SANTA MESSA DEL CRISMA (Vicenza, Chiesa Cattedrale, 13 maggio 2021)

Carissimi confratelli vescovi, presbiteri diocesani e religiosi, diaconi, consacrati e consacrate, seminaristi e voi tutti fratelli e sorelle, vi saluto con affetto e gratitudine.

Rivolgo un saluto fraterno ai sacerdoti della Chiesa Ortodossa, al Pastore Valdese e un saluto cordiale a tutti coloro che partecipano, a distanza, a questa Eucaristia, trasmessa da Radio Oreb e dal Canale You Tube della Diocesi.

C’è una pagina del Vangelo di Luca che ho sempre ritenuto decisiva per la mia vita di battezzato-credente e per il mio ministero di vescovo.

Si tratta dell’episodio di Gesù nella sinagoga di Nazaret, in giorno di sabato, all’inizio del suo ministero pubblico. Ho scelto questa icona evangelica anche come accompagnamento della Visita Pastorale, che ho compiuto in questi anni.

Oggi, vorrei condividere con voi un passaggio importante di questo brano lucano. Gesù, dopo aver letto le parole del Profeta Isaia: “Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di Lui” (Lc 4,20).

Il verbo greco e così pure quello latino esprimono l’idea di uno sguardo fisso, intenso e duraturo, uno sguardo che rivela una tensione del cuore e della mente verso Gesù. Anche il brano dell’Apocalisse ci esorta a rivolgere il nostro sguardo al: “Testimone fedele, il primogenito dei morti e il sovrano della terra” (Ap 1,5).

Il veggente dell’Apocalisse ci ricorda: “Ecco, viene con le nubi e ogni occhio lo vedrà, anche quelli che lo trafissero” (Ap 1,7a).

Dallo sguardo dei compaesani di Gesù, nella sinagoga di Nazaret, si passa agli occhi dell’intera umanità, alla fine dei tempi, rivolti a:” Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente” (Ap1,8).

Mi sembra che possiamo cogliere in questo dettaglio un dono per questo nostro tempo. Abbiamo un urgente bisogno di tornare a questo sguardo di fede, perché talora si corre il rischio di pensare che la storia è dominata dal fato, che noi siamo in balia degli eventi, specie quelli più dolorosi e difficili. La nostra attenzione è spesso rivolta ai duri fatti di cronaca e i nostri occhi spesso sono concentrati, purtroppo, sul negativo. Anche lo sguardo ad intra, talora, è attirato solo dalle dimensioni che non vanno, facendoci cadere nella rassegnazione o nello scetticismo. È vero: la nostra Chiesa è nella prova, sta attraversando una stagione travagliata, e deve continuamente rinnovarsi e convertirsi. Dunque, tornare a questa verità di fede, ossia che Cristo viene e verrà nella nostra storia, ci fa bene.

Dobbiamo aprire gli occhi sulle vicende che ci riguardano con un duplice atteggiamento: senza volgere lo sguardo altrove rispetto a ciò che siamo chiamati a vivere, certo, ma anche tenendo fissi gli occhi su Gesù, precisamente come gli abitanti di Nazaret nella sinagoga e come l’umanità intera alla fine dei tempi.

Ma cosa può significare per noi aprire gli occhi sul «Signore che viene»? Provo a suggerire due atteggiamenti: il discernimento pastorale per capire e il cammino sinodale per proseguire insieme.

Innanzitutto, il discernimento. Discernere significa «vedere chiaramente, distinguere, comprendere, ecc.». Ma è pastorale quel discernimento che permette di riconoscere le situazioni in cui il Signore si è fatto vicino alla nostra Chiesa in questi tempi tribolati. Pensiamo, innanzitutto, alle azioni di liberazione che ci sono state in questi ultimi mesi: la cura ai malati, la vicinanza ai poveri, la consolazione a chi ha perso una persona cara, il sostegno a chi è stato privato del suo lavoro. Sono tutte occasioni in cui Gesù ha continuato la sua azione messianica mediante le nostre persone, fragile ma necessaria mediazione per la sua presenza tra noi. Poi, il pensiero va alle nostre celebrazioni: pur limitate e talora poco frequentate, oppure offerte on line, sono state il modo con cui il Risorto è venuto in mezzo a noi, donandoci la sua parola e il suo corpo spezzato. Penso anche a tutti gli sforzi di creatività posti dalle nostre comunità e dagli uffici diocesani, nel tentativo di tenere vive alcune attività e non far cadere nel nulla le iniziative di formazione e di vicinanza alla nostra gente. Secondo questa linea bisogna continuare a fare ogni sforzo di immaginazione e di fantasia per capire le strade da intraprendere e le scelte future da mettere in campo. Sono state moltissime le attestazioni di laici, preti e religiosi che hanno percepito l’urgenza di una ripresa della vita interiore, della fedeltà alla preghiera e di una più assidua familiarità con il Signore Gesù.

Questo periodo ci ha evidentemente resi avvertiti che o ci si salva insieme, oppure non si va da nessuna parte: è necessario camminare insieme, nella logica di un cammino sinodale. È innegabile che sono venuti al pettine alcuni nodi problematici, sui quali il Signore ci chiede di aprire gli occhi: la scarsa presenza dei giovani alla vita delle nostre comunità; la necessità di una rinnovata fraternità tra noi preti e con i laici; l’urgenza di una ministerialità laicale maggiormente diffusa e condivisa. Ciò che conta è che le risposte vadano immaginate insieme, perché nessuno di noi ha la soluzione immediata in tasca. C’è la necessità di sentirci corpo ecclesiale, di assumere una’ spiritualità di comunione’, di evitare ogni forma di individualismo pastorale che ostacola un vero cammino sinodale. Difficilmente il Signore assicurerà la sua presenza a cammini isolati e a progetti solitari; al contrario Egli viene a noi quando cerchiamo di camminare insieme.

In questo senso, l’efficacia sacramentale degli olii che fra poco benediremo potremmo vederla simbolicamente all’opera in queste dimensioni. Il crisma, che ci costituisce popolo sacerdotale, regale e profetico, ci abiliti ad un autentico discernimento pastorale; l’olio dei catecumeni, che conferisce agilità nella lotta contro il male e l’olio dei malati guarisca le giunture arrugginite del nostro organismo ecclesiale e renda più sciolto il nostro passo per un cammino sinodale.

Ringraziamo il Signore per la salute donata ad alcuni nostri presbiteri, per la cui sorte noi tutti siamo stati a lungo in pena e per i quali abbiamo pregato tutti insieme: frangenti nei quali abbiamo percepito la bellezza della comunione, dell’affetto e della vicinanza reciproca all’interno dell’unico presbiterio.

E mentre «corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento» (Eb 12,2), facciamo nostre le parole della dossologia del testo di Apocalisse: «A Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen» (vv. 5-6).

Carissimi sacerdoti e diaconi, desidero ringraziarvi per il generoso e infaticabile servizio che rendete alla Chiesa diocesana, soprattutto alle persone più fragili, più povere e meno garantite. Esprimo la mia gratitudine e la mia riconoscenza ai presbiteri diocesani e religiosi che festeggiano quest’anno un anniversario significativo della loro ordinazione.

Con gioia vi annuncio che sabato 5 giugno, nella Chiesa Cattedrale, ordinerò presbitero il diacono Mauro Cenzon del nostro Seminario

Un pensiero grato e affettuoso va pure ai nostri sacerdoti fidei donum che sono testimoni del Vangelo di Cristo in Brasile, in Mozambico, in Thailandia, in Perù  e in Ciad. Vogliamo ricordare, in modo particolare, i confratelli ammalati e coloro che il Signore ha chiamato a Sé nella sua dimora di luce di pace. Saluto e ringrazio i sacerdoti che prestano il loro servizio alla Santa Sede: un ricordo speciale nella preghiera è per il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato Vaticano.

Ringrazio i sacerdoti provenienti da altre diocesi, italiane ed estere, presenti tra noi come collaboratori pastorali in qualche parrocchia o per servire le comunità di immigrati cattolici.

Una preghiera accorata rivolgiamo a Dio, Padre buono e misericordioso, per i sacerdoti che hanno lasciato il ministero e per quelli che stanno vivendo un tempo di crisi vocazionale.

Prepariamoci ora a rinnovare le promesse sacerdotali, fatte il giorno della nostra Ordinazione. Le rinnoviamo davanti ai fedeli, ai quali chiediamo di pregare per noi. E voi, sacerdoti e diaconi, consacrati e fedeli, pregate anche per me, affinché sia fedele al compito che mi è stato chiesto. Invochiamo l’intercessione materna della Madonna di Monte Berico su ciascuno di noi, sulle nostre comunità e su tutte le persone che vivono nel territorio della nostra diocesi. Amen!

† Beniamino Pizziol
Vescovo di Vicenza