Tre domande a… Don Adriano Campiello: l’uomo delle schegge. Il parroco poeta racconta la sua vicenda umana e spirituale

 
Don Adriano Campiello, classe 1936, dopo essere stato parroco a Posina per 23 anni, dal 1987 è parroco di Castelvecchio e di Cerealto, nel comune di Valdagno. Oltre alla montagna, ha un’altra grande passione: le schegge e gli altri reperti bellici della Grande Guerra con cui realizza suggestive opere d’arte cariche di simboli e di fede. Alcune di esse quest’anno saranno esposte anche a Verona alla Mostra Internazionale di presepi allestita in Arena.

Don Adriano, come è nata questa cosa delle schegge?
Il Signore scherza tanto. Quando ero a Posina, camminavo per quelle montagne e vedendo tanti resti della prima guerra mi chiedevo se valesse la pena di caricarsi di quei pesi per portarli giù in paese. Poi ho intuito che bisognava farlo e così con i tosi della parrocchia abbiamo iniziato a raccogliere un sacco di roba, fino a fare anche un museo che abbiamo regalato al Comune. Restavano però un mucchio di schegge (ne ho ancora circa 90 quintali nel mio magazzino) e così ho iniziato a pensare se quei resti di morte non potevano diventare qualcosa di vivo.
Una volta trasferito qui a Castelvecchio quelle schegge hanno cominciato a diventare sculture, scene della Bibbia e del Vangelo in particolare. Io guardo una scheggia e questa mi parla, mi ricorda un episodio della Storia della Salvezza e l’opera prende forma, non so bene neppure io come. E’ un’ispirazione di cui io stesso mi stupisco.

Hai mai avuto momenti difficili nella tua vita?
Dopo Posina il vescovo mi mandò a Stroppari. Ma la pianura non faceva per me e dopo tre anni mi ammalai seriamente. Restai per sette mesi in convalescenza a Tonezza e un bel giorno arrivò don Valentino Grolla chiedendomi di accettare la parrocchia di Castelvecchio. Era il 1987. Dopo tre anni mi diedero anche Cerealto e io dissi loro che erano matti e che mi sarei ammalato di nuovo. Siccome insistevano dicendomi che tanto non c’era molto da fare (ma cosa ne sanno poi?) ho detto al Padre Eterno: “a me piace fare il parroco, dammi la salute e io il carretto continuo a tirarlo”. E devo dire che il Signore mi ha ascoltato perché ormai vado per gli 80, ma mi sento bene e sono felice.

Cosa diresti ad un giovane prete?
In 54 anni di prete non ho mai avuto dubbi sulla scelta fatta, sono sempre stato contento. Anche se a volte faccio una vita solitaria non ho mai sentito la solitudine. Sto bene con la gente, ma ho imparato a stare bene anche da solo. Leggo tanto di notte, fino alle due. Se non posso impedire al mio corpo di invecchiare,  non voglio che la mia anima diventi vecchia. Mi gusto i filosofi e i letterati, Manzoni e i dialoghi di Platone, come non ho fatto quando studiavo al liceo o in Teologia. La sofferenza fisica o morale c’è, non manca per nessuno, non bisogna illudersi. Ma se hai Gesù dentro, è come una tempesta sul mare, sotto è tranquillo c’è una  gioia, che resta sempre. Adesso vorrei riprendere a lavorare le schegge: ho calcolato che potrei realizzare almeno 300 presepi da vendere per i poveri delle Missioni.

Alessio Graziani