SOLENNITÀ DEL SANTISSIMO CORPO E SANGUE DEL SIGNORE(Vicenza, chiesa Cattedrale, 23 giugno 2019)

       Carissimi fratelli e sorelle, consacrati e consacrate,
       canonici, sacerdoti e diaconi, amici ascoltatori di Radio Oreb.
 
       Celebriamo oggi la solennità del Corpo e del Sangue del Signore Gesù. La lettura del brano della Prima Lettera di Paolo ai Corinzi ci riporta con il cuore, con la mente e con tutta la nostra persona, all’Ultima Cena di Gesù, che Lui celebrò con i suoi discepoli, raccolti nel cenacolo. Questa non fu solo una cena ordinaria tra amici, che intendevano vivere un momento di comunione e di condivisione con il loro maestro. La cena del Signore assieme ai suoi discepoli fu davvero una cena rituale, carica di significato storico e salvifico. È una cena celebrata contemporaneamente da tutto il popolo nelle case per ricordare l’intervento di liberazione da parte di Dio e per ritrovare l’identità di popolo, amato e scelto da Dio stesso. Gesù ha ben presente il significato di questa cena rituale e pasquale, lo assume tutto e lo trasforma portandolo alla sua pienezza.
 
       C’è, però, un’espressione che mi ha sempre colpito e turbato: prima di riferire i gesti e le parole di Gesù, sul pane e sul calice del vino, si afferma: «nella notte in cui veniva tradito». Quest’espressione è riportata pari pari nella terza Preghiera Eucaristica del nostro Messale italiano. Gesù sapeva di essere tradito e lo aveva già annunciato in più occasioni: «In verità vi dico, uno di voi, colui che mangia con me, mi tradirà» (Mc 14,18).
       Gesù è consapevole della sofferenza e della passione che lo attendono; il suo cuore è colmo di tristezza, ma egli assume queste sofferenze, questi tradimenti, li risana e li riconcilia con il dono pieno e totale della sua vita. In questo modo, Gesù trasforma il tradimento in alleanza, prendendo il calice, infatti, dice: “questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue”.
 
       Dobbiamo imprimere nel nostro cuore e nella nostra mente questa espressione che viene rivolta a ogni uomo e a ogni donna, in tutti i tempi e in tutti i luoghi: «nella notte in cui veniva tradito».
       Da un lato dobbiamo prendere coscienza di essere peccatori, desiderosi di conversione e di perdono, come dice la preghiera del celebrante prima di ricevere la Comunione: “Non guardare ai nostri peccati ma alla fede della tua Chiesa”. Dall’altro lato, dobbiamo confidare nella misericordia infinita di Dio, perché questa consapevolezza ci libera da ogni forma di presunzione, di autocompiacimento di fronte a Dio, ci chiede di non farci giudici dei nostri fratelli, consapevoli — come diceva il padre della Chiesa Efrem il Siro: “la Chiesa è una folla di peccatori, che si pente e che invoca il perdono del Signore”.
 
       In quest’orizzonte, l’Apostolo Paolo narra i gesti e le parole di Gesù come li aveva ricevuti dagli stessi apostoli e che ora trasmette a ogni comunità eucaristica che, di generazione in generazione, attraverserà tutti i secoli sino alla fine dei tempi. È un susseguirsi di gesti e di parole precise, performative, efficaci perché “fanno ciò che dicono”, destinate a restare la memoria di Gesù di quella donazione con la quale si è consegnato alla Chiesa e al mondo fino al suo ritorno alla fine dei tempi: «Prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: “questo il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me”. Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: “questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me”» (1Cor 11,23b-25).
 
       Nel Vangelo di Luca — seppur in un contesto diverso rispetto all’Ultima Cena — noi vediamo Gesù compiere gli stessi gesti sul pane, gesti che potremmo definire eucaristici. Questo episodio avviene in terra desertica, con una grande folla, che ha seguito Gesù per ascoltarlo, ma che verso il tramonto si trova stanca, sfinita e affamata. I discepoli, così, chiedono a Gesù di rimandare la folla nei villaggi attorno per comprarsi un po’ di cibo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi per trovare cibo» (Lc 9,12).
 
       Essi vedono la gente e se ne fanno portavoce, ma secondo i discepoli tocca alla gente comprarsi da mangiare. Gesù, invece, li spinge a farsi carico di queste 5000 persone: «Voi stessi date loro da mangiare».
       Per Gesù il “comperare” va sostituto sostituito con il “condividere”. È la condivisione che fa compiere a Gesù questo segno e questo miracolo straordinario. Come narra il testo evangelico, Gesù non moltiplica bensì divide: «Prese i cinque pani e due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai suoi discepoli perché li distribuissero alla folla» (Lc 9,16).
       Bisogna passare dalla logica del “comprare” e del “trattenere”, alla logica del “condividere” e del “donare”. In una cultura individualistica, quale è quella in cui siamo immersi nella società occidentale, e che tende a diffondersi in tutto il mondo, l’Eucaristia costituisce una sorta di antidoto, di segno di contraddizione, che opera nelle menti e nei cuori dei credenti e continuamente semina in essi la logica della comunione, del servizio e della condivisione.
Signore Gesù, è un pane abbondante quello che doni alla folla, affamata della tua parola;
è un pane gratuito quello che offri alla folla, un pane che non si compra perché è il segno dell’amore di Dio, che ha compassione del suo popolo;
è un pane destinato ai poveri, a quelli che non hanno denaro, che non contano su se stessi, confidano, invece, nella bontà e nella misericordia di Dio;
ma soprattutto, Signore Gesù, quel pane è un segno che rimanda a te, che sei il Pane della vita, Pane spezzato per la vita del mondo, Sangue versato per salvare e rigenerare ogni uomo e ogni donna. Amen!

 

† Beniamino Pizziol
Vescovo di Vicenza