“Non bastano risposte organizzative, dobbiamo leggere il nuovo che viene alla luce della fede”: il vescovo al Capitolo delle Suore Dorotee

 
 Ecco il testo dell’omelia di mons. Pizziol in occasione dell’apertura del XX Capitolo generale delle Suore Dorotee. A seguire parte di un articolo dedicato dal settimanale diocesano al medesimo incontro in corso in questo mese di luglio a Villa San Giuseppe.
 
 Desidero iniziare rivolgendo un saluto fraterno a tutte le Suore Maestre di Santa Dorotea, Figlie dei Sacri Cuori; in particolare alla Madre Generale, Suor Emma Dal Maso e alle Suore Capitolari, ai laici associati della Fraternità Secolare, del Movimento Eucaristico, degli “Amici del Farina”.
    Un saluto riconoscente va a tutti i consacrati e alle consacrate che partecipano a questa solenne celebrazione Eucaristica, seppur appartenenti ad altre Congregazioni o Istituti religiosi della nostra Chiesa.  Saluto il delegato vescovile per la Vita Consacrata, monsignor Giuseppe Bonato e tutti i sacerdoti e i diaconi presenti. Un saluto, infine, agli amici ascoltatori che seguono questa Messa attraverso la nostra Radio Oreb.

    Carissime Suore Dorotee, avete inteso porre agli inizi del vostro XX Capitolo Generale la celebrazione dell’Eucaristia, illuminata da alcune pagine delle Sante Scritture. Questa decisione non fa parte del rituale previsto per queste occasioni, come un gesto scontato e dovuto. Si tratta di una scelta che pone a fondamento del vostro Capitolo e dei vostri lavori il Mistero Pasquale della Passione, Morte e Risurrezione di Cristo, come fondamento, centro e meta del vostro Istituto, del vostro pensare e del vostro agire. Invochiamo, allora, l’effusione dello Spirito Santo perché vi accompagni nel corso di questo XX Capitolo Generale, sia luce all’intelletto e fiamma ardente del cuore; visiti le vostre menti e riempia della sua grazia i vostri cuori.

    Per compiere bene il Capitolo Generale siete chiamate a fare vostre le parole del Profeta Isaia: «Lo Spirito del Signore Dio è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a promulgare l’anno di grazia, per consolare tutti gli afflitti» (Is 61,1-2).
    In queste parole è contenuto il dono e il compito del vostro Istituto, secondo l’intuizione carismatica di San Giovanni Antonio Farina. Siete chiamate ad annunciare il Vangelo di Cristo, da vere apostole del Signore, mediante la testimonianza concreta di ciascuna di voi, che sa prendersi cura delle persone ammalate nel corpo e nello spirito, di chi è ferito nell’anima come conseguenza di scelte sbagliate, della ragazza e del giovane che chiede di essere accompagnato, suaviter et fortiter, nel cammino della sua formazione umana, spirituale, culturale.

    La fedeltà a questo carisma e a questa missione avviene in uno spirito profondo di comunione e di un servizio umile e generoso. Comunione con la Chiesa universale e la Chiesa diocesana che diventa comunione reale, seppur faticosa, tra di voi carissime sorelle, come ci ricorda l’Apostolo Paolo nella Lettera ai cristiani di Roma: «Pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e ciascuno per la sua parte siamo membra gli uni degli altri… Amatevi con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda» (Rom 12,5.10.).

    Lavorate e lavoriamo insieme per conseguire, con la grazia di Dio, quella “spiritualità di comunione” su cui tanto insistette San Giovanni Paolo II nella sua Lettera Apostolica Novo millennio ineunte del 2001: «Spiritualità della comunione significa innanzitutto lo sguardo del cuore portato sul mistero della Trinità che abita in noi, e la cui luce va colta anche sul volto dei fratelli e delle sorelle che ci stanno accanto. Spiritualità della comunione è pura capacità di vedere ciò che di positivo c’è nell’altro per accoglierlo e valorizzarlo come dono di Dio: “un dono per me”. Non ci facciamo illusioni: senza questo cammino spirituale, a ben poco servirebbero gli strumenti esteriori della comunione. Diventerebbero apparati senz’anima, maschere di comunione più che sue vie di espressione e di crescita» (NMI, 43). L’atteggiamento migliore per promuovere in noi e nei fratelli questa spiritualità di comunione, lo troviamo sempre nel brano della Lettera ai Romani: «Abbiate i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri; non aspirate a cose troppo alte, piegatevi invece a quelle umili. Non fatevi un’idea troppo alta di voi stessi» (Rom 12,16).

    Carissime Suore Capitolari, sarete chiamate a discernere — con l’aiuto dello Spirito Santo — la situazione presente, questo nostro mondo che sta attraversando un “passaggio epocale”, come ci ricorda Papa Francesco. In questa nuova situazione ecclesiale è chiesto anche al vostro Istituto di ripensare la presenza delle molteplici comunità, nei diversi continenti e nei diversi paesi, di fronte alla complessità sociale e culturale, al calo delle vocazioni, all’innalzamento dell’età delle consacrate, e alle limitate risorse a disposizione.
    È chiaro a tutte e a tutti che in questa nuova situazione ecclesiale, sociale, culturale ed economica, non possiamo dare risposte meramente organizzative o strutturali, bensì dobbiamo leggere il nuovo che viene in una prospettiva di fede, alimentata continuamente dalla Parola di Dio, che è «lampada per i nostri passi e luce sul nostro cammino» (Sal 119).

    Il Vangelo che abbiamo letto ci parla di Gesù che prova compassione della folla di persone che lo segue, quasi come pecore senza pastore, e che dopo aver ascoltato i suoi insegnamenti per tutta la giornata sente il bisogno di nutrirsi per non cadere a terra per sfinimento. I discepoli hanno con sé solo duecento denari, cinque pani e due pesci.
Questa è anche la nostra situazione di fronte alle richieste sempre più esigenti ed insistenti che provengono dalle folle di persone del nostro tempo. È necessario rifuggire dall’alibi o dalla tentazione di dire: “dal momento che è poco, ci rassegniamo perché non basta”. Al contrario, le esigue forze in campo — consegnate interamente all’iniziativa del Maestro — possono diventare la forza propulsiva per inedite energie e spinte missionarie, a patto che ciascuna di voi e ciascuno di noi non trattenga nulla per sè. A tutti, infatti, è richiesto il massimo della propria disponibilità, individuale e comunitaria, per mezzo di un’azione profumata di corresponsabilità e di comunione. Fidandoci dell’iniziativa benevola di Gesù potremmo passare da qualche delusione allo stupore e alla gioia del dono di gustare un vino nuovo in otri nuovi.

    Carissime Suore Capitolari, mentre vi ringraziamo per la fatica fisica e spirituale a cui vi sottoporrete in questo tempo di grazia, vogliamo invocare su tutte voi il dono dello Spirito Santo.
    Spirito del Signore vieni su di loro, trasforma il loro cuore e la loro mente affinché sappiano discernere quello che è buono e giusto per la loro Congregazione, per la nostra Chiesa e per il mondo intero. Vinci le loro paure, sciogli le loro esistenze. Fa’ che non restino prigioniere della nostalgia o del rimpianto del passato ma sappiano aprirsi con serena fortezza alle sorprese di Dio.
Madonna di Monte Berico, Madre di Misericordia, aiuta queste sorelle, riunite nel Capitolo Generale, ad essere pellegrine instancabili sulle strade del mondo.
Dona loro la grazia di una fedeltà creativa al carisma del fondatore, San Giovanni Antonio Farina, aiutale ad essere uditrici attente della Parola di Gesù perché possano diventare docili e feconde testimoni del tuo amore per la Chiesa e per il mondo. Amen.

 
+ Beniamino

Da La Voce dei Berici di domenica 9 luglio: 

 
Le suore Dorotee arrivano al ventesimo capitolo dopo alcuni anni intensi segnati da passi importanti compresa la canonizzazione di mons. Giovanni Farina «inaspettata, almeno nei tempi», nota suor Emma. Cinque le tappe che hanno ritmato il cammino di questi anni: rivedere la definizione del carisma nell’oggi per reinterpretarlo, la riscoperta dell’interiorità e della fraternità, l’attenzione ai poveri, il comprendersi con i laici, la valorizzazione dei beni a favore dei poveri.

Certamente uno dei nodi centrali è la interpretazione del carisma. «In questo cammino – ricorda la Madre generale – abbiamo fatto dei passi intermedi come un seminario insieme a p. Santiago Gonzàlez Silva (che ha accompagnato il cammino della congregazione ndr), che per primo ha avviato la conoscenza del carisma di congregazione. Si è rivista la definizione data nel 2011 (nel Capitolo precedente). Su questo abbiamo fatto un lavoro che verrà portato al Capitolo generale con le sue caratteristiche teologico-pastorali e della missione». «Il carisma è qualcosa di dinamico – chiosa suor Zanata – che prende nuova luce a seconda anche delle esigenze della storia e della spiritualità». «È approssimazione aggiornata» – aggiunge suor Tessiy -. Qualcosa che è «illuminato anche da nuovi studi, dal punto di vista storico, teologico-spirituale», precisa ancora suor Zanata. Suor Dal Maso ricorda, peraltro, che «il carisma si esprime attraverso ogni persona della congregazione e le voci nuove sono quelle che ci mostrano dimensioni nuove di una modalità di essere vicini ai poveri». La sua preoccupazione in particolare va alla «voce delle giovani che ci mostrano dimensioni della spiritualità e della incarnazione della carità che in passato non avevamo colto. È questa una dimensione nuova e provocatoria».

Parlando con le componenti il Consiglio generale emerge la consapevolezza della fase di cambiamento profondo che vive anche la vita religiosa. «Al momento siamo in ricerca – riconosce suor Emma – anche con riferimento alle persone che il Signore chiama. Si sta rivedendo soprattutto la dimensione dell’attenzione ai sofferenti, ai più poveri».
In tale quadro è centrale lo sviluppare sinergie. Lo sottolinea suor Roberta che evidenzia come «non possiamo fare da sole. Serve una sinergia che significa anche collaborazione con le chiese locali in una ricerca di sempre maggiore vicinanza con le persone». Una sinergia che riguarda evidentemente anche il rapporto con le altre famiglie religiose, come ricorda suor Luciana Tognon.
Una delle sfide principali con le quali la congregazione deve fare i conti è coniugare l’universalità della chiesa con il servizio locale e concreto. «Il ridisegno della congregazione –  dichiara suor Dal Maso – è uno dei punti in discussione nel Capitolo», e in questo quadro uno degli aspetti di grande interesse è «la sfida dell’internazionalità come potenzialità di testimonianza» dice suor Dalla Stella.
Ma il percorso della Congregazione non può non tener conto anche di quanto papa Francesco chiede alle religose. «Il Papa – riconosce suor Emma – ci provoca come persone, come donne, e come membri di istituzioni che dovrebbero tradurre autenticamente quello che lui pensa del Vangelo, dovremmo essere le traduttrici della sua dottrina di evangelicità. Ci sprona ad essere agili nel lasciar trasparire il Vangelo nella nostra vita. Il Vangelo deve essere annunciato con tutta la nostra realtà». Suor Tessiy evidenzia, peraltro, come «la vita religiosa non è per autopreservazione ma per l’evangelizzazione. Sento fortemente questa esortazione. Dobbiamo uscire, non rimanere nelle nostre strutture ed evitare così l’autoreferenzialità».

Questo impegno si traduce concretamente anche rispetto all’essere donne. «Per quel che riguarda l’istituzione come tale, la linea – ricorda la Madre generale – è la valorizzazione delle persone per quel che sono. In particolare anche la congregazione guarda in modo nuovo la generazione giovane che viene avanti, in modo meno strutturato di una volta. Queste giovani hanno una loro struttura che va non solo rispettata, ma anche fatta crescere per quello che è. È la donna come persona e con le sue  qualità che va tenuta presente: questo determina l’orientamento nella modalità di esprimere la missione. Ci sono delle potenzialità che non possono essere sempre negate, anzi vanno sviluppate. Questo vuol dire per esempio che non si può pensare una formazione uguale per tutte». «In congregazione – conclude suor Roberta – si sta prendendo consapevolezza della nostra femminilità nella realtà di tutti i giorni, in un contesto sociale in cui la dicotomia tra maschile e femminile sembra non esserci quasi più o non essere considerata».

Lauro Paoletto