57 giorni che non potremo dimenticare

Come il rapimento di don Allegri e don Marta ci ha cambiati

 
Insieme con don Giampaolo Marta e a don Gianantonio Allegri, nessuno di noi potrà mai dimenticare i 57 giorni della loro prigionia. Angoscia, fiducia, paura e gioia indicibile si sono alternate e succedute nel cuore di ciascuno a partire da quella notte del 4 aprile 2014 in cui i due sacerdoti vicentini sono stati presi in ostaggio da un gruppo armato nella loro missione di Tchére nel nord del Camerun. Con loro anche una anziana religiosa canadese, suor Gilberte Boussier.
 
Per quasi due mesi non abbiamo saputo nulla di loro. Mentre la Farnesina invitava comunque alla fiducia, dal Camerun e più ancora dalla vicina Nigeria giungevano sempre più insistenti echi di violenza e di morte.

Tutto questo fino a domenica 1 giugno 2014, quando le campane di tutta la diocesi hanno suonato a festa per annunciare il miracolo atteso, la liberazione dei tre missionari. Al vederli al loro arrivo a Ciampino subito ci ha colpito il loro deperimento fisico. Ma poi ascoltando il loro racconto una volta giunti a Vicenza ci hanno sorpreso la loro serenità e la forza interiore che scaturiva dalle loro parole.
 

Ecco dopo questi 57 giorni di croce e di risurrezione – come li ha definiti il Vescovo di Vicenza Beniamino Pizziol incontrando la stampa – noi tutti ci sentiamo più deboli e al contempo più forti. Più deboli perché abbiamo sperimentato la nostra vulnerabilità e la nostra impotenza. Più forti perché abbiamo riscoperto l’efficacia della preghiera che mai è venuta meno e l’importanza della fedeltà al quotidiano, di continuare a compiere ogni giorno piccoli gesti di bene per far fronte ad un male all’apparenza troppo grande per essere sconfitto.
 
Come hanno ricordato i due missionari liberati, tutto questo nasce dalla miseria, dalla povertà di nazioni che non sanno dare speranze di futuro ai propri giovani e che ora, con la partenza forzata della maggior parte dei missionari, si ritrovera