Corresponsabilità e/o sinodalità? – Pagina 4

Dei termini da "rigorizzare" per non essere fraintesi

 
II. LA SINODALITÀ: «IL CAMMINO CHE DIO SI ASPETTA DALLA CHIESA DEL TERZO MILLENNIO»La persuasione è in effetti che il concetto di sinodalità sia in grado di esprimere meglio quanto di positivo si intende comunemente affermare mediante la nozione svilita e compromessa di ‘corresponsabilità’.In ordine alla ‘riscoperta’ della sinodalità, papa Francesco ha dato certamente un impulso pratico. Questo è emerso specialmente in occasione della doppia assise – straordinaria (05-19.10.2014) e ordinaria (04-25.10.2015) – del Sinodo dei vescovi, cui è seguita la «Esortazione apostolica post-sinodale Amoris Laetitia sull’amore nella famiglia» (19.03.2016). Ma ha offerto anche un impulso di natura teorica, rappresentato dal «Discorso di Commemorazione del 50° anniversario dell’istituzione del sinodo dei vescovi» (17-10-2015).A tale discorso è ora da volgere attenzione. Nei saluti introduttivi, il Papa ricorda che il percorso dal Vat II all’ultimo sinodo sulla famiglia ha fatto cogliere la «necessità e la bellezza del camminare insieme». E oltre a presentare il Sinodo come «una delle eredità più preziose dell’ultima assise conciliare», prospetta la sinodalità come «il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio».Nel testo compaiono quattro sottolineature di rilievo: la sinodalità è dimensione costitutiva della chiesa; è cornice interpretativa del ministero gerarchico; è dinamismo di comunione a tutti i livelli; ha valenza ecumenica e testimoniale. Nel seguito entriamo nel merito delle prime due, tralasciando le altre.1. CAMMINARE-INSIEME È COSTITUTIVO DELLA CHIESALa sottolineatura fondamentale e decisiva è che la sinodalità è «dimensione costitutiva della chiesa» [19]. Appartiene cioè alla sua natura più propria, tanto che chiesa e sinodalitàcoincidono. Sottese a tale  asserzione stanno diverse ammissioni:* la sinodalità è pilastro portante della chiesa e sua struttura fondamentale; è qualcosa che assurge per così dire a nota ecclesiae vera e propria, non già un qualche elemento accessorio o contingente;* la sinodalità attiene alla chiesa necessariamente da sempre. Non si tratta dunque di scoprire qualcosa di nuovo, bensì di riandare a qualcosa che accompagna la chiesa fin dalle origini, pur avendo magari subito oscuramenti o dimenticanza. Lo sforzo è dunque di recuperare riflessivamente (consapevolmente e coscienziosamente) qualcosa che non ha mai smesso di connotare la chiesa;* la sinodalità è qualità essenziale della chiesa nel suo insieme, non già di una sua struttura particolare (collegio episcopale) o di un suo momento esemplare (concilio universale).a) Accezione ampia di sinodalitàDi quale sinodalità si parla? È la sinodalità intesa come il camminare insieme di laici, pastori e vescovo di Roma [20].L’espressione è volutamente aperta. Suggerisce da un lato lo specifico camminare-insieme intraecclesiale [21]. Dall’altro lascia pensare a un camminare-insieme di laici, pastori e vescovi non solo tra di loro, ma con tutta l’umanità, secondo il suggerimento di GS [22].Ebbene, una sinodalità del genere non è riducibile alla ‘sinodalità episcopale’. Essa non coincide con la collegialità, e non trova in questa il suo senso primario:La «sinodalità», perciò, ha un’estensione maggiore della «collegialità»: quella infatti si riferisce a pastori e fedeli in forza della relazione di comunione che si crea con il battesimo fra tutti i rigenerati in Cristo; questa invece comprende tutti e solo i vescovi in virtù del sacramento dell’ordinazione episcopale e della comunione con il collegio episcopale. (Antòn 1993, p. 91) In questo senso, il concetto di sinodalità copre un significato più ampio, anche se finora di fatto meno preciso nella letteratura teologica, di quello di collegialità. Esso non intende infatti esprimere – come la collegialità – un esercizio di discernimento e di governo della Chiesa quale espressione del Collegio episcopale e dunque per sé distinto, anche se ad esso intrinsecamente congiunto, dal ministero petrino dell’unità, ma piuttosto quel “camminare insieme” dell’intero popolo di Dio che in sé comprende e attiva l’esercizio articolato dei vari carismi, tutti quanti esercitati secondo lo spirito e il metodo della comunione. (Coda 2007, XVII)b) FondamentoIl fondamento della sinodalità è in realtà unico, anche se risulta dalla interconnessione di tre elementi: (a) la chiesa come popolo di Dio; (b) il sensus fidei; (c) la soggettività attiva di ogni battezzato.Li consideriamo più da vicino:(a) Alla base del camminare-insieme sta la visione di chiesa come popolo di Dio, cioè come l’insieme di tutti coloro che Dio ha chiamato a far parte del suo popolo. Il dettato è squisitamente conciliare. A stupire è però l’impiego della categoria di popolo di Dio, anziché di quella più corrente di comunione. In fondo, la maggior parte di quanti scrivono sulla sinodalità, la àncora alla realtà della chiesa-communio, quasi ne fosse la traduzione operativa [23].Perché papa Francesco non ricorre al concetto di chiesa-comunione? Forse perché è un concetto troppo vago, che ha smarrito la propria capacità di incidenza. Un concetto strapazzato, svuotato; qualcosa che è diventato tutt’al più uno slogan, cioè una frase fatta, facile, per nulla impegnativa. Accanto a questa, sta un’altra ragione. A detta di alcuni teologi dell’America latina (Scannone, Fernàndez, Galli), Francesco intenderebbe riabilitare la cosiddetta ‘teologia del popolo’ di matrice argentina [24].(b) Il sensus fidei. Così lo descrive papa Francesco:Il sensus fidei impedisce di separare rigidamente tra Ecclesia docens ed Ecclesia discens, giacché anche il Gregge possiede un proprio “fiuto” per discernere le nuove strade che il Signore dischiude alla Chiesa. (Francesco 2015b)Alla base sta senza dubbio la dottrina conciliare, che ci è familiare [25]. Interessante è tuttavia anche come esso viene presentato in un documento recente della Commissione Teologica Internazionale (CTI). Oltre a distinguere tra sensus fidei del singolo (fidelis) e sensus fidei condiviso (fidelium) [26], essa descrive il sensus fidei fidelis da un lato come una sorta di percezione ‘estetica’ (conoscenza spontanea e naturale) [27], dall’altro come un istinto vitale o fiuto [28]. Viene inoltre sottolineato come il sensus fidei unisca pastori e popolo, rendendone essenziale e fecondo il dialogo:Il sensus fidei è strettamente legato alla «infallibilitas in credendo» che possiede la Chiesa nel suo insieme, quale «soggetto» credente pellegrino nella storia. Nutrito dallo Spirito Santo, il sensus fidei consente alla Chiesa di rendere testimonianza e ai suoi membri di operare incessantemente quel discernimento che devono fare, sia come singoli sia come comunità, per conoscere il modo migliore di vivere, agire e parlare nella fedeltà al Signore. È l’istinto mediante il quale tutti e ciascuno «pensano con la Chiesa», condividendo un’unica fede e uno stesso disegno. È ciò che unisce i pastori e il popolo e che rende il loro dialogo, fondato sui doni e sulle vocazioni di ciascuno, insieme essenziale e fecondo per la Chiesa. (CTI 2014, § 128)La fatica è di dare credito a tale verità di fede, recependola in tutte le sue conseguenze, che implicano anche un ripensamento [29] e un riposizionamento [30] della funzione magisteriale.(c) Ogni battezzato è soggetto attivo di evangelizzazione. Il nesso con il punto precedente è ovvio. Ciascuno, in quanto dotato del sensus fidei, è in grado di annunciare attivamente il vangelo, senza doverlo ricevere solo passivamente da qualcun altro.Ora, nell’idea di soggettività attiva sta indubbiamente l’affermazione della titolarità specifica di ogni battezzato in ordine alla evangelizzazione. Più radicalmente sta però anche il convincimento che la fede abilita precisamente a divenire soggetti del proprio credere, in grado cioè di «operare incessantemente quel discernimento che devono fare, sia come singoli sia come comunità, per conoscere il modo migliore di vivere, agire e parlare nella fedeltà al Signore» [31].Legrand sostiene la medesima cosa, affermando che ciascuno deve diventare portatore attivo della buona novella, divenendone necessariamente interprete:Se il popolo di Dio rimane governato in maniera passiva e solo come discente, non potrà testimoniare la buona novella. In queste condizioni salvaguarderà difficilmente la sua vita cristiana. Per farlo, deve diventare un popolo di portatori attivi della buona novella. I laici non possono essere ridotti a dei semplici ripetitori bisognosi della Parola interpretata solo dal clero, senza che il loro capitale di esperienza e di cultura entri nella loro maniera di esprimere la fede. Devono diventare degli interpreti. (Legrand 2003, p. 168)   

[19] Cfr. quanto affermava L. Bordignon nella relazione introduttiva agli atti dell’assemblea diocesana vicentina del 2008: «C’è una parola che sul piano della prassi pastorale traduce il contenuto della comunione, ed è la parola “sinodo”, nella sua accezione letterale di “camminare insieme”. Non si tratta di una semplice strategia pastorale, né di una semplice esigenza pedagogica, o di una esperienza pastorale che capita di tanto in tanto. Sulla base di quanto detto la prassi sinodale è costitutiva della Chiesa, tocca la sua essenza, la sua identità. E il fondamento di questo “camminare insieme” è proprio la comunione trinitaria» (Bordignon 2008, p. 20–21).
[20] Risuona l’articolazione già ecumenica (1982) di tutti-alcuni-uno (cfr. Laiti e Simonelli 2007, 305ss).
[21] «La chiesa è comunione e si realizza attraverso la comunione. La sinodalità ne esprime e sottolinea il concreto effettuarsi: la comunione si attua «camminando insieme», con un movimento dall’una all’altra chiesa, attraverso lo scambio reciproco di aiuti e di esperienze. Le forme concrete, storicamente sperimentate di tale «circolarità» di vita delle chiese sono i «sinodi», i concili provinciali o regionali, le conferenze episcopali» (Fietta 1993, p. 115).
[22] «Perciò la Chiesa, che è insieme «società visibile e comunità spirituale» cammina insieme con l’umanità tutta e sperimenta assieme al mondo la medesima sorte terrena; ed è come il fermento e quasi l’anima della società umana, destinata a rinnovarsi in Cristo e a trasformarsi in famiglia di Dio» (GS 40).
[23] «La «comunione» è la radice di ogni «sinodalità» e «collegialità» nella chiesa. Quando ancora non si era concluso il primo lustro del dopoconcilio, come segretario speciale del Sinodo del 1969 scrivevo: «L’innovazione più importante del Vaticano II per l’ecclesiologia e per la vita della chiesa è stata quella di aver incentrato la teologia del mistero della chiesa nel concetto di comunione»» (Antòn 1993, p. 85). Cfr. anche: Bordignon 1993, p. 79; Asolan 2005, p. 322–323; Calabrese 2014, p. 179.
[24] Cfr. Scannone 2014; Galli 2015.
[25] «Il popolo santo di Dio partecipa pure dell’ufficio profetico di Cristo col diffondere dovunque la viva testimonianza di lui, soprattutto per mezzo di una vita di fede e di carità, e coll’offrire a Dio un sacrificio di lode, cioè frutto di labbra acclamanti al nome suo (cfr. Eb 13,15). La totalità dei fedeli, avendo l’unzione che viene dal Santo, (cfr. 1 Gv 2,20 e 27), non può sbagliarsi nel credere, e manifesta questa sua proprietà mediante il senso soprannaturale della fede di tutto il popolo, quando «dai vescovi fino agli ultimi fedeli laici» mostra l’universale suo consenso in cose di fede e di morale. E invero, per quel senso della fede, che è suscitato e sorretto dallo Spirito di verità, e sotto la guida del sacro magistero, il quale permette, se gli si obbedisce fedelmente, di ricevere non più una parola umana, ma veramente la parola di Dio (cfr. 1 Ts 2,13), il popolo di Dio aderisce indefettibilmente alla fede trasmessa ai santi una volta per tutte (cfr. Gdc 3), con retto giudizio penetra in essa più a fondo e più pienamente l’applica nella vita» (LG 12).
[26] CTI 2014, § 66.
[27] «Il sensus fidei fidelis è una sorta di istinto spirituale che permette al credente di giudicare in maniera spontanea se uno specifico insegnamento o una prassi particolare sono o meno conformi al Vangelo e alla fede apostolica. È intrinsecamente legato alla virtù della fede stessa; deriva dalla fede e ne costituisce una proprietà. Lo si paragona a un istinto perché non è in primo luogo il risultato di una deliberazione razionale, ma prende piuttosto la forma di una conoscenza spontanea e naturale, una sorta di percezione (aisthêsis)» (CTI 2014, § 49).
[28] «A differenza della teologia, che si può descrivere come una scientia fidei, il sensus fidei fidelis non è una conoscenza riflessiva dei misteri della fede, che sviluppa concetti e utilizza procedure razionali per giungere alle sue conclusioni. Come indica il nome (sensus), si apparenta piuttosto a una reazione naturale, immediata e spontanea, paragonabile a un istinto vitale o a una sorta di «fiuto» con il quale il credente aderisce spontaneamente a ciò che è conforme alla verità della fede ed evita ciò che vi si oppone» (CTI 2014, § 54).
[29] CTI 2012, §§ 33–36.
[30] Alberigo 1992, p. 36–37.
[31] CTI 2014, § 128.
 

 

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