Tre domande a…Don Paolo Baio cappellano del Cimitero Maggiore di Vicenza

Ascolto e consolazione per chi vive il lutto. Si rinnova l'affetto per i cari defunti.


Don Paolo Baio, 78 anni, originario di Isola Vicentina, dopo essere stato parroco a San Gottardo e a Lupia, dal 2003 è cappellano del Cimitero Maggiore di Vicenza.
 
Don Paolo, come ha vissuto la proposta di questo servizio particolare in diocesi?

Era il 30 dicembre del 2002 quando mons. Nonis mi chiamò per propormi questo servizio. Fino a quel momento l’assistenza religiosa qui al Cimitero Maggiore era stata garantita, da tempi immemorabili, dai frati francescani minori. Tutti ricordano in particolare frate Costanzo che fu anche confessore dello stesso Nonis. Nel 2002 i frati, per carenza anch’essi di vocazioni, rinunciarono al servizio, ma nessuno dei preti diocesani sembrava disposto ad accettare questo compito in quella che sempre mons. Nonis chiamava, con la sua sagacia, “la parrocchia più popolosa della Diocesi”. Io ci pensai un po sopra e poi decisi di accettare convinto che venendo qui mi sarei preso cura non solo della benedizione dei morti, ma soprattutto della conforto spirituale dei vivi. E così di fatto è stato.
 
Si tratta dunque di un servizio delicato che la porta ogni giorno ad incontrare tante persone sofferenti.Come si avvicina a loro?

Le persone che hanno vissuto un lutto recente o che da tempo sono rimaste sole e vengono qui a trovare i loro cari defunti, hanno bisogno soprattutto di essere ascoltate. Essendo stato parroco so bene che i preti in parrocchia non hanno tutto questo tempo da dedicare all’ascolto, cosa a cui io invece posso dedicarmi con calma. Si tratta dunque di vivere atteggiamenti di accoglienza semplice e di rivolgere loro qualche parola di incoraggiamento e di consolazione. In questo ministero mi è di esempio e di conforto la figura di una suora mistica a cui sono molto legato, suor Pura Pagani (1914 – 2001), figlia spirituale di padre Pio, che ha vissuto sempre accogliendo con grande amore tutte le persone che andavano da lei, leggendo nei loro cuori. Anche oggi la sua tomba nel cimitero di Campofontana è meta di piccoli pellegrinaggi in cui la gente ritrova speranza e serenità.
 
Durante questi anni ha visto cambiare qualcosa nel modo in cui la gente vive la morte dei propri cari?

Anche chi ha fede forse ha più domande di un tempo davanti al mistero della morte e della vita eterna. Tutti cerchiamo in certi momenti, come è naturale che sia, un sostegno, una parola di speranza.
Il rischio per alcuni è di una privatizzazione della morte, cosa che si vede con la scelta di un numero non trascurabile di persone di tenere a casa l’urna delle ceneri del proprio caro estinto. Anche la crisi economica a volte gioca un ruolo in scelte di questo tipo, che cristianamente (ma anche psicologicamente) pongono diversi propblemi e interrogativi.
 A parte questo, direi che qui al cimitero c’è sempre tanta gente che viene e dunque mi pare di poter dire che non si siano persi nè il senso della morte, nè l’affetto per i propri cari defunti che restano sempre molto sentiti. Come si può vedere già nel via vai continuo di questi giorni in vista del 2 novembre.
don Alessio Graziani