Teniamo saldo il timone della fede in tempi burrascosi: l’omelia del Vescovo alla Messa Crismale

 
Ecco il testo dell’omelia del Vescovo Beniamino alla Santa Messa Crismale celebrata in Cattedrale sabato 30 maggio con una rappresentanza di clero e fedeli.
 
Carissimi presbiteri diocesani e religiosi, diaconi, consacrati e consacrate, seminaristi e voi tutti fedeli laici, uomini e donne, vi saluto con affetto e riconoscenza.

Rivolgo un saluto fraterno ai sacerdoti della Chiesa Ortodossa e un saluto cordiale a tutti coloro che partecipano spiritualmente a questa Eucarestia trasmessa da Radio Oreb e Telechiara.
Quest’anno celebriamo la S. Messa del Crisma in modo completamente nuovo a causa della pandemia sanitaria che ha segnato pesantemente la vita di ciascuno di noi, delle nostre comunità e dell’intera famiglia umana. La celebriamo nel penultimo giorno del tempo pasquale, alla vigilia della Pentecoste, condizionati nel numero e nella partecipazione, dalle norme che siamo chiamati a rispettare con un giusto senso di responsabilità.
Vogliamo in questo momento manifestare la nostra vicinanza e assicurare la nostra preghiera alle famiglie e alle comunità che sono state provate dalla morte di una persona cara.
Vogliamo assicurare la nostra solidarietà e la nostra amicizia a tutti gli uomini e le donne, che stanno soffrendo e faticano ad andare avanti a causa di difficoltà economiche, lavorative, familiari.

Desidero ricordare quanto abbiamo chiesto al Signore per l’intercessione della Madonna di Monte Berico, alla fine dell’Atto di Affidamento:
“In questa dolorosa esperienza possano crescere la nostra fede, la speranza e la carità e fa’ che possiamo re-iniziare il nostro cammino con spirito nuovo e cuore nuovo, approfondendo la vita interiore e le relazioni di amicizia e di affetto”.


Nelle messe del Crisma degli ultimi due anni ho preso in considerazione la persona e la missione di Cristo secondo la prospettiva del sacerdozio e della profezia. Oggi desidero completare la nostra riflessione, soffermandomi sul terzo munus, quello della sua regalità, che comprende, da una parte, il suo modo nuovo di intendere l’autorità e, dall’altra, ci indica come siamo chiamati a vivere il compito del governo nella Chiesa e nel mondo, con uno stile autentico di servizio.
Nelle aspettative del popolo d’Israele il Re-Messia era atteso come un sovrano forte, un liberatore potente, che avrebbe inaugurato il Regno di Dio mediante azioni eclatanti e – se necessario – anche violente. Nel vangelo, invece, abbiamo appena sentito come Gesù espone il suo discorso programmatico a partire dalle antiche parole del profeta Isaia: «Lo Spirito del Signore […] mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi» (Lc 4,18). Già questo ci mette sulla giusta prospettiva: l’autorità e l’autorevolezza non vengono al Messia da questo o quel modo particolare di esercitare il potere, ma da chi è realmente oggetto delle sue attenzioni. Non si tratta di un potere su qualcuno, ma di un potere per qualcuno. Per questo la vera regalità del Messia sta nell’atto del servire e del prendersi cura.
In questo senso, Gesù capovolge le coordinate classiche della sovranità mondana e afferma: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mc 10,42-45). Queste parole implicano il fatto che l’autentica dignità di ogni persona, dal Vescovo di Roma al più umile fedele della più piccola parrocchia al mondo «non sta nel posto che occupa, nel lavoro che svolge, nelle cose che possiede, nel successo che ottiene: la grandezza si misura unicamente sullo spirito di servizio»1. «Il servizio è un modo di vivere, non semplicemente qualcosa da fare o un compito da svolgere»2.
La grande tentazione che si insinua sempre, in ogni relazione umana, anche nelle nostre, è quella di dominare sugli altri, di sentirsi un pochino almeno superiori di chi ci sta intorno: ma questa è la logica del mondo: i governanti dominano sulle nazioni. Prima o poi si finisce per usare gli altri a proprio vantaggio, anche se si riesce sempre a trovare forme più o meno eleganti per farlo, perché l’istinto di dominare è radicato nel cuore di ogni uomo e di ogni donna. Per mostrare il proprio originale concetto di autorità, Gesù fa questo confronto con la politica per prenderne immediatamente le distanze: «tra voi non è così». Non si tratta di un comando (non deve essere) o di un auspicio (non sia così), ma è un atto costitutivo: «non è così».
Nel testo dell’Apocalisse, appena proclamato, Gesù riceve un titolo regale superlativo: è il «sovrano dei re della terra» (1,5). Ma subito dopo si aggiunge che questa sovranità è partecipata a noi credenti: egli «ha fatto di noi un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre» (v. 6). Vale a dire che quanto è specifico del ruolo di Cristo viene donato a noi, suoi discepoli. Lui è l’unto, il Messia; noi pure siamo “unti”, crismáti, impregnati delle sue qualità. La dignità regale è condivisa dal Cristo con l’intero corpo ecclesiale, e ogni singolo battezzato è chiamato a riprodurre nella propria esistenza tale dimensione.
La regalità sovrana del Cristo, quindi, viene esercitata in modi diversi all’interno della Chiesa, a seconda dei molteplici compiti e ministeri, ma tutti improntati al servizio.
Desidero infine concludere con una suggestione: il verbo “governare”, deriva dal greco kubernáo e significa letteralmente «tenere il timone». Nella Chiesa c’è chi deve tenere il timone della barca di Pietro: il papa; quello delle singole chiese diocesane: i vescovi; quello di una unità pastorale assieme ad altri presbiteri: il parroco; quello di una famiglia: i coniugi; quello di una congregazione o di una famiglia religiosa: un superiore, una superiora; quello di un’attività imprenditoriale: un dirigente. Tenere il timone in tempi sereni è relativamente agevole; reggerlo in tempi burrascosi è più complicato. L’essenziale, mi sembra, consista da una parte, non cedere alla tentazione di mollarlo e, dall’altra, di puntare sempre verso la meta comune, senza lasciarsi distrarre dalle chimere o impaurire dalla furia delle tempeste. Come ricordava S. Ambrogio a un suo confratello:Hai ricevuto l’ufficio del sacerdozio e, tenendo il timone della Chiesa, guidi la nave contro i flutti. Tieni saldo il timone della fede, in modo che le violente tempeste di questo mondo non possano turbarti […]. Perciò non senza motivo, fra le tante correnti del mondo, la Chiesa resta sempre costruita sulla pietra apostolica, e sul suo fondamento incrollabile resiste contro l’infuriare del mare in tempesta.

Carissimi sacerdoti e diaconi, desidero ringraziarvi per il generoso e infaticabile servizio che rendete alla Chiesa diocesana, soprattutto alle persone più fragili, più povere e meno garantite. Esprimo la mia gratitudine e la mia riconoscenza ai presbiteri diocesani e religiosi che festeggiano quest’anno un anniversario significativo della loro ordinazione.

Un pensiero grato e affettuoso va pure ai nostri sacerdoti fidei donum che sono testimoni del Vangelo di Cristo in Brasile, in Mozambico, in Thailandia e in Ciad. Vogliamo ricordare, in modo particolare, i confratelli ammalati e coloro che il Signore ha chiamato a Sé nella sua dimora di luce di pace.

Saluto e ringrazio i sacerdoti che prestano servizio alla Santa Sede: un ricordo speciale nella preghiera è per il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato Vaticano.
Ringrazio i sacerdoti provenienti da altre diocesi, italiane ed estere, presenti tra noi come collaboratori pastorali in qualche parrocchia o per servire le comunità di immigrati cattolici.
Una preghiera accorata rivolgiamo a Dio, Padre buono e misericordioso, per i sacerdoti che hanno lasciato il ministero e per quelli che stanno vivendo un tempo di crisi vocazionale.
Prepariamoci ora a rinnovare le promesse sacerdotali, fatte il giorno della nostra Ordinazione. Le rinnoviamo davanti ai fedeli, ai quali chiediamo di pregare per noi. E voi, sacerdoti e diaconi, consacrati e laici, pregate anche per me, affinché sia fedele al compito che mi è stato chiesto. Invochiamo l’intercessione materna della Madonna di Monte Berico su ciascuno di noi, sulle nostre comunità e su tutte le persone che vivono nel territorio della nostra diocesi. A tutti auguro una partecipazione intensa e attiva alla Solennità di Pentecoste. Amen.

+ Beniamino