Misericordia et misera: l’intervista di Famiglia Cristiana a don Marco Gasparini sulla recente Lettera Apostolica

 
Antonio Sanfrancesco ha intervistato per Famiglia Cristiana don Marco Gasparini sul significato della Lettera Apostolica Misericordia et misera

La svolta c’è stata. O meglio, è stata resa definitiva. Papa Francesco nella Lettera apostolica Misericordia et misera firmata a conclusione del Giubileo ha esteso la facoltà a tutti i sacerdoti di assolvere dal peccato di aborto mentre in passato bisognava rivolgersi a un confessore autorizzato dal vescovo a tale compito. Adesso cosa succederà? Ci sarà una riforma del Codice di diritto canonico? Cadrà la scomunica prevista finora per chi procurava l’aborto? Lo abbiamo chiesto a don Marco Gasparini, giovane presbitero della diocesi di Vicenza, che ha studiato Diritto Canonico presso la Facoltà di Diritto Canonico San Pio X di Venezia dove ha conseguito la licenza, nel giugno 2013, con una tesi sui doveri del confessore nel Codice di Diritto Canonico. Nel dicembre scorso ha conseguito il dottorato di ricerca con una discussione sulla figura del Canonico Penitenziere nell’esercizio del sacramento della penitenza. «Non direi che la decisione del Santo Padre riveli un “lassismo” sulla gravità dell’aborto», precisa subito Gasparini, «evidenzia invece la grandezza del cuore di Dio che ama e perdona sempre».
 
Quali sono le novità più importanti contenute in questa Lettera firmata dal Papa a conclusione del Giubileo?
«La Lettera contiene in sé l’afflato pastorale di Francesco, che oramai ben conosciamo anche se ogni volta “spiazza” le nostre rigidità, sia nei confronti della fede sia nei confronti della morale. Per questo ritengo che le parole contenute in Misericordia et misera vadano lette come una novità che appartiene alla Tradizione della Chiesa, che sempre avanza tenendo conto dell’uomo e della sua complessità. Sono tre, comunque, gli aspetti che sottolineerei: innanzi tutto la gioia che deriva dall’Anno Santo, gioia che ci è donata nel saperci amati da Dio e perdonati da Lui; poi ciò sui quali si sono fermati i titoli dei quotidiani, informandoci dello scritto: l’estensione a tutti i sacerdoti di assolvere dal “peccato” di aborto e, infine, la Giornata Mondiale dei Poveri che sarà operativa a partire dal prossimo anno. La Lettera, comunque, va letta per intero perché ogni tema chiama in causa il precedente e il seguente, e si vede come l’insieme sia tanto di più delle sue parti e dei suoi temi».  

L’estensione della facoltà di assolvere dall’aborto a tutti i sacerdoti comporterà una riforma del Codice di Diritto Canonico?
«Certamente, anche se non sappiamo ancora in che modo. Occorrerà sapere, ad esempio, se al “peccato” sarà ancora annessa una pena. In questione c’è il canone 1398 che espone la disciplina del delitto di “aborto procurato con effetto ottenuto” compiuto il quale si incorre nella scomunica latae sententiae. Non dimentichiamo che la fattispecie delittuosa, compresa tra i delitti contro la vita e la libertà umana, va ben intesa. Per questo la responsabilità — da oggi in poi — di ogni confessore è maggiore. Occorre, dopo aver valutato anche le circostanze che possono togliere o attenuare la punibilità dello stesso delitto, porre l’attenzione all’azione effettivamente consumata. Non ci sarebbe delitto, infatti, se l’evento abortivo non fosse certo e voluto in modo diretto. Per definire l’elemento oggettivo di questo crimine dobbiamo riferirci al n. 58 della’enciclica Evangelium vitae, dove Giovanni Paolo II afferma che l’aborto è “l’uccisione deliberata e diretta, comunque venga attuata, di un essere umano nella fase iniziale della sua esistenza, compresa tra il concepimento e la nascita”. Per quanto riguarda il reo, la pena ricade sulla donna che, pur sapendo della malvagità dell’atto e delle sue ricadute penali, vuole abortire e raggiunge il suo scopo. Nella scomunica, però, ricadono anche i complici, resisi necessari a porre in atto materialmente l’aborto, secondo il canone 1329 §2. Tra questi possiamo individuare il medico abortista, esecutore materiale del turpe misfatto, e coloro i quali lo coadiuvano in modo immediato e direttamente rivolti all’operazione stessa. Tutto ciò mantiene inalterato il proprio valore e occorre esserne ben informati per saper valutare caso per caso».  

C’è chi, dopo questa decisione del Papa, ha accusato la Chiesa di “lassismo” nei confronti dell’aborto. È così?

«Ripetutamente il Pontefice non ha mancato di evidenziare come l’aborto sia un “peccato” gravissimo. Davanti a ciò, comunque – come dinanzi a ogni azione grave che un fedele può compiere smentendo la grazia ricevuta nel Battesimo – la misericordia di Dio va oltre. In un certo qual modo supera la gravità di quanto compiuto e la redime. Nessuno mai può essere (e rimanere) crocifisso sopra i propri sbagli e per tutti, a condizione, non dimentichiamolo, di essere pentiti del male compiuto, c’è il perdono di Dio attraverso il ministero del confessore, segno e strumento della grazia. In questo modo, la misericordia, elargita da Dio, diventa davvero giusta, e la giustizia, amministrata dalla Chiesa, diventa misericordiosa. Non direi, quindi, che la decisione del Santo Padre riveli un “lassismo” della gravità dell’aborto, evidenzia invece la grandezza del cuore di Dio che ama e perdona sempre».


Non c’è però il rischio che il peccato di aborto possa essere minimizzato?

«Non credo proprio. Anzi. L’estensione della facoltà è proprio per venire incontro il più possibile e nel minor tempo possibile al fedele incorso in una condizione di scomunica così grave. Non dimentichiamo che l’aborto (procurato e con effetto ottenuto) non è solamente un “peccato” bensì un “delitto”. Nella Bolla di indizione dell’Anno Santo il Papa spiegò quale era il compito dei Missionari della Misericordia: “Saranno sacerdoti a cui darò l’autorità di perdonare anche i peccati che sono riservati alla Sede Apostolica”. Dopo l’entrata in vigore del Codice di Diritto Canonico del 1983, infatti, non esiste più la riserva sui peccati (remissibili o dal vescovo diocesano o dalla Sede Apostolica) ma sui delitti. Il Codice, in questo modo, ha preferito tralasciare le categorie morali, per mantenere una stretta competenza giuridica. Il delitto di aborto, che era tra i delitti riservati alla competenza del Vescovo o del canonico penitenziere e concesso ai Missionari della Misericordia, pur restando un peccato grave, ha una propria qualificazione giuridica in forza di una legge che ne prevede una pena annessa. A partire dalla domanda sul perché non ogni — ma tutti in generale — confessore è abile a rimettere la pena per un delitto, possiamo rispondere che la sollecitudine materna della Chiesa sa bene che — in forma generica, mutuando un’immagine medica per quanto concerne il peccato — non ogni malattia si cura con la stessa terapia e lo stesso terapeuta. Per malattie diverse ci sono medicine e medici diversi, non tutto viene curato alla stessa maniera; da parte dell’autorità competente, a peccati diversi non si possono dare sanzioni uguali, perché ciò urterebbe contro la giustizia. La stessa cosa vale per la remissione dei peccati. Tutti i confessori possono perdonare i peccati, ma non tutti i confessori possono assolvere dalle scomuniche o da altre sanzioni. Per questo la Chiesa dispone che alcuni delitti — i quali lacerano nel profondo la compagine ecclesiale quando si riferiscono in primo luogo ai sacramenti — vengano sanati da un confessore particolarmente qualificato ed esperto nell’esercizio del sacramento della penitenza, qualora essi, però, non siano oggetto di trattazione in un processo di foro esterno». 

In futuro allora cadrà la scomunica canonica prevista per chi commette questo peccato?
«Questo non possiamo saperlo ora, a poco tempo dalla decisione del Papa. Personalmente posso immaginare — ma gli organismi competenti alla riforma del Codice, ben più esperti di me, potranno smentirmi — che, data la gravità del peccato, la sanzione rimanga. A monte di questa mia presunzione ci sta l’importanza del diritto della Chiesa di punire i fedeli con delle sanzioni; e il delitto di aborto, sino a nuove norme, prevede il massimo della pena. L’attenzione avuta dal Concilio verso i diritti dei fedeli e l’impegno pastorale dei ministri si è riflessa anche sul diritto penale canonico, che trova giustificazione solo in quanto è strumento di salvezza. Infatti, la Chiesa, come una madre, deve correggere i suoi figli erranti per il loro bene, in modo che siano educati alla responsabilità nell’esercizio della libertà. Perciò non impone punizioni se non come ultimo rimedio possibile e in ogni caso facendo emergere dalle sanzioni il significato medicinale di esse. Questo orientamento guida tutta la disciplina penale della Chiesa che mira alla conversione del reo, alla tutela della santità dei fedeli e alla loro salvezza eterna. La pena, se rimanesse, farebbe capire l’estrema negatività dell’aborto e aiuterebbe, come una medicina, il ravvedimento del reo. Se la pena rimanesse, comunque, chi vi incorre avrebbe ora tutte le facilitazioni possibili per liberarsene al più presto, dato che ora tutti i sacerdoti sono abili a rimetterla, ponendo, come deve avvenire dopo ogni confessione sacramentale, la debita soddisfazione per quanto compiuto».
Da sacerdote sente ora una responsabilità in più quando andrà a confessare?
«Credo proprio di sì. La Lettera del Papa mi invita a vivere di più il confessionale come luogo dove esercitare la misericordia di Dio ben consapevole che davanti a me ci sta un peccatore come lo sono io, anzi, tante volte meno peccatore di me! In questo modo, tengo buoni, perché sono sempre da rilanciare, i doveri del confessore che il Papa rivisita e che costituiscono un piccolo codice deontologico per chi come me amministra il sacramento del perdono: “accoglienti con tutti; testimoni della tenerezza paterna nonostante la gravità del peccato; solleciti nell’aiutare a riflettere sul male commesso; chiari nel presentare i principi morali; disponibili ad accompagnare i fedeli nel percorso penitenziale, mantenendo il loro passo con pazienza; lungimiranti nel discernimento di ogni singolo caso; generosi nel dispensare il perdono di Dio”. Sono impegni seri e che, credo, tengano insieme i due estremi, da evitare sempre, del lassismo e del rigorismo; il primo schiaccia e allontana i fedeli, il secondo li diseduca e li illude».  

Quali aspetti le sono piaciuti di più di Misericordia et misera?
«Un aspetto che brilla nella Lettera e che sin dalla prima frettolosa lettura mi ha impressionato è come il Papa descriva un Dio così “umano” che si rivolge al soffrire di tutti noi. Francesco lo dice in questo modo: “È vero, spesso siamo messi a dura prova, ma non deve mai venire meno la certezza che il Signore ci ama. La sua misericordia si esprime anche nella vicinanza, nell’affetto e nel sostegno che tanti fratelli e sorelle possono offrire quando sopraggiungono i giorni della tristezza e dell’afflizione. Asciugare le lacrime è un’azione concreta che spezza il cerchio di solitudine in cui spesso veniamo rinchiusi”. Sono parole che non hanno bisogno di commento, ciascuno conosce la verità che contengono, perché tutti, non solo la mamma che volontariamente ha messo fine all’esistenza della creatura che portava in grembo, abbiamo delle lacrime da versare e che il Signore sa raccogliere e asciugare come nessun altro sa fare».