LITURGIA FUNEBRE PER DON GIOVANNI TONIN(Chiesa parrocchiale di Cartigliano, 16 giugno 2015)

Don Giovanni Tonin è morto alla venerabile età di 95 anni, sazio di giorni, come dice la Sacra Scrittura a riguardo dei Santi Patriarchi del popolo d’Israele.
Era prete da 71 anni: un prete fedele, mite e umile. La sua vita si è svolta come si sgrana il Rosario, giorno dopo giorno, senza avvenimenti clamorosi, nel compimento quotidiano dei suoi doveri, specialmente a servizio degli anziani e dei malati, sul modello di Gesù, venuto non per essere servito ma per servire.

 Ordinato sacerdote dall’allora vescovo monsignor Carlo Zinato a Bassano del Grappa il 25 giugno 1944 – credo appartenesse alla prima classe ordinata dal vescovo Zinato – fu vicario cooperatore a Sandrigo e ad Asigliano, successivamente fu cappellano dell’Istituto “Grandi invalidi” di Santorso.
Nel 1961 fu nominato rettore della chiesa di San Donato a Santissima Trinità di Angarano, dove rimase fino al 1993 (ben 32 anni), quando fu trasferito come cappellano alla Casa di riposo di Cartigliano, fino al giorno della sua morte, avvenuta venerdì scorso.

 Ora che la sua vita terrena si è chiusa, ci è caro ripensare alle parole di Gesù nel Vangelo che abbiamo ascoltato: “Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro” (Mt 11,28). Gesù – di fronte al rifiuto da parte dei farisei, degli scribi, dei sommi sacerdoti e delle persone influenti del popolo d’Israele, esclama: “Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli” (Mt 11,25). Gesù non esclude nessuno dalla salvezza ma si limita a constatare un fatto: i poveri, gli umili, i miti hanno accolto per primi, con gioia, la sua parola liberante. I piccoli sentono il bisogno della tenerezza di Dio, hanno fame e sete della giustizia, sono misericordiosi, operatori di pace, puri di cuore.

 Don Giovanni nella sua vita è stato povero e umile, “un servo buono e fedele” (Mt 25,21). Quanto è bella la vita di un prete che proclama l’unica parola che salva, con la sua umanità piccola e povera, e rende attuale nell’Eucaristia la morte e la risurrezione di Cristo, perdona con il suo cuore i peccati degli uomini. E quanto più il prete è umile, tanto più lascia emergere la potenza di Cristo.

 La morte di una persona cara è sempre un fatto doloroso. La cultura di oggi, che tutti respiriamo, tende a nascondere la morte, escludendola dai luoghi delle vicende quotidiane, relega l’anzianità, la malattia ai margini della vita normale, familiare e sociale. Per un cristiano, invece, la morte appartiene alla vita, è il momento supremo del vivere.
La morte di Gesù non è stata la fine, ma il punto di arrivo della sua obbedienza e del suo amore, la consegna di se stesso al Padre, per amore degli uomini. Proprio per questo la morte di Gesù è stata un passaggio al Padre, una Pasqua. A questo riguardo è illuminante il brano della seconda lettera di Paolo ai Corinti, che abbiamo ascoltato. L’Apostolo considera la vita terrena come un transito, come un cammino verso il Signore, mèta della nostra esistenza. Tutti camminiamo verso la risurrezione. L’esistenza dei credenti su questa terra è un passaggio, durante il quale il nostro credere è infiacchito da dubbi, il nostro amare è fragile e precario, il nostro sperare incerto e confuso.

 Per esprimere la tensione del credente verso l’incontro definitivo con Dio, Paolo utilizza una serie di immagini che esprimono il passaggio dal provvisorio al definitivo: dalla tenda alla casa, dalla nudità al vestito, dall’esilio alla patria.
L’esistenza dei credenti su questa terra è un esilio, e – tuttavia – in questa esistenza terrena, i battezzati sono protesi verso la mèta che è il Signore, come terra promessa, come patria definitiva. Questa è stata la fede di don Giovanni ed è la fede condivisa da tutti noi che partecipiamo alla celebrazione dell’Eucaristia, vale a dire dell’evento della morte e della risurrezione di Gesù.

 Mi piace concludere questa omelia con le parole stesse di questo caro sacerdote, scritte nel suo testamento spirituale: “Ringrazio il Signore per la vocazione e il sacerdozio che mi ha donato, per tutti i benefici che mi ha elargito per il bene mio e degli altri. Il Signore benedica le tante persone che hanno avuto comprensione di me e mi hanno assistito. Chiedo perdono a tutti per le mie mancanze e domando la grazia di una preghiera”.

 A me piace consegnarvi la vita e la morte di don Giovanni nel segno della speranza che viene a tutti noi dalla fede battesimale in Gesù Cristo, morto, sepolto e risorto.
Accanto alla bara di don Giovanni arde il cero pasquale, annuncio della risurrezione; sulla sua bara è aperto il Vangelo con le parole di vita che non passeranno mai. Poi circonderemo di onore e di amore il suo corpo con il profumo dell’incenso e con l’acqua del Battesimo.
Gli angeli lo accompagnino in Paradiso, lo accolga la Vergine Santa, la nostra Madonna di Monteberico, i Santi e i Beati della nostra Chiesa.

 E tu, don Giovanni, prega per la nostra diocesi, perché il Signore le doni la grazia di numerose e sante vocazioni al Sacerdozio, alla Vita Consacrata e al Sacramento del Matrimonio. Amen!

 

† Beniamino Pizziol
Vescovo di Vicenza