SALUTO ALL’INIZIO DELLA CELEBRAZIONE EUCARISTICA CON L’ORDINAZIONE EPISCOPALE DEL CARDINALE FABIO BAGGIO
All’inizio della celebrazione mi è gradito rivolgere un saluto e un benvenuto nella diocesi di Vicenza al cardinale MICHAEL CZERNY Prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale che presiede il rito di ordinazione episcopale
Un saluto ai confratelli arcivescovi e vescovi, ai presbiteri e diaconi, al Superiore e alla famiglia dei missionari di San Carlo – Scalabriniani, alle autorità civili e militari intervenuti e a tutti i presenti.
Un sentito grazie lo rivolgo al vescovo eletto, cardinale padre Fabio Baggio, che ha scelto di ricevere l’ordinazione episcopale in diocesi di Vicenza, presso l’Istituto che ha accompagnato il discernimento vocazionale e la formazione missionaria sacerdotale. Questa scelta ci onora. In queste settimane l’abbiamo accompagnata con la preghiera perché accolga il dono dello Spirito che la costituisce successore degli apostoli.
In queste ore a Bassano si tiene la tradizionale Marcia della Pace. Siamo idealmente uniti a quanti la stanno invocando qui e in molte parti del mondo e invochiamo questo dono dal Principe della Pace che ci invita a prenderci cura dei migranti e di ascoltare il grido della terra ferita dall’inquinamento (non posso dimenticare che una parte del nostro territorio è segnato dall’inquinamento dell’acqua causato dal Pfas).
Unendoci a Cristo, sceso nelle acque delle nostre fragilità e peccato per caricarle sulle sue spalle, apriamo il cuore alla speranza di un mondo nuovo.
+ vescovo Giuliano
Ordinazione Episcopale S.E. Card. Baggio – 11 Gennaio 2025
Omelia Card. Michael Czerny S.J.
Cari fratelli e sorelle,
riuniti attorno alla mensa del Signore, rendiamo grazie per il dono della vita di p. Fabio. Nella chiamata che Dio Padre gli ha rivolto a partecipare in pienezza al ministero sacerdotale di Cristo, nell’episcopato, noi tutti riconosciamo un atto di benevolenza e di amore elargito alla Chiesa universale.
Un dono che ci riempie di gioia e di consolazione sin da quando abbiamo appreso la notizia della sua creazione a cardinale. Noi che in Dicastero abbiamo lavorato a stretto contatto con p. Fabio, insieme a coloro che lo conoscono da tempo, abbiamo visto rispecchiarsi in tale scelta di papa Francesco la profonda considerazione che nutriamo per lui. La sua dedizione a favore delle persone migranti e delle popolazioni che versano in condizione di povertà, così come il suo generoso impegno verso una pastorale che pone al centro la dignità dell’uomo, ci hanno edificato e sollecitato nel corso degli anni.
Proprio in occasione del Concistoro dello scorso 7 dicembre, papa Francesco ha affermato che la missione dei cardinali è seguire Gesù da vicino, percorrere insieme a lui, ma anche al suo modo, la via che conduce al Calvario. «Fare la strada di Gesù – ha precisato – significa essere costruttori di comunione e di unità».
In questa celebrazione, caro p. Fabio, insieme al card. Silvano Tomasi e ai tuoi confratelli scalabriniani, convenuti da tante parti del mondo; la Chiesa locale che ti ha generato alla fede, presieduta del vescovo della Diocesi di Vicenza, Mons. Brugnotto; i colleghi del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo umano integrale, che mi pregio di presiedere come Prefetto, tanti altri membri della Curia Romana, i familiari, gli amici: siamo qui per te come una sola famiglia radunata in rendimento di grazie per ciò che il Signore sta operando in te e per mezzo tuo.
Il vangelo di Luca che abbiamo ascoltato, raccontandoci della guarigione di un uomo affetto dalla lebbra, ci dischiude l’orizzonte vasto della misericordia di Dio.
Il Signore Gesù, lasciandosi accostare dall’umanità ferita e sofferente del lebbroso, mostra che la missione del Figlio fatto uomo consiste nel manifestare il potere sanante e trasformante dell’amore divino.
Tre verbi assumono particolare rilevanza nel racconto: toccare, testimoniare, pregare. Vorrei commentarli brevemente, traendone spunto per indicare tre aspetti essenziali del ministero episcopale. Conoscendo la tua passione per la musica, che ti ha portato a comporre opere ispirate al Vangelo, direi che sono come tre note musicali che formano un solo accordo armonico.
Primo verbo: Toccare. Dinanzi alla realtà oggettiva del male che prostra il lebbroso, all’esclusione sociale, dovuta alle prescrizioni della Legge che gli imponevano di vivere fuori dalla città, nella condizione di reietto, Gesù stende la mano e lo tocca, dicendo: «Lo voglio, sii purificato».
Gesù reagisce al dolore di quell’uomo, perché si lascia coinvolgere dal suo vissuto. Prima di toccarlo, si lascia toccare, cioè raggiungere dalla sua sofferenza, dal suo bisogno di salvezza.
Nel passo parallelo di questo brano, l’evangelista Marco sottolinea che Gesù fu «mosso a compassione» (Mc 1,40): ascoltando il grido del lebbroso, in cui è racchiuso il grido di tutti gli esclusi, i poveri, gli ultimi tra gli ultimi, ma anche il grido della terra, egli avverte un urto alle viscere. In Gesù, la tenerezza di Dio si fa carne, diventa spazio accogliente nell’umanità assunta dal Verbo.
Dunque, l’azione di stendere la mano e toccare quell’uomo, piagato nel corpo e nello spirito, scaturisce dall’amore di Dio che rigetta tutto ciò che è contrario al bene della sua creatura. La volontà di Dio è che l’uomo viva, e abbia vita in abbondanza, che sia mondato dal peccato e liberato da ogni condizionamento – storico, sociale e interiore – che ostacola lo sviluppo pieno e organico della sua dignità di figlio amato da sempre.
La prima consegna che voglio rivolgerti, caro p. Fabio, sta proprio nell’approfondire la capacità di ascolto che hai già dato prova di esercitare nel corso del tuo ministero di missionario scalabriniano.
L’etimologia del termine vescovo (dal gr. epískopos) ci rimanda alla capacità di guardare dall’alto, cioè di avere un punto di osservazione sulla realtà che si pone dalla parte di Dio, che è Padre “nei cieli”.
San Paolo ci ricorda che «La fede viene dall’ascolto e l’ascolto riguarda la parola di Cristo» (Rm 10, 17).
Per aguzzare la vista occorre affinare l’orecchio, cioè mettersi in ascolto del Maestro, e imparare da Lui come rimanere in ascolto degli uomini e delle donne di oggi, accogliendone i drammi, le gioie, i dolori, le fatiche, sentendoli come propri.
Ogni vescovo è chiamato a custodire e a confermare i fratelli nella fede. Per vivere questa fedeltà al Signore Gesù e alla Chiesa occorre essere vicini: uniti intimamente a Dio, prossimi e solidali con i fratelli. La vicinanza – dice papa Francesco – è la traccia più tipica di Dio. Che sia la vicinanza, fatta di ascolto attento e sguardo premuroso sulle fragilità dell’umano, la traccia della presenza di Dio nel tuo ministero episcopale.
Secondo verbo: Testimoniare: Nella prima lettura, tratta dalla lettera di San Giovanni apostolo, testimoniare è mostrare, e rendere attuale nella storia, la verità che il Padre ha rivelato nel Figlio fatto uomo. È annunciare che la verità di Dio coincide con il suo essere amore in relazione.
Per questo, Giovanni indica anzitutto lo Spirito Santo come colui che rende testimonianza: egli, che è vincolo di unità tra il Padre e il Figlio, guida i credenti alla piena comprensione delle parole e delle opere di Gesù, consentendo loro di conoscere che l’unica verità che dona senso alla vita è l’amore di Dio.
Testimoniare nello Spirito richiede creatività, intuito, e coraggio. È Gesù stesso a mostrarlo nel vangelo, quando sceglie di stendere la mano e toccare il lebbroso. Egli di fatto compie una trasgressione, tocca l’intoccabile, e contravviene ai divieti della Legge. Tuttavia, è in quel gesto coraggioso e nuovo che egli rende testimonianza a Dio, perché ne rivela il volto di Padre misericordioso.
Compito di ogni vescovo è testimoniare nello Spirito, guidando la porzione di Popolo di Dio che gli è affidata a conoscere, amare e servire Dio.
La seconda consegna che voglio rivolgerti, caro p. Fabio, è lasciare che lo Spirito Santo agisca sempre più in te, facendo della tua esistenza un prisma attraverso cui la luce di Cristo si riflette sul mondo. Con coraggio e creatività, il tuo ministero episcopale possa infondere, in coloro che ti saranno dati da custodire, la verità di Dio Padre che «ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque creda in Lui abbia la vita eterna» (Gv 3,16).
Terzo verbo: Pregare: Dopo averlo guarito, Gesù domanda al lebbroso di recarsi dai sacerdoti e di compiere l’offerta per la purificazione. È importante che i sacerdoti attestino l’avvenuta guarigione, perché ciò consentirà al lebbroso di essere reintegrato nella comunità dei viventi. Allo stesso tempo, l’offerta del sacrificio acquista un valore testimoniale nei confronti dei sacerdoti stessi: nell’elevare la loro preghiera a Dio, essi saranno in qualche modo posti di fronte alla necessità di riconoscere nel miracolo di Gesù un segno dell’approssimarsi del Regno.
Sorprende, allora, che Gesù ordini al lebbroso di compiere questi atti senza però rivelare a nessuno quanto accaduto.
Tale richiesta di silenzio, è un ammonimento a non fraintendere la missione del Figlio: il miracolo sarà comprensibile solo dalla croce, quando ogni segreto sarà sciolto. È un segno che invita alla conversione e alla fede (cfr. Lc 5,15), ma è anche un indizio dello stile missionario di Gesù: egli non cerca pubblicità, non insegue la popolarità e i consensi, non si propone come un messia trionfante. È in questa discrezione, in questo modo di operare il bene nel silenzio, che l’uomo di fede è posto al riparo dallo spirito della mondanità.
Il versetto conclusivo (Lc 5,16), mostra Gesù che si ritira in luoghi deserti per pregare. La preghiera è fondamentale per il ministero di Gesù, poiché è dalla sua intimità con il Padre che egli attinge la sua forza e impara l’obbedienza. C’è una stretta connessione tra l’agire silenzioso per il bene degli altri e il ritirarsi in solitudine con Dio.
La terza consegna, caro p. Fabio, è custodire nella preghiera la familiarità con Dio, quell’intimità necessaria a riconoscersi sempre “peccatori salvati”.
Nel Vangelo di Luca, gli unici a chiamare Gesù per nome sono i lebbrosi, il cieco di Gerico, il malfattore sulla croce (cf. Lc 17,13; 18,38; 23,42). Non ci accostiamo a Dio perché giusti e mondi, ma perché bisognosi di giustizia e santità.
La paternità del vescovo nasce dalla preghiera, scaturisce dall’esperienza di riconoscersi figlio nel Figlio e fratello di tutti. È a partire dalla percezione e piena consapevolezza del proprio limite, peccato, fragilità che la paternità matura come carico di umanità condivisa, di sofferenza riletta alla luce del Vangelo, di speranza rilanciata dal tocco sanante e trasformante di Cristo.
I tre verbi che hanno scandito questo momento di riflessione sul Vangelo di Luca – toccare, testimoniare, pregare – trovano eco nelle parole di San Giovanni Battista Scalabrini, tratteggiando San Carlo Borromeo come un “esempio di quell’impavida costanza, di quella generosa pazienza, di quell’ardente carità, di quello zelo illuminato, indefesso, magnanimo, di tutte quelle virtù che formano di un uomo un vero apostolo de Gesù Christo. Egli ha sete di anime!”[1] Questo è ciò che chiediamo a Dio per te, carissimo padre Fabio, come vescovo, missionario e cardinale, per intercessione della Beata Vergine Maria. Amen!
[1] Ai Missionari per gli Italiani nelle Americhe, 15.3.1892, Piacenza.





