SANTA MESSA PER IL PELLEGRINAGGIO DIOCESANO DETTO “DELLA TREDICINA”(Basilica di Sant’Antonio a Padova, martedì 10 giugno 2014)

Carissimi pellegrini della diocesi di Vicenza,
e pellegrini venuti da tante parti del Veneto e non solo.
Carissimi padri francescani conventuali,
Padre guardiano, sacerdoti, diaconi, consacrati e consacrate,
amici ascoltatori di Radio Oreb.

             Avete voluto partecipare alla ‘Tredicina’ in onore di Sant’Antonio e molti tra voi hanno deciso anche di partecipare per tutti i tredici giorni consecutivi al ciclo di preghiere, di predicazioni e di liturgie.
Sant’Antonio è uno dei santi più amati e più venerati della Chiesa. Papa Leone XIII lo chiamò ‘il santo di tutto il mondo’ (18 ottobre 1881). Il grande taumaturgo è – infatti – venerato e celebrato non solo a Padova e a Lisbona, sua patria, ma in molte altre città del mondo.
Affermava Papa Benedetto XVI: ‘I santi sono i migliori interpreti delle Sacre Scritture‘. Il Vangelo ci ha descritto l’inizio solenne del ministero di Gesù nella sinagoga di Nazaret. Questa scena assume un sapore chiaramente programmatico, perché vi sono condensati sia i tratti principali della predicazione di Gesù, sia il suo destino: inizialmente accolto con fervore dalle folle e poi rifiutato dal suo stesso villaggio natale. Gesù legge il brano del libro del profeta Isaia – che abbiamo ascoltato nella prima lettura – e attraverso questo testo manifesta la sua missione che consiste nel portare ai poveri il lieto annuncio, proclamare la liberazione ai prigionieri e ai ciechi la vista, a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore. La Chiesa è chiamata a ricevere e a continuare l’opera di evangelizzazione di Gesù e questa può avvenire seguendo lo stile del Signore Gesù, il primo e il più grande evangelizzatore.
Antonio da Padova ha assunto pienamente questo stile di annuncio e di predicazione iniziato da Gesù. Possiamo applicare al Santo Antonio le parole che l’Apostolo Paolo rivolge al discepolo Timoteo: ‘annunzia la Parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina. Vigila attentamente, sappi sopportare le sofferenze, compi la tua opera di annunciatore del Vangelo, adempi il tuo ministero‘ (2Tim 4,1-5).
La scienza di Antonio era interamente evangelica. Sembra che Antonio – come il veggente dell’Apocalisse (Ap 10,9-11) – avesse divorato la Sacra Bibbia, il cui insegnamento usciva dalla sua bocca come il miele e come l’acqua cristallina di una fonte incontaminata. La sua eloquenza, nutrita di conoscenza biblica, faceva rinascere i cuori stanchi ed inariditi. Per questa sua efficacia, egli fu celebrato come scrittore sapiente, dottore di verità, martello degli eretici, nuova luce della cristianità.
Già nel 1212, all’età di 17 anni, si trasferì nel monastero di Santa Croce a Coimbra, dove si esercitò con grande impegno nella lettura, nella meditazione e nella memorizzazione della Sacra Scrittura, e dove fu ordinato sacerdote intorno all’anno 1219, a 24 anni.
Un episodio segnò profondamente la sua esistenza. Antonio (ancora Fernando) fu profondamente colpito dal martirio di cinque frati francescani, recatisi in Marocco in missione presso i Saraceni. La feroce modalità della loro uccisione – avvenuta il 16 gennaio 1220 – lo addolorò moltissimo, dal momento che era stato proprio lui ad accogliere i cinque frati prima che partissero per l’Africa. Le spoglie mortali dei martiri, chiuse in due casse d’argento, furono portate a Coimbra e tumulate proprio nella regia abbazia di Santa Croce.
A seguito di questo episodio maturò in lui l’idea di farsi francescano e di recarsi in Marocco, per sostituirli nell’annuncio del Vangelo e nell’invito alla conversione e al battesimo. Sappiamo che il Signore dispose per lui un altro progetto e gli fece percorrere un’altra strada: ad Assisi conoscerà Francesco e parteciperà al capitolo generale dell’Ordine, il ‘capitolo delle stuoie’ del 30 maggio 1221.
Fra’ Antonio ricevette dallo stesso Francesco la patente di Maestro di Teologia per l’insegnamento agli studenti dell’Ordine – soprattutto in Francia – dove rimase tre anni, dal 1224 al 1227. Ma fra’ Antonio non fu solo conoscitore e predicatore del Vangelo, ne fu anche testimone fedele nella vita e nelle azioni. L’eloquenza delle sue parole veniva sostenuta dall’eloquenza della sua vita. Alla Scrittura egli attingeva la verità da insegnare e da vivere. Ripeteva spesso agli oratori che non bastava predicare alle orecchie dei fedeli ma che bisognava predicare agli occhi con l’esempio. La comprensione delle Scritture, però, deve essere fatta con umiltà, senza orgoglio. L’orgoglio rende ciechi, mentre l’umiltà fa sentire il gusto ed il sapore dei libri sacri. Per questo non rare volte i semplici, illuminati dalla grazia, hanno una comprensione delle cose soprannaturali superiore a quelle dei dotti.
Questa scienza sacra fu per lui la radice del suo straordinario apostolato. La vita attiva era determinata non solo dal dare il pane agli affamati o dal curare gli infermi, ma soprattutto dal comunicare ai fratelli le verità divine che l’anima ha visto ed assaporato nella contemplazione. La contemplazione è la fonte della sua stessa azione: egli prima ascende sul monte Tabor della contemplazione per poi discendere nella fatica della predicazione e del sacrificio. È dall’incontro con Dio sul monte sacro che egli riceve il dono della parola sapiente. Ma l’apostolato di Antonio fu anche sociale, riconducendo alla pace fraterna coloro che erano in discordia, rendendo la libertà ai prigionieri, facendo restituire le usure e quanto era stato portato via con violente rapine. Riportò sulla retta via prostitute, ladri e briganti.
In conclusione, Sant’Antonio fu un uomo coerente. La sua parola era in armonia con i suoi comportamenti e le sue azioni. Ecco l’invito rivolto, oggi, a tutti noi: essere coerenti con il Vangelo di Nostro Signore.
Un’esistenza evangelica è un ‘sì’ alla gioia, alla fraternità, alla speranza e un ‘no’ alla tristezza, al pessimismo, all’egoismo. È questo il dono della festa di sant’Antonio: ritornare alle nostre case, alle nostre famiglie, al nostro lavoro sereni e fortificati nella speranza che la Provvidenza divina è sempre all’opera nella storia personale, comunitaria e sociale di tutti noi.

‘ Beniamino Pizziol
Vescovo di Vicenza