Messaggio di Natale alla comunità vicentina
Carissime sorelle e carissimi fratelli, desidero raggiungervi da un luogo speciale: il reparto maternità dell’Ospedale San Bortolo. Qui, più che altrove, si tocca con mano il mistero della vita che viene alla luce: attese trepidanti, lacrime che diventano sorriso, silenzi che si fanno preghiera, mani che tengono strette altre mani. È una casa di speranza. È una soglia dove il futuro bussa.
Nel cuore di questo Natale risuona una parola antica e sempre nuova: “Un bambino ci è nato, un figlio ci è stato dato” (Is 9,5). Non è soltanto un annuncio da ascoltare: è una realtà da accogliere. Dio non ha scelto di manifestarsi con la forza, con l’imponenza o con il clamore. Dio ha scelto la via della nascita, della fragilità, della fiducia consegnata alle braccia di una madre e alla custodia di una famiglia. Dio ci visita così: come dono.
Siamo ormai al termine dell’Anno Giubilare, tempo di grazia e di ritorno all’essenziale. In questa luce, il Natale ci consegna un messaggio decisivo: la speranza non è un’idea ottimistica, ma una presenza che entra nella storia. E proprio qui, in un reparto maternità, comprendiamo meglio quanto ha scritto Papa Francesco nella bolla di indizione del Giubileo, Spes non confundit: guardare al futuro con speranza significa anche “avere una visione della vita carica di entusiasmo da trasmettere”; e con tristezza constatiamo che, in tante situazioni, questa prospettiva viene meno, fino a intaccare perfino il desiderio di trasmettere la vita. Le fatiche quotidiane, l’incertezza lavorativa, la paura del domani, modelli sociali che privilegiano il profitto invece della cura delle relazioni: tutto questo pesa sulle giovani coppie e sulle famiglie.
Eppure, davanti a una culla, davanti a un pianto che annuncia un respiro nuovo, ci è ricordato che la vita è promessa. L’apertura alla vita — vissuta con responsabilità e amore — è una chiamata iscritta nel cuore dell’uomo e della donna, una missione affidata agli sposi e al loro amore. Per questo, come comunità cristiana, non possiamo limitarci a parole di circostanza: siamo chiamati a un’alleanza concreta per la speranza, inclusiva e non ideologica, capace di sostenere chi desidera generare e accogliere figli, e di accompagnare chi vive la fatica, la fragilità, la solitudine, la ferita.
Da questo luogo desidero dire tre cose, con semplicità e con fermezza.
Anzitutto: grazie. Grazie alle mamme e ai papà che qui attraversano la gioia e la paura, l’attesa e la responsabilità. Grazie a chi porta in grembo una vita e, insieme, porta domande, preoccupazioni, talvolta ferite. Grazie al personale sanitario, alle ostetriche, ai medici, agli infermieri e a tutti gli operatori: in voi si vede una forma preziosa di cura che diventa, spesso, consolazione e speranza.
Poi: coraggio. Il Natale ci consegna un segno umile e invincibile: un bambino. In un tempo in cui tanti rischiano di accontentarsi di “sopravvivere” o “vivacchiare”, il Signore ci chiama a recuperare la gioia di vivere, quella gioia che non nasce dalle cose ma dalle relazioni, dal sentirsi amati e capaci di amare. Ogni nascita ricorda che il futuro non è soltanto una minaccia: può essere una strada. E una comunità che sostiene le famiglie — con prossimità, ascolto, servizi, accoglienza, solidarietà — diventa davvero casa di speranza.
Infine: una chiamata per tutti. Non si nasce una sola volta. Il compito che ci è affidato ogni giorno è, in certo modo, proprio quello di “nascere”: nascere alla fiducia, alla responsabilità, alla mitezza, alla pace. E Gesù ci ricorda che è necessario “rinascere dall’acqua e dallo Spirito”: rinnovati nel cuore, liberati dalla rassegnazione, resi capaci di scegliere il bene anche quando costa. Il Natale non ci chiede di essere perfetti, ma di lasciare spazio a Dio che viene. Il Figlio “ci è stato dato” perché nessuno pensi più di essere solo, perché ogni storia possa ricominciare.
Carissimi, da questa maternità — luogo di attesa gioiosa, luogo di speranza per tanti genitori e famiglie — affido al Bambino di Betlemme la nostra città e la nostra provincia, le parrocchie, le case, i luoghi del lavoro e della sofferenza. Affido chi desidera un figlio e non riesce, chi ha paura di non farcela, chi piange una perdita, chi porta nel cuore una ferita nascosta. Affido i bambini che stanno per nascere e quelli che cercano futuro; gli anziani, custodi della memoria; i giovani, che hanno diritto a sperare; le famiglie, chiamate a essere culla di amore.
E vi lascio un augurio semplice, che nasce da ciò che sto vedendo qui:
che la vostra casa sia un luogo in cui la speranza abbia un volto, che le nostre comunità siano un grembo accogliente, e che il sorriso dei bambini — segno di un domani possibile — non manchi nelle nostre strade.
Buon Natale a tutti: un bambino ci è nato, un Figlio ci è stato dato. E con Lui ci è stata data la speranza che non delude. Di cuore, vi benedico.
Giuliano Brugnotto, vostro vescovo
Vicenza, Natale 2025
Ospedale San Bortolo,
reparto terapia intensiva neonatale






