TE DEUM DI FINE ANNO(Vicenza, Tempio di San Lorenzo, 31 dicembre 2018)

 
         Carissimi fratelli e sorelle, consacrati e consacrate, sacerdoti, diaconi, gentili autorità, amici ascoltatori di Radio Oreb.
 
         Al termine di questo anno 2018 – che è stato pieno di avvenimenti di gioia e di speranza, ma anche di  dolore e di tristezza — ci ritroviamo insieme per elevare un inno di ringraziamento a Dio, Signore del tempo e della storia.
 
         L’ultimo giorno dell’anno è un giorno speciale, è tempo di bilanci, di resoconti, di valutazioni, un tempo che richiede un sano realismo, ma che apre anche a sogni, a speranze e progetti. Le vicende liete e positive vissute nel corso di quest’anno potranno apparire sempre più piccole e povere rispetto alle fatiche e alle sofferenze che abbiamo sperimentato. Anche noi, all’inizio della Celebrazione, abbiamo voluto ricordare gli avvenimenti principali, quelli più significativi, dell’anno che sta per finire.
 
         Nei giornali, nei telegiornali e in molteplici programmi, dibattiti, interviste, persone autorevoli in campo politico, sociale ed economico cercano di valutare l’anno trascorso e di prevedere nuovi, possibili, scenari a livello locale, nazionale e internazionale per il nuovo anno che sta per arrivare. Questi interventi sono utili e, per certi versi, anche necessari perché appartengono alla responsabilità e al compito di tutti coloro che hanno a cuore il bene delle persone, della società. Noi siamo chiamati a conoscere, a condividere o anche a criticare queste letture socio-politiche sul segmento di Storia nel quale ci troviamo a vivere, ma siamo pure chiamati a fare una lettura sapienziale di questi avvenimenti a partire dalla Parola di Dio che ci è stata donata in questa Celebrazione.
 
       Ci sono domande a cui noi non riusciamo a dare risposte: perché il dolore, perché in questo mondo ci sono persone fortunate e altre che, senza alcuna colpa, vivono infelici? Perché un bimbo innocente è colpito da un male incurabile, oppure viene ucciso in un attentato terroristico? Perché le guerre, i terremoti, le catastrofi? Perché la morte? Cosa ci aspetta dopo la morte? L’esistenza dell’uomo sulla terra è come avvolta nell’oscurità, sembra un libro misterioso che nessuno riesce ad aprire e a decifrare.
 
       Il brano del Libro dell’Apocalisse che abbiamo letto ci descrive una scena solenne e grandiosa: Dio Padre Onnipotente tiene nella mano destra un libro, a forma di rotolo, scritto davanti e dietro, chiuso da sette sigilli. Nessuno in cielo, sulla terra e sotto la terra è in grado di aprirlo e di conoscere ciò che è scritto in esso. Eppure in quel libro c’è la nostra storia, la storia di ciascuno di noi e tutta la storia della famiglia umana. E finché il libro resta chiuso, la nostra storia ci resta sconosciuta, oscura, enigmatica.
 
       Questo genera in noi un sentimento di angoscia perché non sappiamo cosa fare, cosa pensare: è la fatica di chi vive senza trovare un senso alla propria esistenza.
 
Ma ecco l’annuncio di uno che può mettere fine al nostra pianto, alla nostra angoscia, al nostro smarrimento:
                      “Non piangere; ha vinto il leone della tribù di Giuda, il discendente di Davide, egli aprirà il libro e i suoi sigilli” (Ap 5,5).
E’ Cristo il discendente di Davide, è Lui ‘l’Agnello pasquale’, il Crocifisso-Risorto, che ha donato se stesso per salvarci dal peccato e dalla morte.
In Lui troviamo la forza, il senso e la direzione del nostro cammino nel tempo.
Per questo l’Agnello Immolato, Cristo:
«È degno di ricevere potenza e ricchezza, sapienza e forza, onore, gloria e benedizione» (Ap 5,12).      
                      Il libro dell’Apocalisse — come tutta la Bibbia — esclude la concezione fatalistica della storia. La storia è un libro scritto liberamente dalle nostre stesse volontà umane. Per decifrare gli avvenimenti che riguardano le nostre persone, le nostre comunità civili e religiose, il nostro mondo, è necessario essere dentro la storia stessa. In questo senso, il mistero del Natale, dell’Incarnazione del Figlio di Dio in mezzo a noi, ci fa comprendere molto bene il significato del tempo che passa e della storia stessa. Dio, infatti, entrando nella storia degli uomini, per mezzo del suo Figlio Gesù, redime e salva la storia, le dà un senso, una direzione, un fine.
 
       E allora questa sera dell’ultimo giorno dell’anno civile, ci chiediamo: qual è stata la nostra responsabilità in ordine agli accadimenti vissuti nel corso di quest’anno? Ci sono lasciati trascinare passivamente dagli eventi oppure abbiamo cercato di viverli nella fede in Dio, nella piena responsabilità della coscienza, dando il nostro contributo — secondo le nostre possibilità e le nostre capacità — alla comprensione e alla soluzione dei molteplici e complessi problemi? L’anno nuovo che sta per iniziare sarà migliore dell’anno che sta per finire, solo se noi decidiamo, con l’aiuto della grazia di Dio, di essere migliori.
 
       Al termine della celebrazione canteremo l’antico inno Te Deum laudamus. È chiamato anche l’inno della Santa Trinità, diviso in tre parti: la prima una lode alla Santissima Trinità, la seconda un inno a Cristo, Verbo incarnato, la terza invece offre una serie di versetti tratti dai Salmi.     Il testo è probabilmente un insieme di pezzi che appartengono a età diverse, che vanno dal III al V secolo. Viene cantato in piedi, nei momenti più solenni della storia, come cantico trionfale e di vittoria. Alla fine si invoca la salvezza, la protezione del Signore e la misericordia sui nostri peccati e ci si affida a Dio,  la nostra unica e vera speranza. Lo ripetiamo con fede stasera: “In te, Domine, speravi: non confundar in aeternum. Tu sei la nostra speranza, o Signore, non saremo confusi in eterno”. Amen.

† Beniamino Pizziol
Vescovo di Vicenza