è finalmente arrivata: l’era della prosperità è inaugurata. L’esagerazione dei numeri, infatti, è la modalità con cui gli evangelisti ci notificano questo evento9. Certo, bisognerà correggere le aspettative intra-mondane delle folle, che poi erroneamente cercheranno Gesù per farlo re (cfr Gv 6,14-15). Con questa iniziativa, infatti, Gesù non ha garantito nessun “assistenzialismo messianico” e, rifiutando l’investitura regale, ha imboccato decisamente la strada verso la croce. Piuttosto, Egli ha voluto pro-babilmente indicare uno stile, mostrare una strada percorribile: si può giungere alla sazietà partendo da due presupposti. Il primo: mettere in comune il poco che si ha, nonostante il senso di insufficienza che si sperimenta. Il secondo: consegnare questo poco alle Sue mani benedicenti. Da qui sgorga la possibilità di pani moltiplicati, convivialità inimmaginabili e fami saziate. 
È spontaneo, poi, immaginare il senso di gioia e di festa che ha riscaldato i cuori delle folle, ed è probabile che si sia diffuso in tutti la sensazione e il desiderio della comunione reciproca. Inoltre, chi ci proibisce di immaginare che tutta questa gente non abbia 
potuto sperimentare nel cuore di questa gioiosa circostanza la certezza della presenza di Dio stesso? Percependo che la comunione fraterna era abitata dalla comunione divina? 
La dimensione missionaria della Chiesa nasce da qui: dalla certezza di essere abitati dalla sovrabbondanza dell’amore divino, un amore che non può essere contenuto, ma che, per l’entusiasmo e la gioia che infonde, va comunicato ad altri. Condividere e comunicare quel che si è ricevuto da Dio, parte dalla comunione e genera comunione. L’esperienza del Dio di Gesù Cristo o è “esondante” – trabocca per sé e per altri – oppure semplicemente non è.
Le nostre forze limitate, se messe in circolazione con rinnovato slancio di fede, possono produrre effetti che nemmeno osiamo sognare. Forse la Chiesa diocesana può effettivamente passare dalla delusione per la ristrettezza dei mezzi a una “sazietà” inaspettata, dalla quale può sgorgare la comunione ecclesiale e nella quale può affacciarsi addirittura la comunione trinitaria. Se abbiamo incontrato momenti di de-lusione e incertezza pastorale o addirittura di paura, ripartendo dai piccoli passi possibili, quel poco che siamo chiamati tutti a mettere in comune, ce lo ritroveremo benedetto e moltiplicato dal Signore.
 
Il poco che libera 
 
Il poco che produce il molto ci libera dall’ossessione delle garanzie e ci spinge magari verso alcune libertà inesplorate. Il coraggio, ad esempio, di imboccare la strada improrogabile della dismissione di certe strutture che ci sequestrano tempo ed energie, di inaugurare forme semplicissime ma concrete di convivenza e fraternità, di procedere senza fretta ma anche senza indugi verso un nuovo assetto pastorale, senza im-porre uniformità ma anche senza dover salvaguardare a tutti i costi le originalità e le perplessità di alcuni. Potrebbe essere questa la modalità concreta con cui la nostra Chiesa diocesana tenta di rispondere alla domanda del Suo Signore «quanti pani avete?» per continuare a mettere coraggiosamente in circolazione le forze a disposizione. Forse, fidandoci nell’iniziativa benevola di Gesù potremmo passare da qualche delusione allo stupore e alla gioia della sazietà. 
 
 
 
 
Nell’orizzonte dell’Evangelii Gaudium 
 
Nell’Evangelii Gaudium Papa Francesco propone quattro principi utili al discernimento in tutti i campi della realtà sociale e in modo particolare li offre affinché l’opera di evangelizzazione contribuisca «allo sviluppo della convivenza sociale e alla costruzione di un popolo in cui le differenze si armonizzino all’interno di un progetto comune10». Quattro principi che orientino la Chiesa ad essere sale della terra e luce del mondo, così che nel suo rinnovarsi mantenga desta l’attenzione sul perché esiste, «il fine ultimo della missione altro non è che di rendere partecipi gli uomini della comunione che esiste tra il Padre e il Figlio nel loro Spirito d’amore11».
Desidero che l’attuale impegno della nostra Diocesi sulla strada delle unità pastorali sia pervaso da questi quattro principi12 e in modo particolare dal primo, “Il tempo è superiore allo spazio”.
Questo principio ci «permette di lavorare a lunga scadenza, senza l’ossessione dei risultati immediati» ed è «molto appropriato anche per l’evangeliz-zazione, che richiede di tener presente l’orizzonte, di adottare i processi possibili e la strada lunga13». La richiesta di tempo è emersa pressante in tutti gli incontri svolti sull’argomento delle unità pastorali: “facciamo i passi tenendo presente la misura della gamba”, “diamoci tempo per capire la strada da fare insieme”, “evitiamo di creare inutili lacerazioni nel tessuto delle nostre comunità”. Questo è un criterio che ci consente anche di discernere se certe resistenze siano dovute, a volte in modo inconsapevole, a forme di paura verso i necessari e inevitabili cambiamenti o peggio, a strutture di potere e di privile-gio. Papa Francesco ci ricorda che: «dare priorità allo spazio porta a diventar matti per risolvere tutto nel momento presente, per tentare di prendere possesso di tutti gli spazi di potere e di autoaffermazione14».
 

“La chiesa vicentina nel territorio. 
Verso dove stiamo andando?” 
I nodi emersi, i nodi da sciogliere. 
 
Il testo presentato ai Consigli Presbiterale e Pastorale diocesani, alle riunioni degli Uffici pastorali e dei Vicari foranei, agli incontri del Vescovo con tutte le congreghe e ai numerosi Consigli Pastorali vicariali oltre che a diverse Unità Pastorali in fase di formazione ha suscitato un dibattito vivace e interessan-te. Va notato che non è stato messo in discussione il cammino fatto finora, né l’unità pastorale come tale, ma sono emersi elementi essenziali che hanno bi-sogno di un adeguato approfondimento e di una più piena condivisione. Possiamo riassumere attorno ad alcuni nodi i tanti rilievi emersi.
Fisionomia e strutturazione dell’Unità Pastorale. Abbiamo bisogno di definire meglio i compiti e il funzionamento dell’Unità Pastorale in senso missionario e anche profetico. Va approfondito il rapporto dell’Unità Pastorale con il territorio e la sua progettazione deve nascere dal discernimento comunitario, come segno di comunione di molti soggetti.
La guida condivisa di più preti insieme in una unità pastorale. Inserito nel presbitèrio diocesano, il presbitero è chiamato a vivere nell’unità pastorale la comunione con gli altri preti con i quali condivide la cura pastorale. C’è la necessità di chiarire le modalità dell’esercizio del ministero ordinato svolto insieme a servizio di più parrocchie. La proposta di costituire piccole fraternità sacerdotali che favoriscano la formazione e il fun-zionamento dell’Unità Pastorale esige di definire in che cosa consista la vita comune dei preti diocesani, che “non sono né monaci, né religiosi”. Potrebbe essere utile un agile strumento contenente linee di spiritualità presbiterale, piccole regole di convivenza e le diverse possibilità di vivere questa dimensione comunionale dei presbiteri.
La presenza del Gruppo Ministeriale nelle Unità Pastorali e la formazione alla corresponsabilità dei laici. L’Unità Pastorale favorisce un laicato più corresponsabile con la promozione di una ministerialità diffusa in senso testimoniale e mis-sionario. C’è pertanto bisogno di una rinnovata formazione dei laici, svolta sul territorio e attenta alla vita concreta delle comunità cristiane. L’esperienza, nel complesso positiva, dei Gruppi Ministeriali ha bisogno di essere meglio compresa per evitare di cadere nella clericalizzazione dei laici, nell’antagonismo tra laici e preti oppure nell’orientare i “pochi” laici rimasti disponibili a curare solo la pastorale di conservazione.
• Anche il Diaconato Permanente deve essere rinnovato per trovare il suo posto in questo progetto. È importante dare pieno valore a questo ministero ordinato all’interno della Chiesa diocesana.
Il peso eccessivo degli aspetti economici e amministrativi. Nella nuova situazione delle Unità Pastorali è rilevante l’onere economico delle strutture, a volte sovradimensionate, la complessità della loro gestione e gli impegni di carattere amministrativo delle parrocchie in generale. A volte queste incombenze sequestrano le energie migliori dei presbiteri: è necessario trovare forme di aiuto e corresponsabilità.
 
Numerosi altri aspetti sono emersi negli incontri svolti e che riguardano il volto e lo stile di questa rinnovata presenza di chiesa sul territorio. Saranno raccolti e rappresenteranno ulteriori attenzioni su cui soffermarci e riflettere. 
Va ricordato che più volte negli incontri è emersa la richiesta di considerare la soppressione di alcune parrocchie e l’alienazione di beni immobili non più indispensabili. Se non possiamo escludere che ciò sia necessario nel prossimo futuro, siamo altresì convinti che la piena attuazione del progetto sulle Unità Pastorali e il conseguente avvio di una pastorale organica ci porterà ad affrontare questi aspetti e a prendere delle decisioni.
Il cammino finora fatto in venticinque anni di esperienza dalle parrocchie già unite in unità pastorale offre fin da ora alcune risposte riguardo ai nodi sopra esposti. Con un adeguato discernimento vanno riconosciute, raccolte e comunicate le prassi che si sono rivelate e si riveleranno fruttuose in ordine al problema che l’unità pastorale vuole affrontare: il rapporto tra azione pastorale e territorio
 
 
Unità Pastorali: un lungo cammino 
da condividere.
 
Per proseguire il nostro cammino sarà utile tenere presenti i testi elaborati dalla nostra Chiesa diocesana negli anni novanta che rimangono tuttora validi nell’indicare gli elementi costitutivi dell’unità pastorale, le motivazioni che spingono alla scelta e le fasi del processo costitutivo delle stesse. Nel documento Unità Pastorali in Cammino del 1992 troviamo il seguente passaggio: «La scelta di procedere alla costituzione progressiva delle Unità Pastorali è dunque il frutto di un lungo cammino di ricerca compiuto dalla nostra chiesa, e ri-sponde all’impegno che ci è chiesto di costruire la vita e la missione del popolo di Dio secondo il progetto del Signore e le attese dei tempi. È quindi una scelta che va attuata con decisione e responsabilità, anche se con la gradualità richiesta perché si realizzino le condizioni necessarie, nelle persone e nelle strutture. Tutte le decisioni dovranno essere maturate insieme, ma nessuno dovrà cercare alibi per non muoversi nella direzione indicata15».
Alcune indicazioni contenute in questi documenti non sono state tenute nella giusta considerazione come il coinvolgimento pieno di tutta la comu-nità nel processo formativo delle Unità Pastorali e la formazione dei laici chiamati a passare dalla semplice collaborazione all’esercizio della corresponsabilità nell’opera di evangelizzazione e nella cura pastorale della comunità. Riguardo ai laici siamo oggi invitati – in modo più evidente rispetto a vent’anni fa – a pensare e realizzare una formazione che li conside-ri soggetti attivi di evangelizzazione: «qualunque sia la sua [del laico] funzione nella Chiesa e il grado d’i-struzione della sua fede16» e ciò, nell’orizzonte di una Chiesa in uscita non più riversa su una pastorale di semplice conservazione ma volta a una pastorale decisamente missionaria17.
Negli incontri alcune persone hanno rilevato che in questi anni è mancata una supervisione delle Unità Pastorali e una attenta verifica del loro funzionamento, mettendo in evidenza che non è stato realizzato in modo stabile il servizio diocesano di accompagnamento previsto dal documento del 1999. Questo po-trebbe essere un primo servizio da mettere in atto fin da subito.
 
 
 
 
____________________
Note:
5 Francesco, Angelus, 26 luglio 2015.
6 Bolla di indizione del Giubileo Straordinario della Misericordia, Misericordiae vultus, 11 aprile 2015.
7 B. Maggioni, Il racconto di Giovanni, Cittadella editrice, Assisi 2006, 127.
8 Benedetto XVI, Angelus, 29 luglio 2012.
9 A seconda delle tradizioni orali seguite le cifre oscillano: quattro o cinquemila presenze registrate, senza contare donne e bambini; dodici ceste o sette sporte piene di pezzi avanzati.
10 EV 221.
11 Concilio Vaticano II, Decr. Ad gentes, 2: AAS 58 (1966) 948.
12 EV 217-237.
13 EV 225.
14 EV 223.
15 Diocesi di Vicenza, La costituzione delle Unità Pastorali, n. 8, Vicenza 1992.
16 EV 120.
17 Si veda in Evangelii Gaudium, il primo capitolo sulla “Trasformazione missionaria della Chiesa” (nn. 20-49) e quello dedicato a “Le tentazioni degli operatori pastorali” (nn. 76-109). 
 
 
 
Pagina 1 – 23
 
07/09/2016