MERCOLEDI’ DELLE CENERI(Vicenza, Cattedrale, 18 febbraio 2015)

Carissimi fratelli e sorelle,
carissimi canonici, sacerdoti e diaconi,
consacrati e consacrate,
amici di Radio Oreb,

mentre il nostro mondo si dimostra agitato ed inquieto, la mano di Caino continua ad alzarsi contro il fratello Abele per ucciderlo e l’uso nefasto della parola “guerra” sembra prevalere sulla vocazione universale e insopprimibile di ogni popolo e di ogni religione ad una pace autentica e duratura, noi, ancora una volta (tante volte quanti sono i nostri anni), iniziamo un tempo particolare di conversione, entrando in un nuovo orizzonte di senso e in un nuovo stile di vita: questo tempo si chiama Quaresima!
Si tratta di un cammino di “trasfigurazione”, che ci coinvolge in prima persona, come singoli cristiani, ma anche come comunità cristiane: comunità presbiterale, diaconale, religiosa, familiare, ecclesiale.
La prima lettura ci presenta l’accorato invito che il Signore, per bocca del suo profeta, ha rivolto agli israeliti, dopo che avevano sperimentato una delle calamità più temute dai popoli antichi: l’invasione delle locuste, delle cavallette. Sospinte dal vento bruciante del deserto, arrivavano a nugoli e, ovunque, si posassero, cancellavano ogni forma di vegetazione. E’ in questo contesto che va collocato il brano biblico, che ci introduce al tempo quaresimale.
Come mai, si chiedono gli israeliti, siamo stati afflitti da una simile sventura? E’ un castigo? Una ritorsione da parte di Dio, perché ci siamo dimenticati di lui? Le disgrazie, le calamità naturali, come terremoti, inondazioni, tempeste, violenze e guerre, sono eventi dolorosi, accadono e alcuni, spesso, sono causati dalla cattiveria dell’uomo. Essi provocano sconcerto ed angoscia; tuttavia, se questi momenti tristi sono vissuti alla luce della Parola di Dio, possono trasformarsi in momenti di grazia.
Il profeta aiuta il popolo a leggere la sciagura, che lo ha colpito, come un invito alla conversione. La terra – dice – è stata invasa dalle cavallette, perché vi siete ripiegati sui beni di questo mondo. Il benessere, la prosperità, l’abbondanza, la ricchezza hanno teso una insidia fatale alla vostra fede.
Anche Mosè aveva messo in guardia il popolo da questa pericolosa tentazione: “Quando ti sarai saziato, quando avrai costruito belle case e vi avrai abitato, quando avrai visto il tuo bestiame grosso e minuto moltiplicarsi, accrescere il tuo argento e il tuo oro e abbondare in ogni cosa, il tuo cuore non  si inorgoglisca in modo da dimenticare il Signore tuo Dio” (Dt 8, 12-14).
Gioele invita gli israeliti a riconoscere che i beni materiali hanno fatto  perdere la testa. Erano giunti al punto di non pensare ad altro che a star bene, arricchire, ricercare il lusso, darsi alle gozzoviglie. La calamità delle locuste ha dimostrato loro quanto fosse effimera la ricchezza in cui confidavano e come essa potesse venir tolta da un momento all’altro.
L’esperienza fatta da Israele è una vera lezione anche per noi, spesso sedotti dalle false promesse di piena felicità, che vengono dai beni di questo mondo. Oggi, nonostante la perdurante crisi economica, viviamo dentro una “cultura della sazietà”. Siamo sazi di beni materiali, siamo sazi di notizie, di informazioni, siamo sazi di presunzioni tecnico-scientifiche, siamo sazi di esperienze accattivanti, anche dal punto di vista religioso o mondano. Ci ammonisce Papa Francesco nel suo Messaggio per la Quaresima di quest’anno: “Succede che quando noi stiamo bene e ci sentiamo comodi, certamente ci dimentichiamo degli altri, non ci interessano i loro problemi, le loro sofferenze e le ingiustizie che subiscono, allora il nostro cuore cade nell’indifferenza: mentre io sto relativamente bene e comodo, mi dimentico di quelli che non stanno bene. Questa attitudine egoistica, di indifferenza, ha preso oggi una dimensione mondiale, a tal punto che possiamo parlare di una globalizzazione dell’indifferenza. Si tratta di un disagio che, come cristiani, dobbiamo affrontare”.
E allora che fare? L’accorato invito che il Signore, per bocca del suo profeta, ha rivolto agli israeliti, è valido anche per noi: “ Ritornate a me con tutto il cuore, con digiuni, pianti e lamenti……Ritornate al Signore, vostro Dio, perché egli è misericordioso e pietoso, lento all’ira, di grande amore…….” (Gl 2, 12-13).
Abbiamo compreso che Dio è amore che ci ama, che ci attende e allora dobbiamo avere il coraggio di deciderci a intraprendere un cammino di conversione, di trasfigurazione attraverso le vie ordinarie che la materna pedagogia della Chiesa ci offre ogni anno e che ci vengono proposte dal vangelo  di Matteo: l’elemosina, la preghiera e il digiuno.
Ci sentiamo tutti impegnati, in questo cammino quaresimale, ad assumere uno stile di vita sobrio, essenziale, semplice, per sentirci più solidali, attraverso il digiuno e la carità, con tanti nostri fratelli e sorelle, che stanno vivendo situazioni di precarietà e di povertà.
A livello comunitario siamo chiamati ad accogliere la proposta diocesana della colletta “Un pane per amor di Dio”, destinata a sostenere i nostri missionari, sacerdoti, religiosi, famiglie, laici presenti in tutti i continenti del nostro pianeta. Vi invito a ritirare il salvadanaio, la cassettina come strumento concreto, che ci aiuta a ricordarci quotidianamente del nostro impegno di solidarietà e di condivisione.
Vorrei, però, con voi porre l’attenzione del cuore e della mente sulla seconda pratica, che ci viene indicata nel vangelo di Matteo, che abbiamo ascoltato: la preghiera. Molti pensano che pregare sia afferrare Dio per collocarlo nella propria visuale o cercare di ottenere quanto ci è gradito o vantaggioso. La verità è ben diversa. Pregare significa entrare nella prospettiva di Dio, partendo dal suo amore.  E’ incontrare una persona viva e lasciarsi afferrare dal suo amore. Pregare non è parlare di Dio, ma parlare con lui, dialogare con lui. Pregare è per tutti un’opera tra le più difficili, è un lavoro esigente, perché è una esperienza che non si esaurisce mai, è un cammino dove si rimane sempre discepoli. La preghiera è lasciarsi amare da Dio, stare in silenzio davanti a Dio. Un padre della Chiesa affermava: “La preghiera ha per padre il silenzio e per madre la solitudine”.
La preghiera, che diventa unione con il Padre nel Figlio, diventa poi solidarietà con i fratelli, perché essa ci trasforma nel nostro essere, nel nostro pensare e nel nostro agire.
O Padre, tu solo sai di cosa abbiamo bisogno; unifica nel tuo Spirito le nostre voci e accorda i nostri cuori alla preghiera del giusto tuo servo, Gesù Cristo, che fu esaudito per la sua pietà.
Buon cammino di Quaresima!

 

† Beniamino Pizziol
Vescovo di Vicenza