RITIRO SPIRITUALE D’INIZIO AVVENTO AI PRESBITERI, AI DIACONI E AI SEMINARISTI(Basilica di Monte Berico, giovedì 29 novembre 2018)

«MAESTRO, NON T’IMPORTA CHE SIAMO PERDUTI?» (MC 4,37)

Introduzione
Un saluto fraterno a tutti i sacerdoti diocesani e religiosi, ai diaconi, ai seminaristi e agli ascoltatori di Radio Oreb e ai fedeli presenti in questo Santuario della Madonna di Monte Berico. Tra due giorni inizieremo un  uovo Anno Liturgico con il tempo di Avvento. Lo facciamo guardando con fede e speranza alla nostra vita personale e alla vita della nostra Chiesa diocesana, tenendo fisso lo sguardo su Cristo ieri e oggi, Principio e  fine, Alfa e Omega. A Lui appartengono il tempo e i secoli. Oggi desidero condividere con voi alcuni pensieri sul brano della  tempesta sedata, che mi è stato di grande aiuto, soprattutto in quest’ultimo periodo. Non è  facile navigare in acque tempestose mantenendo la rotta. A livello di Chiesa universale il disagio è palese, gli scandali di carattere sessuale, economico e di abuso del potere hanno diminuito la credibilità della Chiesa intera. Nella nostra comunità diocesana, poi, alcuni fatti hanno messo in luce alcune fragilità della nostra vita di presbiteri, che ci preoccupano e ci inquietano. Noi continueremo ad accompagnare nella carità e nella verità i nostri fratelli presbiteri che hanno chiesto la sospensione dal ministero, e non faremo mai mancare anche il sostegno della nostra preghiera quotidiana. Le loro scelte ci fanno sentire vulnerabili e ci provocano  dolore. Ed è anche probabile che qualcuno di noi stiaaffrontando la propria “tempesta interiore”, nascosta allo sguardo altrui, ma non per questo meno sofferta. Per tale ragione, insieme a voi mi avvicino all’immagine biblica della bufera placata da Gesù, per cercare di leggere e vivere il tempo che stiamo vivendo, secondo criteri di fede e di speranza. Papa Francesco — nella Esortazione Apostolica Gaudete et exultate — scrive al numero 17: «A volte la vita presenta sfide più grandi e attraverso queste il Signore ci invita a nuove conversioni che permettono alla sua grazia di manifestarsi meglio nella nostra esistenza “allo scopo di farci partecipi della sua santità” (Eb 12,10)».

L’invito alla traversata (v. 35)
«In quel medesimo giorno, venuta la sera, disse loro: “Passiamo all’altra riva”». Alla sera di una giornata molto intensa, Gesù — senza fornire motivazione alcuna — comanda ai discepoli di salire sulla barca per passare all’altra riva. Ci si sarebbe aspettati, come in altre occasioni, che a conclusione di un giorno assai faticoso, Gesù invitasse i suoi discepoli a ritirarsi in disparte per riposare (cfr. Mc 6,31). Invece, egli domanda un supplemento di fatica per una traversata del tutto immotivata. Si potrebbe pensare che Gesù avesse proprio l’intenzione di condurre i discepoli nel cuore della tempesta per rivelare qualcosa di sé, della sua  persona. Nell’espressione “passiamo all’altra riva” ho immaginato come una sorta di invito-sfida che il Signore lancia ai discepoli di tutti i tempi e quindi anche noi, oggi, chiamati ad attraversare le tempeste, le burrasche,gli sconvolgimenti che la nuova situazione ci riserva.  Più volte mi avete sentito riprendere le parole pronunciate al Convegno Ecclesiale di Firenze da Papa Francesco: «Non siamo tanto in un’epoca di cambiamenti, ma in un cambiamento d’epoca» che vede la rapidissima mutazione delle categorie culturali e dei modelli comportamentali degli uomini del nostro tempo. Per questo, l’invito di Gesù di passare all’altra riva potrebbe essere inteso come una provocazione ad attraversare con fiducia questo passaggio epocale, lasciando il lido sicuro delle nostre prassi consolidate, per inoltrarci in sentieri inediti e, per ora, del tutto sconosciuti.
Sempre il Papa aggiunge: «Le situazioni che viviamo oggi pongono sempre sfide nuove che per noi a volte sembrano perfino difficili da comprendere. Questo nostro tempo richiede di vivere i problemi come sfide e non come ostacoli: il Signore è attivo e all’opera nel mondo». La riva cui approdare al di là del lago di Tiberiade potrebbe, dunque, simboleggiare anche il nuovo che sopravanza e che ci attende, verso il quale il Signore inesorabilmente ci sospinge.

L’insorgere della tempesta (v. 37)
«Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano sulla barca, tanto che ormai era piena». L’infuriare imprevisto del vento mette in grave difficoltà il gruppo dei discepoli con Gesù, perché è così violento che non solo rallenta la navigazione ma fa sì che s’imbarchi talmente tanta acqua da mettere a repentaglio l’incolumità dell’intero equipaggio.
Lungo i secoli, la virulenza della tempesta è stata compresa come la forza delle avversità e della violenza da parte dei nemici dei discepoli di Cristo, che prendono diverse forme, a seconda delle differenti situazioni storiche, come sono state, per esempio, le persecuzioni. Il mare in tempesta, infatti, ha una immensa forza simbolica: è sempre pronto a inghiottirci.
Afferma Drewermann: «Il mare è, in questo senso, un simbolo dell’abisso, della instabilità, dell’immenso smarrimento, un’immagine in cui tutta la vita nel suo insieme ha l’aspetto di un caos le cui fauci possono spalancarsi in ogni momento sotto i nostri piedi. Dal punto di vista psicologico, il nostro cuore ha già l’aspetto di un ‘mare’ infinitamente esteso, che ci può sostenere ma anche inghiottire, un luogo dell’inconscio, dell’impenetrabilità, dell’immensità per antonomasia. Il mare non sta solo per l’abisso dell’anima, ma in modo ancora più profondo, per l’abisso della vita, per il nulla spalancato su cui è accampata la nostra esistenza nella sua caducità, mortalità, insondabilità» (E. DREWERMANN, Il vangelo di Marco. Immagini di redenzione, Queriniana, Brescia 2007, 144.146). In ogni epoca le più disparate avversità si sono violentemente bbattute sulla barca della Chiesa, mettendo alla prova la resistenza dei discepoli di Cristo: le varie ondate di persecuzione dei primi secoli, ma non solo, l’infuriare di movimenti ereticali, gli scismi, le varie rivoluzioni che hanno combattuto la Chiesa, le critiche radicali del pensiero moderno e contemporaneo ostili alla fede e sospettose di Dio. Tutti — e anche altri —questi eventi sono stati compresi, alla luce di questo brano, come vere e proprie tempeste che si sono abbattute sulla Chiesa.
San Paolo VI — in tempi a noi più vicini — nel 1965, rivolgendosi ai Cardinali, ebbe a dire: «La barca di Pietro naviga in un mare agitato, tutto si muove, tutto è problema». Se poi veniamo ai nostri giorni, la bufera che
si è scatenata non è venuta da fuori, dai nemici della Chiesa, bensì è stata causata dalle gravi infedeltà dei suoi stessi membri. Nell’intervista concessa l’11 maggio 2010, durante il viaggio in Portogallo nel X anniversario della beatificazione di Giacinta e di Francesco, Papa Benedetto XVI disse: «La più grande persecuzione della Chiesa non viene dai nemici fuori, ma nasce dal peccato nella Chiesa e che la Chiesa quindi ha profondo bisogno di ri-imparare la penitenza, di accettare la purificazione, di imparare da una parte il perdono, ma anche la necessità della giustizia. Il perdono non sostituisce la giustizia. Con una parola, dobbiamo ri-imparare proprio questo essenziale: la conversione, la preghiera, la penitenza, le virtù teologali. Così rispondiamo, siamo realisti nell’attenderci che sempre il male ci attacca, attacca dall’interno e dall’esterno, ma che sempre anche le forze del bene sono presenti e che, alla fine, il Signore è più forte del male, e la Madonna per noi è la garanzia visibile, materna della bontà di Dio, che è sempre l’ultima parolanella storia». 

Un sonno singolare (v. 38a)
«Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva».
In questo contesto teso e agitato, in cui i discepoli temono per la loro incolumità e sono in preda al panico, che cosa fa il Maestro? Se ne sta tranquillo a dormire. Sembra che l’agitazione e l’angoscia in cui versano i discepoli non lo riguardino minimamente. Un abisso, dunque, separa Gesù dai discepoli: loro in preda all’agitazione e lui sprofondato in un sonno profondo. Cosa possiamo intuire in questo comportamento così strano di Gesù?
La prima interpretazione è quella fornita dagli stessi discepoli, che comprendono il suo sonno come una forma di noncuranza da parte di Gesù nei loro confronti: «Maestro non t’importa che siamo perduti?» (v. 38b), Non ti interessa proprio niente che stiamo per morire? È possibile, però, anche un’altra interpretazione, che proviene dal ricco simbolismo biblico, e che riguarda il Giusto e Dio stesso. Dell’uomo giusto si dice nei Salmi: «In pace mi corico e subito mi addormento: Tu solo, Signore, al sicuro mi fai riposare» (Sal 4,9). Gesù addormentato dimostrerebbe, così, una fiducia totale e perfetta nel Padre, in quella situazione che si potrebbe definire “il sonno del giusto”. Del sonno di Dio, invece, si parla nelle occasioni in cui l’orante lo deve svegliare dal torpore, perché agisca prontamente in suo favore: «Svegliati, perché dormi, Signore? estati, non respingerci per sempre!» (Sal 44,24). È significativa pure la lettura spirituale fornitaci da Sant’Agostino, che invita il cristiano a tener desta la fede dentro alle bufere della propria vita: «In te dorme Cristo.
Che cosa vuol dire: in te dorme Cristo? Ti sei dimenticato di Cristo.
Risveglia dunque Cristo, ricòrdati di Cristo, sia desto in te Cristo». Ad essersi assopito, dunque, non sarebbe tanto il Signore Gesù, quanto piuttosto la nostra vigilanza in lui, la consapevolezza e la percezione della sua presenza in noi.

Un appello accorato (v. 38b)
«Gli dissero: “Maestro, non t’importa che siamo perduti?». In preda al panico, causato del rischio di calare a picco, i discepoli lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?» (v.38b). Sulle  labbra dei discepoli compare una richiesta vibrante, che trova riscontro nella preghiera dei Salmi: «Fino a quando, Signore, continuerai a dimenticarmi? Fino a quando mi nasconderai il tuo volto? Fino a quando nell’anima mia addenserò pensieri, tristezza nel mio cuore tutto il giorno?
Fino a quando su di me prevarrà il mio nemico?» (Sal 13,2-3). Fra le tante attenzioni che ci sono richieste in questo tempo, c’è da parte nostra l’urgenza di una preghiera più intensa, più costante, più quotidiana. anche  noi, come i discepoli nella barca, in mezzo alla tempesta, vogliamo gridare al Signore: perché tante fragilità e tanti scandali nel clero in diverse diocesi del mondo? Forse non hai vegliato abbastanza sulla tua  Chiesa? Perché ti sei lasciato sopraffare dal sonno e non ci hai custodito dal Maligno?

Il comando potente (v. 39)
«Si destò, minacciò il vento e disse al mare: “taci, calmati!”. Il vento cessò e ci fu grande bonaccia». Ridestato dal sonno in forza dell’energico intervento dei discepoli, Gesù placa la tempesta e salva i suoi compagni. È la quiete dopo la tempesta. Tuttavia, in questo miracolo c’è una stranezza da rilevare. Ci troviamo di fronte a comandi e minacce indirizzati verso alcuni elementi della natura. In altri brani, infatti, compare questo atteggiamento di Gesù nel contesto di alcuni esorcismi, dove affiora lo stesso identico vocabolario di minaccia. In una situazione di burrasca, in cui si rischia realmente di essere inghiottiti dall’impeto delle onde, la comunità cristiana sente il bisogno di invocare il suo Signore affinché la difenda dalle violente avversità del Maligno. Papa Francesco ci chiede di recitare l’antica antifona mariana Sub tuum praesidium, perché la Santa Madre di Dio ponga la Chiesa sotto il suo manto protettivo per preservarla dagli attacchi del Maligno e per renderla allo stesso tempo sempre più consapevole delle colpe, degli errori, degli abusi commessi nel presente e nel passato: “Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, Santa Madre di Dio: non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova, e liberaci da ogni pericolo, o Vergine gloriosa e benedetta”. 

Il duro rimprovero (vv. 40-41a)
«Poi disse loro: “Perché avete paura? Non avete ancora fede?”. E furono presi da grande timore». Quando tutto sembra finalmente terminato e si è ricreata la condizione di calma e di tranquillità, sorge il momento più critico, Gesù rimprovera la pusillanimità dei discepoli: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?». Gesù, invece, di consolare i suoi amici per l’esperienza drammatica appena conclusasi, li rimprovera per la loro paura, causata a suo dire dalla mancanza di fede. Non si tratta di una fede astratta, teorica, quanto piuttosto di un affidamento totale alla persona di Gesù. Con Gesù sulla barca, anche se assopito in un sonno profondo, essi avrebbero dovuto sentirsi al sicuro. Ma se Gesù ha chiesto il passaggio all’altra riva del lago di Tiberiade, egli sa bene cosa sta facendo, ha in mano la situazione, anche se ci fosse da attraversare una tempesta. Forse anche la nostra Chiesa deve imparare questa umiltà autentica, lasciando che il suo Signore le rivolga qualche aspro rimprovero. Parole graffianti, magari, che possono fare male, che ci toccano sul vivo, incidono la carne: Chiesa di Vicenza, clero e laici, non hai ancora fede? Possiamo dunque ripetere con il Libro di Giobbe: «Beato l’uomo che è corretto da Dio, non disdegnare la correzione dell’Onnipotente, perché egli ferisce e fascia la piaga, colpisce e la sua mano risana» (Gb 5,17-18). Aiutaci, Signore, a superare tutte le inerzie interiori, personali e comunitarie, donaci una fede più autentica, una fiducia totale in te. Donaci di fare affidamento non sulle nostre piccole strategie pastorali ma solo sulla tua Parola, sempre nuova e sempre sicura.

La domanda e lo stupore (v. 41b)
«Si dicevano l’un l’altro: “Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?» Nei momenti di smarrimento, in cui le nostre certezze vengono spiazzate, si deve accettare di rimanere nell’oscurità, ammettendo che quel Gesù che è sulla barca con noi, ancora non lo conosciamo fino in fondo. Possiamo allora fare nostre le parole del padre del ragazzo epilettico: «Credo: aiuta la mia incredulità» (Mc 9,24). Crediamo Signore, aiuta la nostra incredulità!

Conclusione
Riprendendo le osservazioni di Sant’Agostino, ci verrebbe da riconoscere che – probabilmente – non è tanto il Signore ad essersi sopito nella nostra barca, ma che un torpore, un sonno, siano calati sulla nostra coscienza individuale ed eccesiale.
La nostra vigilanza e il nostro discernimento si sono addormentati: preghiamo poco, siamo presi dalle cose da fare, non riusciamo a cogliere l’essenziale, immersi come siamo dagli affanni e dalle preoccupazioni quotidiane. Chiediamo al Signore – il quale è capace di rinvigorire la nostra fede – che tolga di mezzo la nostra incredulità. Donaci, Signore, di far nostra la descrizione del coraggio fornita da Yves Congar: “Resistere nell’oscurità, nel non sapere quanto durerà la prova, non perdere coraggio se si prolunga, superare il logoramento”. Se Tu, Signore, desideri “farci passare all’altra riva”, fa’ sì che Tu possa trovare in noi la disponibilità prima a seguirTi dove Tu vorrai, a intraprendere quei cammini di conversione che ci faranno intravvedere una navigazione più sicura per la barca di Pietro. Concedici il dono di una fede più autentica, aggrappata saldamente alla certezza che Tu, Signore, non ci lascerai perire. Concludo con le parole che San Paolo VI ha rivolto al Sacro Collegio dei Cardinali in occasione del Natale 1963: «Chi non sa che il mare della nostra storia presente è gonfio di venti e di tempeste? Che il nostro secolo è in piena trasformazione? Pregheremo certamente il Maestro divino, che naiga con noi e sembra dormire misteriosamente, mentre in noi cresce l’affanno della incertezza pratica e del pericolo di lasciarci perire; ma siamo sicuri che non ci lascerà perire».

† Beniamino Pizziol
Vescovo di Vicenza