SANTA MESSA NELLA NOTTE DI NATALE(Vicenza, chiesa cattedrale, 24 dicembre 2019)

Un cordiale e sentito augurio di Santo Natale a tutti voi, fratelli e sorelle, consacrati e consacrate, canonici, sacerdoti, diaconi e a voi amici ascoltatori di Radio Oreb.
La notte di Natale suscita sempre nei nostri cuori e nei cuori di tanti uomini e di tante donne – anche in quelli più stanchi e affaticati – sentimenti di gioia, di tenerezza e di pace. Ma vivere in pienezza di fede il mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio è diventato ai nostri giorni, e forse non solo ai nostri giorni, una sfida più esigente di quanto si possa pensare.
Lo sfavillio di luci e l’aria festiva che si respira dappertutto, rischiano, infatti, di distrarci da ciò che è più importante: la consapevolezza che l’Incarnazione del Figlio di Dio, nel bambino Gesù, avvolto in fasce e adagiato in una mangiatoia, ha cambiato radicalmente la storia dell’umanità, del mondo e la storia di ciascuno di noi.
Nella nostra comune esperienza, normalmente, davanti ad un bambino sentiamo nascere dentro di noi una tenerezza insopprimibile, che ci permette di esprimere il meglio della nostra umanità in termini di attenzione e di cura.
L’evangelista Luca apre la narrazione del Natale di Gesù con alcuni riferimenti storici: a Roma regna l’imperatore Cesare Augusto e in Siria, che allora comprendeva anche la Palestina, il governo è affidato a Quirinio. Con queste annotazioni storiche e geografiche, Luca intende affermare che la nascita del Salvatore non è un mito o una favola, ma è un avvenimento reale concreto. La nascita di Gesù è identica a quella di qualsiasi creatura umana.
Fin dal suo primo apparire in questo mondo, Gesù condivide in tutto la nostra condizione umana. Maria si comporta come tutte le mamme e compie sul suo bambino gli stessi gesti premurosi e attenti:
“Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia” (2,7).
Mi ha molto colpito, leggendo attentamente la narrazione evangelica, che questa espressione viene ripetuta per ben tre volte nello spazio di 10 versetti.
L’angelo dice ai pastori:
“Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia” (2,12)
E qualche versetto dopo si dice a riguardo dei pastori:
“Andarono senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia” (2,16).
È evidente che l’evangelista Luca sottolinea questi dettagli per mostrare che Dio sovverte i valori e i criteri di questo mondo: Dio si manifesta ed entra nella nostra storia attraverso suo figlio Gesù, un bambino debole, povero e tremante, affidato alle mani di una donna Maria e alle cure paterne di Giuseppe. Questa scena ripetuta per ben tre volte manifesta a ciascuno di noi il modo di agire di Dio, che possiamo definire con una sola parola: tenerezza. La tenerezza non è altro che l’affetto che Dio ha per ciascuno di noi, il modo di Dio di entrare in relazione con noi.
La tenerezza è il linguaggio di Dio, che si è concretizzato in Gesù fatto carne: un linguaggio al quale l’uomo di oggi è molto sensibile. Provare tenerezza significa sentire l’amore di Dio dentro di noi, sentire di essere amati da Dio e perciò sentirci capaci di amare del suo stesso amore. Il sentirsi amati fa nascere la fiducia, fa sorgere la speranza e la gratitudine verso Dio.
Ma dalla costatazione di sentirsi amati si è portati a manifestare amore verso gli altri. Come Dio è tenerezza, vicinanza, misericordia così l’uomo, immagine e somiglianza di Dio è capace di tenerezza.
Perché la tenerezza non diventi sentimentalismo deve concretizzarsi in solidarietà, in servizio e ancor più in amicizia.
L’altro diventa fratello e sorella, amico e amica, parte di me stesso e ragione della mia gioia, perché il suo bene diventa il mio bene. La tenerezza si esprime in modo particolare nell’incontro con le persone che il Signore pone sul nostro cammino.
L’incontro deve ritornare ad essere il centro della nostra missione, della nostra pastorale. È necessario incontrare l’uomo, il suo mondo, il suo credo per scoprire in lui una presenza divina di misericordia, di tenerezza, che ci accomuna e ci riunisce in un’unica grande famiglia.
La persona la si raggiunge nella sua identità più profonda attraverso la tenerezza.
Scrive Papa Francesco nella lettera apostolica sul significato e il valore del presepe, “Admirabile signum”: “Perché il presepe suscita tanto stupore e commuove?” Nascendo nel presepe, Dio stesso inizia l’unica vera rivoluzione che dà speranza e dignità ai diseredati, agli emarginati: la rivoluzione dell’amore, la rivoluzione della tenerezza”.
Se comprendiamo l’amore e la tenerezza di Dio che si manifesta nell’evento del Natale, anche noi possiamo diventare capaci di trasformare questo nostro mondo che spesso appare duro, freddo e indifferente. I cristiani sono chiamati a testimoniare e a portare la tenerezza di Dio in famiglia, a scuola, nei luoghi di lavoro, nei molteplici ambienti sociali e politici.
In questa notte desidero porgere il mio augurio di Santo Natale a ciascuno di voi, alle vostre famiglie e alle vostre comunità.
Il mio pensiero va soprattutto alle persone sole e alle persone ammalate, a chi non ha più l’affetto dei propri cari e proprio in questi giorni rischia maggiormente di sentire il peso della sofferenza e della solitudine.
Auguro un Buon Natale ai governanti e ai responsabili della società, perché il Dio fatto uomo, li renda capaci di scegliere quello che è bene per le nostre comunità e per tutti i cittadini, soprattutto per le nostre famiglie e per i nostri giovani che cercano lavoro e fiducia nel futuro. Auguro un Buon Natale a tutti i cristiani laici, ai consacrati e alle consacrate, ai diaconi e ai sacerdoti.
Come i pastori anche noi possiamo contemplare, nei nostri presepi, il Bambino Gesù avvolto in fasce e adagiato in una mangiatoia. Amen!

† Beniamino Pizziol
Vescovo di Vicenza