Campanile e municipio insieme per il bene comune. Contributi del sociologo Marini e don Pasinato in seguito al Giubileo degli Amministratori

Sabato 16 aprile si è svolto l’incontro tra 80 amministratori locali dei comuni della provincia di Vicenza e il vescovo Beniamino Pizziol. Il Giubileo della Misericordia è divenuto così occasione favorevole per riflettere sulla necessaria collaborazione tra Chiesa e pubbliche istituzioni per la crescita del bene comune. La Voce dei Berici ha intervistato per tale occasione il sociologo Daniele Marini che ha evidenziato in particolare  la necessità da parte della Chiesa di rimettere al centro la preparazione socio politica dei giovani. Ecco il testo dell’intervista:  

C’è stato un tempo in cui Chiesa e politica (in particolare Democrazia Cristiana) andavano a braccetto. Era il tempo del collateralismo. Poi le condizioni sono profondamente cambiate e si è modificato anche il rapporto tra realtà civile e politica e realtà religiosa. Fino ad arrivare agli anni che hanno visto il cardinale Camillo Ruini alla guida della Conferenza Episcopale Italiana e, finita la Dc, la Chiesa giocare in proprio direttamente la partita con i diversi soggetti politici, in una vera e propria azione di lobby su certi temi particolarmente cari.
Oggi tutto questo non c’è più. Su questa nuova fase abbiamo sentito il sociologo Daniele Marini dell’Università di Padova. «Sicuramente con papa Francesco il rapporto della Chiesa (o meglio della gerarchia) con la politica ha avuto una svolta».
 
A cosa si lega questo mutamento di direzione?
 «È un cambiamento legato fondamentalmente all’emersione ulteriore della dimensione della laicità che ha rotto i legami più o meno sotterranei che esistevano tra la politica e la Gerarchia».
 
Questa discontinuità quali livelli ha interessato?
«Sicuramente e soprattutto “il livello vaticano”. Come e quanto tutto questo sia arrivato anche nelle Chiese locali è tutto da vedere. In questo senso possiamo dire che papa Francesco ha avviato un processo che non si è ancora completato fino in fondo».
 
Quali sono i segnali che indicano questo nuovo processo?
«Pensiamo, per esempio, alle nomine anche recenti di Vescovi nel nostro Triveneto. Si tratta di figure di sacerdoti che si sono “sporcati” le mani nelle parrocchie e questo va nella direzione di una maggiore attenzione alla pastorale rispetto al rapporto con le istituzioni in senso stretto. Una conseguenza di queste scelte è che, indubbiamente, c’è una minore compromissione con le stanze dei bottoni, che non vuol dire che la Chiesa rinuncia a una presenza nella società, anzi, solo che avviene in modo diverso. La distinzione che si afferma con papa Francesco va verso una maggiore responsabilità riconosciuta ai laici»
 
I laici credenti impegnati in politica rischiano più di ieri di vivere un’esperienza di solitudine rispetto alla comunità cristiana. Concorda?
«Certamente. È questo un dato di fatto pluriennale. Dopo le esperienze delle scuole di formazione sociopolitica che esprimevano una preoccupazione e una vicinanza della Chiesa per la dimensione formativa, non c’è stato più nulla e il risultato è questa solitudine (le scuole di formazione erano nate a metà degli anni ‘80 dalla ventata di novità che partiva dalla Palermo animata dal Centro Arrupe guidato dal gesuita Bartolomeo Sorge NdR)».
 
E il risultato qual è?
«Che è difficile fare appello alle coscienze dei credenti che però sono sensa punti di riferimento e devono affidarsi a scelte individuali senza retroterra con percorsi formativi e di confronto stabili.
Oggi più di ieri la formazione all’impegno politico dovrebbe rappresentare un’urgenza per la Chiesa. Senza questa il rischio della solitudine e dello spiazzamento è molto alto e con esso quello di non riuscire ad incidere culturalmente nel dibattito civile».
 
Perché parla di urgenza?
«Perché viviamo in un’epoca altamente incerta, aperta, senza punti fissi valoriali e non ci si può fermare alle dichiarazioni di valori, generali, della gerarchia. In questa prospettiva le diverse iniziative possono essere valide a patto che non siano estemporanee e siano inserite in una logica di percorso e non assomiglino alle cene aziendali natalizie, piacevoli ma che non lasciano traccia successiva.
 
Lauro Paoletto
 
 
 
 
La Bibbia collega il giubileo al debito (la legge giubilare, avviata dal suono di un corno, la troviamo in Lev 25). Il debito che un ebreo accumula nella sua vita non può schiacciarlo per sempre.

Ogni 50° anno tutto viene fermato. La macchina della storia ha un pulsante a disposizione: “Spegni!” Ma non è un pulsante automatico, ci vogliono uomini e donne a maneggiarlo. Ed è Dio stesso che comanda questa legge di sopravvivenza: ogni 50° anno ti fermerai, fermerai la fatica della terra (non la coltiverai), fermerai tutte quelle incrostazioni che non si scrostano da sole. Il giubileo è come un grande “arresto” del mondo. Purtroppo è diventato solo un fatto “spirituale”, come se il restauro dell’anima fosse l’unica cosa che Dio chiede. Invece la Bibbia – terribilmente concreta – dice che Dio vuole il restauro dei processi concreti del vivere. In questo “restauro” globale del mondo e degli uomini (gli schiavi godevano di un indulto giubilare … veniva restaurata la loro liberazione, la loro dignità) Dio non prevede che siano i governanti, il re, gli amministratori a mettere in atto il giubileo. Leggendo Levitico 25, un testo molto elaborato e quasi pedante nello stabilire le regole giubilari, troviamo una cascata di “tu” e di “voi”. Il giubileo nasce da un dialogo di Dio con ogni ebreo che si dice credente: un dialogo personale con ciascuno (“tu”) e un dialogo popolare con tutta la comunità (“voi”). La Bibbia precisa tre compiti giubilari: “Tu” conterai gli anni … “tu” farai echeggiare il corno, infine “voi” dichiarerete Santo il 50° anno e proclamerete la liberazione nella terra per tutti i suoi abitanti. Fare di conto, soffiare l’avviso, dichiarare che sarà liberazione per tutti e per tutto. Contare gli anni sta a significare che il tempo non è un susseguirsi casuale (fortunato o infelice) da subire. “Tu” conterai! Ti darai dei ritmi, dei tempi, delle scadenze. Avrai una “agenda”. In secondo luogo userai il fiato per lanciare un segnale, una tromba, un suono di allarme per chi crede di essere al sicuro, e un suono di godimento per chi non ha più niente di sicuro. Infine la dichiarazione di un anno di liberazione: farete circolare ovunque la parola giubilare: sei libero! Una parola da dire alla terra, da dire agli schiavi, da dire a tutte le proprie fissazioni. Perché un giubileo con i politici? Per prima cosa per ricordare a tutti che siamo persone (“tu”) e che le responsabilità di amministrare un territorio, una comunità, dei cittadini è un onore! L’onore di uscire dalla propria vita privata per diventare pubblici. Il giubileo biblico, in sintesi, lo potremmo definire l’amministrazione del tempo, delle regole, dei ritmi, degli spazi. Se ciascuno va per conto suo, e lo fa senza fermarsi, rischierà di essere travolto e di travolgere. Il secondo motivo per cui un giubileo con i politici può essere una buona occasione è che chi amministra ha bisogno di fare i conti, ha bisogno di un colpo di fiato, ha bisogno di dichiarare, ma anche che gli sia dichiarato qualcosa. Non è male che chi amministra ritrovi la propria libertà di restituire alla amministrazione pubblica un volto più pulito, più trasparente, più collaborativo, più disinteressato, più sincero. In una parola potremmo dire che la città e chi la governa hanno bisogno di dialogo come energia di liberazione.Don Matteo Pasinato